Nel dicembre del 1991 l’immunologo Fernando Aiuti bacia pubblicamente sulla bocca una ragazza sieropositiva. A quei tempi non si avevano le idee molto chiare su come si potesse trasmettere la malattia ed era scattata la sindrome da contagio.
Basterà bere dallo stesso bicchiere? Le zanzare trasmettono il virus? E lo starnuto? Erano queste le domande che circolavano.
Espulsa a 22 anni dal ristorante dove lavorava come maitre a causa della sua malattia, Rosaria Iardino, ha spesso raccontato quanto fossero forti le discriminazioni negli anni in cui l’Aids veniva considerato la “peste bianca”, che si diffondeva attraverso sangue e rapporti sessuali. «Nel 1986 i medici mi dissero che sarei morta entro un anno…
Il bacio di Aiuti e di quella ragazza dai capelli scuri aveva gridato al mondo che le persone che avevano avuto la sfortuna di contrarre il virus dell’Hiv non dovevano essere escluse dalla nostra cerchia di amicizie, che potevamo continuare a frequentarle tranquillamente e potevamo anche baciarle.
Oggi Rosaria Iardino è diventata mamma di una bellissima bambina di nome Anita, ed è insieme ad altri centocinquantamila italiani, una “long survivor”, una sopravvissuta. Convive cioè da decenni con la malattia tenendo sotto controllo il virus, grazie ad un cocktail di farmaci che hanno cambiato per sempre il destino delle persone sieropositive.
«Quel bacio è stato la più efficace campagna di comunicazione sull’Hiv in Italia». Rosaria Iardino era la protagonista, assieme all’immunologo Fernando Aiuti. «Decidemmo su due piedi, dopo aver letto gli ennesimi titoli che facevano disinformazione: oggi le chiameremmo fake news. Il Mattino di Napoli aveva scritto che l’Hiv si poteva contrarre anche con un bacio». Di lì l’idea: smentire nei fatti la notizia falsa. Lo scatto fu clamoroso. Era il 2 dicembre 1991, alla Fiera Campionaria di Cagliari. L’equazione Hiv uguale Aids era ancora automatica.
Rosaria aveva 25 anni ed era sieropositiva da otto. «Non ho mai voluto dire come ho contratto il virus. Naturalmente lo so e non me ne vergogno, ma credo che sia irrilevante». Ai tempi fu importante l’atteggiamento dei suoi familiari. «È sicuramente un grande farmaco avere accanto una famiglia intelligente. I miei si andarono a informare da soli, mio fratello e mia sorella subirono discriminazioni indirette sul posto di lavoro, ma non me lo raccontarono se non dopo molti anni. Io cominciai a essere sempre più spesso ospite dei programmi televisivi. Abbiamo bombardato i giovani di informazioni. Oggi i loro coetanei non sanno niente».
Rosaria Iardino vive a Milano con sua moglie Chiara e le due figlie di 13 e 5 anni. «Le considero entrambe mie. Per la più piccola, Anita, nata dalla volontà della nostra relazione, ho avviato la richiesta di adozione». Da tre anni guida la fondazione The Bridge, con un comitato scientifico di trenta professionisti in ambito medico, che cerca di sviluppare progetti di intervento in ambito sociale e sanitario. Uno degli ultimi, d’intesa con l’Ania, riguarda la definizione di nuovi indicatori per poter realizzare polizze assicurative che permettano ai sieropositivi di stipulare un mutuo. Di fatto, al momento di comprar casa, chi ha il virus è discriminato.
«Oggi la qualità della nostra vita è migliorata tanto, trent’anni fa era difficile prevedere il futuro. All’inizio la mia principale preoccupazione era di arrivare alla stagione successiva, adesso è di conservare l’ottima salute che ho». Questa «eredità di salute», come la chiama lei, rischia di essere messa in discussione. «I pazienti che prendono farmaci per tutta la vita sono più esposti a sviluppare resistenze, per questo è indispensabile avere nuove cartucce per rimanere in salute. Alcune Regioni, però, nei loro piani terapeutici faticano a dare la possibilità ai medici di prescrivere farmaci di ultima generazione: Lazio, Campania, Puglia e Emilia-Romagna sono tra queste. Le eccellenze restano Lombardia, Piemonte e Veneto».
Il fatto che ci si possa curare e si possa convivere bene con l’Hiv produce un po’ di leggerezza quando si tratta di prendere precauzioni contro la trasmissione sessuale. «Troppi ragazzi si accontentano del fatto che il virus si può curare, senza considerare quanto costi prendere i farmaci». C’è poi l’ignoranza. «Credono che l’Hiv riguardi solo l’Africa, o pensano che bastino il coito interrotto e la pillola a scongiurare il contagio». Per questo Rosaria continua a testimoniare. La prossima volta sabato a Bergamo, a mezzogiorno nella piazza delle «Due Torri», a chiusura della settimana degli #AbbracciConsapevoli di prevenzione dell’Aids. «Perché la vera prevenzione si fa partendo dai luoghi periferici».