Campione del ciclismo eroico di una volta, Gino Bartali è stato probabilmente il più famoso e fiero rivale di Fausto Coppi (non solo in Italia) e, proprio come nel caso dell’avversario, la sua carriera venne interrotta dalla seconda guerra mondiale quando per entrambi si trattava di esprimersi negli anni migliori della loro condizione. I due fra l’altro gareggiarono anche nella stessa squadra, la Legnano, per poi separarsi e difendere i colori delle principali industrie: la Legnano appunto e la Bianchi.
Lo ricordiamo come uno dei padri della patria, nudo come San Francesco, battagliero come Giuseppe Garibaldi, esplosivo come Roberto Benigni, patriottico come Sandro Pertini, visionario come Federico Fellini, polemico come Pier Paolo Pasolini. Un uomo storico e geografico, un campione letterario e cinematografico, anche una bandiera che sventola, un giornale che titola, una radio che gracchia, una canzone che ritorna, dunque anche un paracarro, un paio di sandali e un popolo – quello francese – che continua a incazzarsi.
Gino Bartali è un naso da pugile, una voce da blues man, una memoria da elefante, una ragnatela di rughe, un corpo di ferro, di acciaio, oggi si direbbe di carbonio, è una bicicletta di quelle antiche, pesanti, incrostate, è un manubrio all’ingiù, è un corridore sui pedali, sui tornanti, sulle montagne, è un urlo che scuote le montagne, è una formica che attraversa le Alpi.
Gino Bartali è una leggenda che si tramanda, è un mito che si rinnova, è un nome-e-cognome, è un’epoca, è un’Italia, un’Italia divisa a metà, e a lui era stata assegnata quella delle chiese e delle preghiere, quella della Toscana e quella dalla Toscana in giù, quella del Chianti inteso come vino e delle Nazionali intese come sigarette, è l’Italia del ciclismo come passione, tradizione, povertà e opportunità di uscire dalla povertà, eredità, missione, testimonianza, codice, appartenenza, tutta roba avveniristica, perché solo adesso si realizza, completamente e compiutamente, il mondo a due ruote umane, come scelta, come modo, come filosofia, come salvezza di vita.
Gino Bartali è sempre il detentore di un record: nessuno ha mai vinto due Tour de France a dieci anni di distanza, lui nel 1938 quando il ciclismo era ancora pionieristico, nel 1948 quando era romantico, e sempre quando era eroico. Tant’è che di Gino Bartali è segnata, iscritta, intitolata l’Italia: vie, piazze, statue, busti, piste, alberi. E racconti, storie, ricordi, memorie, avventure, imprese, miracoli, rischi. Ed esistenze.
Gino Bartali è nato in un giorno sequestrato dal Tour de France (il 18 luglio del 1914, e quel giorno, da Grenoble a Ginevra, vinse il fuoriclasse Gustave Garrigou).
Uomo di gran cuore e di indimenticabile schiettezza, semplice nel senso più alto del termine, profondamente amato per la sua purezza (come quando ai funerali commemorò il rivale Coppi con straordinaria intensità), Bartali si è spento il 5 maggio 2000; il giorno del suo commiato dal mondo, nella camera mortuaria della chiesa di S. Piero in Palco, nella fiorentina piazza Elia Dalla Costa, intorno alla sua bara sfilarono per tutta la giornata centinaia di persone giunte da ogni località per dargli l’ultimo saluto.
Le vittorie più importanti di Gino Bartali:
2 Tour de France (1938, 1948); 3 Giri d’Italia (1936, 1937, 1946), 4 Milano-Sanremo (1939, 1940, 1947, 1950); 3 Giri di Lombardia (1936, 1939, 1940); 2 Giri di Svizzera (1946, 1947); 4 maglie di campione d’Italia (1935, 1937, 1940, 1952); 5 Giri della Toscana (1939, 1940, 1948, 1950, 1953); 3 Giri del Piemonte (1937, 1939, 1951);
2 campionati di Zurigo (1946, 1948); 2 Giri dell’Emilia (1952, 1953); 2 Giri della Campania (1940, 1945); poi la Coppa Bernocchi (1935), la Tre Valli Varesine (1938), il Giro di Romandia (1949); il Giro dei Paesi Baschi (1935).
Bartali inoltre ha vinto 12 tappe del Tour de France e indossato 20 maglie gialle. Al Giro ha vinto 17 tappe e portato 50 volte la maglia rosa. Tra il 1931 e il 1954 corse 988 gare, ne vinse 184, 45 per distacco, ritirandosi 28 volte.
Gino Bartali, quello che all’esordio fu chiamato Bartàli e poi, fino alla fine dei suoi giorni, Ginettaccio, quello che «gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare» quello che brontolava e litigava da veemente toscanaccio con chiunque, in realtà era un buono. Anzi, un Giusto.
Grandi vittorie per un uomo che vinse tutto, ma soprattutto la sfida più importante, quella della vita;. perché Gino Bartali è immortale, infinito, irraggiungibile.
di Antonio Gentile