“Sentimi sempre con te e tienimi stretto“
Queste le parole più toccanti dell’ultima lettera scritta da Aldo Moro alla moglie Eleonora Chiavarelli, pochi giorni prima della sua morte.
Una lettera di resa, nella quale è contenuta tutta l’amarezza del senso di abbandono provato in 55 giorni di prigionia nelle mani delle Brigate Rosse.
Il 16 marzo 1978, a seguito della strage di via Fani, nella quale morirono cinque uomini della scorta di Aldo Moro (Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Franceso Zizzi) ha avuto inizio quella che fu la straziante prigione del noto statista italiano, catturato dalle Brigate Rosse. 55 giorni di lettere, richieste di intercessioni e trattative mai avvenute, di dolore. Suo e della famiglia Moro, attaccata a un filo invisibile con uno Stato assente. Le condizioni per il rilascio, comunicate dalle BR, avrebbero dovuto comportare la scarcerazione di 13 brigatisti, in cambio dei quali avrebbero restituito il presidente della Democrazia Cristiana sano e salvo.
Il 28 aprile, il presidente del Consiglio Giulio Andreotti andò in televisione a ribadire la tragica convinzione con cui il governo stava percorrendo la “linea dura”, non cedendo alle richieste dei brigatisti. Aldo Moro è condannato a morire e il 9 maggio 1978, dopo l’atroce telefonata in cui si comunicava il luogo e l’auto del ritrovamento del cadavere, nel bagagliaio di Reanult 4 parcheggiata in via Caetani fu rinvenuto il suo corpo senza vita.
Le missive stesse di testamento che il prigioniero scrive in più versioni ci parlano del valore immenso delle piccole cose in un momento di buio totale: Moro decide a chi destinare gli amati libri ma anche «il braccialettino dono di nozze per Anna sul comodino» e i «filmetti e le foto del piccolo nel cassetto della mia scrivania in studio». Non di meno il pensiero per i figli è costante con più lettere personali ad ognuno di essi.
Aldo Moro il padre è capace di autocritica verso la figlia Maria Fida («Forse in qualche momento sarò stato nervoso o non del tutto capace di comprensione. Ma l’amore dentro è stato grande in ogni momento con un desiderio profondo della vostra felicità sempre in una vita retta, quale voi conducete»), di premura delicata impreziosita dai ricordi verso la figlia Agnese («Gioisco nel ricordarti piccola, sulla gamba del cuore con il dottor Tanè del tuo libriccino di bimba») e verso la figlia Anna Maria («Tempi felici. Niente ha potuto annullare la grandezza dell’amore. A qualsiasi età i figli sono i nostri piccoli. E tu sei la mia piccola. Come vorrei veder nascere il tuo bimbo»).
Gli stessi sentimenti vengono ribaditi più volte verso il figlio Giovanni («Ti devo trattare da uomo, anche se non riesco a distaccarmi dalla tua immagine di piccolino, tanto amato e tanto accarezzato»). Ma è infine nelle ultime tragiche giornate che il colloquio d’amore tra Moro e la famiglia raggiunge il vertice della tragica dignità. Nella lettera scritta presumibilmente prima del 5 maggio, a quattro giorni dall’epilogo di via Caetani, Moro è consapevole del destino che lo attende, reso ancora più tragico dall’illusione di un esito diverso («Mia dolcissima Noretta, dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo»).
Ciò che passa in quegli istanti e strappa senso ad un destino incomprensibile e inaccettabile è la tenerezza infinita verso la propria famiglia: «per il futuro c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e ciascuno, un amore grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi».
Ma è ovviamente la moglie Noretta il tramite ultimo di un uomo che si prepara ad affrontare una morte ingiusta,
L’ultima lettera scritta a sua moglie Eleonora Chiavarelli, recapitatale il 5 maggio 1978 (solo 4 giorni prima della sua morte), ha il sapore amaro della resa e del senso di abbandono provato in tutti quei 55 giorni di prigionia. Contiene, inoltre, gli ultimi pensieri e volontà di Moro, consapevole di stare trascorrendo gli ultimi giorni della sua esistenza davanti a un foglio bianco, l’unico capace di accogliere il suo tormento e tutto l’amore che avrebbe voluto fosse consegnato alla famiglia, che di lì a poco non l’avrebbe mai più visto. La figlia Maria Fida Moro ha dichiarato in occasione del 40esimo anniversario della scomparsa del padre, che denuncerà lo Stato italiano Tribunale Internazionale dei Diritti dell’Uomo dell’Aja.
L’ultima lettera di Aldo Moro alla moglie Eleonora
Mia dolcissima Noretta,
dopo un momento di esilissimo ottimismo, dovuto forse ad un mio equivoco circa quel che mi si veniva dicendo, siamo ormai, credo, al momento conclusivo. Non mi pare il caso di discutere della cosa in sé e dell’incredibilità di una sanzione che cade sulla mia mitezza e la mia moderazione. Certo ho sbagliato, a fin di bene, nel definire l’indirizzo della mia vita. Ma ormai non si può cambiare.
Resta solo di riconoscere che tu avevi ragione. Si può solo dire che forse saremmo stati in altro modo puniti, noi e i nostri piccoli.
Vorrei restasse ben chiara la piena responsabilità della D.C. con il suo assurdo ed incredibile comportamento.
Essa va detto con fermezza così come si deve rifiutare eventuale medaglia che si suole dare in questo caso.
E’ poi vero che moltissimi amici (ma non ne so i nomi) o ingannati dall’idea che il parlare mi danneggiasse o preoccupati delle loro personali posizioni, non si sono mossi come avrebbero dovuto. Cento sole firme raccolte avrebbero costretto a trattare. E questo è tutto per il passato. Per il futuro c’è in questo momento una tenerezza infinita per voi, il ricordo di tutti e di ciascuno, un amore grande, grande carico di ricordi apparentemente insignificanti e in realtà preziosi.
Uniti nel mio ricordo vivete insieme.
Mi parrà di essere tra voi. Per carità, vivete in una unica casa, anche Emma se è possibile e fate ricorso ai buoni e cari amici, che ringrazierai tanto, per le vostre esigenze. Bacia e carezza per me tutti, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli.
A ciascuno una mia immensa tenerezza che passa per le tue mani. Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore. Ricordami a tutti i parenti ed amici con immenso affetto ed a te e tutti un caldissimo abbraccio pegno di un amore eterno.
Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Amore mio, sentimi sempre con te e tienimi stretto. Bacia e carezza Fida, Demi, Luca (tanto tanto Luca), Anna, Mario il piccolo non nato, Agnese, Giovanni. Sono tanto grato per quello che hanno fatto. Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta.
Il Papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo.
La lettera di Moro si interrompe così, senza firma. Forse la sua conclusione è contenuta in ciò che fu recapitato il giorno della sua morte a casa Moro: “Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l’ordine di esecuzione.Noretta dolcissima, sono nelle mani di Dio e tue. Prega per me, ricordami soavemente. Carezza i piccoli dolcissimi, tutti. Che Iddio vi aiuti tutti. Un bacio di amore a tutti. Aldo“.
Ho voluto chiudere così quest’articolo perché è la più bella lettera d’amore che io abbia mai letto.
Antonio Gentile