Aldo Moro nacque a Maglie, in provincia di Lecce, da genitori originari di Gemini, frazione di Ugento.
Conseguì la Maturità Classica al Liceo “Archita” di Taranto.
Si iscrisse presso l’Università di Bari alla Facoltà di Giurisprudenza, dove prese la laurea, sotto la guida del prof. Biagio Petrocelli, con una tesi su “La capacità giuridica penale”. In seguito, nel 1939, pubblicò la tesi e ottenne la docenza in filosofia del diritto e di politica coloniale alla stessa università nel 1941.
L’anno successivo svilupperà la sua seconda opera “la subiettivazione della norma penale” e otterrà così la cattedra di professore di diritto penale.
Durante gli anni universitari partecipa ai Littoriali della cultura e dell’arte.
Nel 1942 entra a far parte della Federazione Universitaria Cattolica Italiana di Bari, segnalandosi ben presto anche a livello nazionale. Nel luglio 1939 venne scelto, su consiglio di Giovanni Battista Montini, di cui, proprio in quegli anni, divenne amico, come presidente dell’Associazione. Mantenne l’incarico sino al 1942, quando fu chiamato alle armi e gli successe Giulio Andreotti, sino ad allora direttore della rivista Azione Fucina.
Dopo qualche anno di carriera accademica, fondò nel 1943 a Bari, con alcuni amici, il periodico «La Rassegna» che uscì fino al 1945. Nel luglio dello stesso anno prese parte ai lavori che portarono alla redazione del Codice di Camaldoli.
Nel 1945 sposò Eleonora Chiavarelli (Montemarciano, 25 settembre 1915 – Roma, 17 luglio 2010), con la quale ebbe quattro figli: Maria Fida (Roma, 17 dicembre 1946), Anna (1949) Agnese (1952), e Giovanni (Roma, 1958). Nei primi anni cinquanta fu nominato professore ordinario di diritto penale presso l’Università di Bari.
Nel 1963 ottenne il trasferimento all’Università di Roma, in qualità di titolare della cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura penale presso la Facoltà di Scienze Politiche.
Tra il 1943 e il 1945 Aldo Moro aveva iniziato a interessarsi di politica, in un primo tempo mostrò particolare attenzione alla componente socialdemocratica del partito socialista, successivamente però il suo forte credo cattolico lo spinse verso il costituendo movimento democristiano.
Nella DC mostrò subito la sua tendenza democratico-sociale, aderendo alla componente dossettiana.
L’eredità di Giuseppe Dossetti era legata a due momenti: 1) La Costituzione come grande patto per l’avvenire, patto per la società che non c’è, sottoscritto da gruppi di persone che credevano nei valori morali e che perseguivano la creazione di una classe dirigente competente attraverso lo strumento del “partito politico” .
2) la riforma della Chiesa.
Nel 1945 divenne direttore della rivista Studium e fu eletto presidente del Movimento Laureati dell’Azione Cattolica.
Nel 1946 divenne vicepresidente della Democrazia Cristiana e fu eletto all’Assemblea Costituente, dove entrò a far parte della Commissione che si occupò di redigere il testo costituzionale. Eletto deputato al parlamento nelle elezioni del 1948, fu nominato sottosegretario agli esteri nel gabinetto De Gasperi (23 maggio 1948 – 27 gennaio 1950).
Nel 1953 fu rieletto alla Camera, ove fu eletto presidente del gruppo parlamentare democristiano.
Nel 1955 fu ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni I e l’anno dopo risultò tra i primi eletti nel consiglio nazionale del partito durante il VI congresso nazionale della DC. Ministro della Pubblica Istruzione nei due anni successivi (governi Zoli e Fanfani), introdusse lo studio dell’educazione civica nelle scuole. Nel 1959, al VII congresso nazionale DC conquistò la segreteria del partito.
Nel dicembre 1963 (IV Legislatura, 1963-68) divenne, a soli 47 anni, presidente del Consiglio.
Formò il suo primo governo con una coalizione inedita: DC, PSI, PSDI e PRI; fu il primo governo del centro-sinistra. La coalizione resse fino alle elezioni del 1968. Il governo Moro III (23 febbraio 1966-5 giugno 1968) batté il record di durata (833 giorni) e rimase uno dei più longevi della Repubblica. Dopo le elezioni venne costituito un governo balneare in attesa del congresso DC, previsto per l’autunno.
Al congresso Moro passò all’opposizione interna al partito.
Dal 1969 al 1974 (V e VI Legislatura), assunse l’incarico di ministro degli Esteri. Dopo la caduta del V governo Rumor, riprese la guida di palazzo Chigi, dove rimase fino alle elezioni anticipate del 1976. Nel 1975 il suo governo conclude il Trattato di Osimo, con cui si sanciva l’appartenenza della Zona B del Territorio Libero di Trieste alla Jugoslavia. Nel 1976 fu eletto Presidente del Consiglio Nazionale del partito.
Aldo Moro e Amintore Fanfani, definiti i due “cavalli di razza” della Democrazia cristiana.
Aldo Moro «era un cattolico osservante e praticante e la sua fede in Dio si rispecchiava nella sua vita politica». Moro era considerato un mediatore tenace e particolarmente abile nella gestione e nel coordinamento politico delle numerose “correnti” che agivano e si suddividevano il potere all’interno della Democrazia cristiana.
All’inizio degli anni sessanta Moro fu un convinto assertore della necessità di un’alleanza tra il suo partito e il Partito socialista italiano, per creare un governo di centro-sinistra.
Nel congresso democristiano di Napoli del 1962 riuscì a portare su questa posizione l’intero gruppo dirigente del partito. La stessa cosa avvenne all’inizio del 1978 (poco prima del rapimento), quando riuscì a convincere la DC della necessità di un “governo di solidarietà nazionale”, con la presenza del PCI nella maggioranza parlamentare. La sua intenzione dominante era di allargare la base del sistema di governo, ossia il vertice del potere esecutivo avrebbe dovuto rappresentare un numero più ampio di partiti e di elettori.
Questo sarebbe stato possibile solo con un gioco di alleanze aventi come fulcro la DC, seguendo così una linea politica secondo il principio di democrazia consociativa…..(fine prima parte)