Quali sono le province italiane da cui, nel 2016, sono partiti più giovani per andare a vivere all’estero? Ce lo dice l’Istat, che ha mappato il territorio individuando le cancellazioni dall’anagrafe di cittadini italiani perché emigrati, secondo le diverse fasce di età.
Nell’analisi ci siamo concentrati sulla popolazione più giovane, tra i 18 e i 39 anni, ossia in quella fase della vita in cui lo spostamento può essere più frequentemente dovuto per motivi di studio o di opportunità lavorative. L’indicatore scelto è il confronto tra il valore assoluto di coloro che sono emigrati e la rispettiva popolazione, per diecimila residenti.
Com’era nelle attese è Bolzano la città in cui questo fenomeno è maggiore, con quasi l’1% dei giovani cittadini che in un solo anno ha lasciato l’Italia. Se nei dati non viene rivelata la causa, si può tuttavia intuire come il bilinguismo possa giocare un fattore importante nella mobilità delle persone verso i vicini paesi germanofoni. Con il capoluogo altoatesino anche tutte le province di confine hanno valori piuttosto alti nella classifica, quali ad esempio Trieste, Imperia, Verbania e Sondrio.
Ferma l’eccezione di Teramo, seconda in Italia, da dove ben 77 giovani su diecimila hanno lasciato la provincia per stabilirsi fuori dai confini nazionali, la mappa permette di individuare dove sono maggiori queste concentrazioni: In Sicilia e Sardegna sud occidentali, nel tacco e nella punta dello Stivale. I valori minori si registrano invece nel Centro-Sud, in particolar modo in Campania e nel basso Lazio dove i tassi di emigrazione giovanile sono anche la metà rispetto a quelli del Triveneto.
Impossibile dire se questo indicatore sia correlato ad un fenomeno di disagio dovuto a mancanza di opportunità in patria o, invece, ad un sintomo di vivacità culturale che spinge i nostri connazionali a confrontarsi con sfide personali oltre confine. Tuttavia il dato finale rimane: più di 60mila giovani italiani, in un solo anno, sono emigrati all’estero.
Gli effetti sul Meridione
Gli effetti di questo processo possono essere particolarmente gravi al Sud. A differenza del Nord, dove l’emigrazione dei giovani verso l’estero è parzialmente compensata da coloro che arrivano dalle regioni meridionali, in queste ultime tale meccanismo di compensazione non ha luogo. Dal Sud molti giovani partono, soprattutto per il Nord, ma ben pochi arrivano: i dati del 2015 confermano un saldo migratorio interno negativo (-2.5). È probabile che anche in questo caso l’emigrazione sia soggetta a particolari meccanismi di selezione: in un’area povera di capitale sociale, ad andarsene potrebbero essere specialmente coloro che hanno un maggior livello di “civicness” (senso civico) e che più si sentono dissonanti al sistema. Non ci vuole molto a immaginare le conseguenze che ciò può produrre sulla possibilità di porre argine a vecchi mali, come criminalità, familismo e corruzione, e di intraprendere un cammino di cambiamento.
Non è certo una colpa spostarsi alla ricerca di prospettive migliori. Tuttavia, “l’uscita”, anche se individualmente conveniente, può essere socialmente inefficiente. La perdita di capitale umano e sociale è destinata a produrre conseguenze durevoli e negative: è difficile che da un tale processo di impoverimento possa nascere un successivo riscatto. Si va via per cercare di realizzare se stessi, ma anche perché non si ha speranza nella possibilità di cambiamento. La responsabilità più grave della classe dirigente italiana è quella di aver tolto questa speranza ai giovani. La mobilità del lavoro, da fattore positivo che può permettere l’assorbimento di squilibri temporanei, può diventare un fattore negativo e rendere questi squilibri permanenti. Gli emigrati non sono un campione casuale delle popolazione residente in un certo paese e se coincidono con la popolazione più giovane e dinamica, gli effetti di lungo periodo possono essere particolarmente negativi.
dati dal web di Antonio Gentile