Persi mia moglie a motivo di tumore al seno ectre anno di solitudine poi cercai qualche relazione ma difficile la coesistenza e pregai Gesù di aiutarmi e la trovai il giorno dopo e mi disse ” mi piaci molto ti amerò per sempre ma …..
“Non è facile per i vedovi rifarsi una vita” è il titolo di un articolo apparso su West del 27 settembre scorso. Ma è davvero così? E se le cose stanno in questi termini quali sono le possibili cause? E infine, è possibile contrastare tale tendenza?
Innamorarsi ancora dopo la morte del partner è possibile e auspicabile, ma affinché possa avvenire
un buon incontro è necessario elaborare il lutto rispettando le fasi e i tempi. Il tempo è una variabile necessaria ma non sufficiente.
Occorre uscire dall’equivoco di pensare al tempo che trascorre come a un toccasana in grado di rimarginare le ferite. Il tempo, affinché possa svolgere quella funzione lenitiva, dovrà essere utilizzato per elaborare il lutto. Con ciò, come con la locuzione “lavoro del lutto”, si intende un lavoro psichico che permette di attraversare la dolorosa esperienza della perdita evitando l’immobilizzazione tipica del rimpianto melanconico infinito. Un blocco affettivo che si manifesta quando la persona scomparsa viene idealizzata fino al punto che nessun’altra donna o altro uomo può fare innamorare il vedovo o la vedova. Già da questo primo sguardo appare evidente come il tempo impiegato a idealizzare la persona scomparsa, non è un tempo usato utilmente per rimarginare le ferite. L’idealizzazione infatti può essere vista come un meccanismo di difesa teso a contrastare il lavoro del lutto.
È del tutto evidente che è necessaria una quota minima di idealizzazione per vivere, diventa invece disfunzionale quando attraverso l’idealizzazione si evita la realtà.
Il lavoro del lutto ha le sue fasi, occorre “semplicemente” attraversarle senza opporre resistenza. Proviamo a vedere brevemente di cosa si tratta.
Nel’immediatezza della perdita l’adulto reagisce con una fase di incredulità e stordimento cui succede un periodo contrassegnato dall’angoscia accompagnata da rabbia indirizzata anche verso il defunto da cui si sente abbandonato. È un sentimento che può spaventare, sembrare inopportuno, può far pensare di aver perso il senno. È bene invece sapere che si tratta di una fase transitoria del tutto normale.
Il passaggio successivo è anche il più delicato, poiché comporta una sofferenza acuta e l’assunzione della decisione di congedarsi e accettare la definitiva perdita. È il momento in cui si realizza che la persona cara non c’è più.
“Non è facile per i vedovi rifarsi una vita” è il titolo di un articolo apparso su West del 27 settembre scorso. Ma è davvero così? E se le cose stanno in questi termini quali sono le possibili cause? E infine, è possibile contrastare tale tendenza?
Innamorarsi ancora dopo la morte del partner è possibile e auspicabile, ma affinché possa avvenire un buon incontro è necessario elaborare il lutto rispettando le fasi e i tempi. Il tempo è una variabile necessaria ma non sufficiente. Occorre uscire dall’equivoco di pensare al tempo che trascorre come a un toccasana in grado di rimarginare le ferite. Il tempo, affinché possa svolgere quella funzione lenitiva, dovrà essere utilizzato per elaborare il lutto. Con ciò, come con la locuzione “lavoro del lutto”, si intende un lavoro psichico che permette di attraversare la dolorosa esperienza della perdita evitando l’immobilizzazione tipica del rimpianto melanconico infinito. Un blocco affettivo che si manifesta quando la persona scomparsa viene idealizzata fino al punto che nessun’altra donna o altro uomo può fare innamorare il vedovo o la vedova. Già da questo primo sguardo appare evidente come il tempo impiegato a idealizzare la persona scomparsa, non è un tempo usato utilmente per rimarginare le ferite. L’idealizzazione infatti può essere vista come un meccanismo di difesa teso a contrastare il lavoro del lutto.
È del tutto evidente che è necessaria una quota minima di idealizzazione per vivere, diventa invece disfunzionale quando attraverso l’idealizzazione si evita la realtà.
Il lavoro del lutto ha le sue fasi, occorre “semplicemente” attraversarle senza opporre resistenza. Proviamo a vedere brevemente di cosa si tratta.
Nel’immediatezza della perdita l’adulto reagisce con una fase di incredulità e stordimento cui succede un periodo contrassegnato dall’angoscia accompagnata da rabbia indirizzata anche verso il defunto da cui si sente abbandonato. È un sentimento che può spaventare, sembrare inopportuno, può far pensare di aver perso il senno. È bene invece sapere che si tratta di una fase transitoria del tutto normale.
Il passaggio successivo è anche il più delicato, poiché comporta una sofferenza acuta e l’assunzione della decisione di congedarsi e accettare la definitiva perdita. È il momento in cui si realizza che la persona cara non c’è più.