Dal 19 Giugno 1987 al 21 Novembre 1994 una banda criminale, denominata a partire dal 1991 “banda della Uno bianca” in ragione del tipo di auto usate per svolgere le proprie attività criminose, seminò il terrore in cinque province (secondo la denominazione e la ripartizione dell’epoca) comprese tra l’Emilia Romagna e le Marche (Bologna, Forlì, Ravenna, Pesaro, Ancona), secondo il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato (SCO) in circa sette anni e mezzo di attività criminale la “banda della Uno bianca” ha causato, nel contesto delle ben 103 azioni criminali compiute [1], 24 morti [2] e 102 feriti.
Ma la cosa che rende la sua vicenda un unicum nella storia del nostro Paese è il fatto che i suoi componenti fossero, tranne uno, tutti membri della polizia di Stato.
Capo indiscusso della banda fu Roberto Savi, all’epoca assistente capo della Questura di Bologna, presso la cui centrale operativa svolgeva il servizio di operatore radio.
Suoi complici furono i fratelli Fabio, artigiano ed autotrasportatore, e Alberto (detto Luca), poliziotto che prestava servizio presso la Questura di Rimini. Ai tre fratelli Savi, in momenti e con responsabilità diverse, si aggiunsero Pietro Gugliotta (operatore radio alla questura di Bologna), Marino Occhipinti (vice-sovrintendente della sezione narcotici della Squadra mobile della Questura di Bologna e consigliere provinciale del Sap – Sindacato autonomo di polizia) e Luca Vallicelli (all’epoca agente scelto presso la sezione Polizia Stradale di Cesena .
Il fatto più sconvolgente dei terroristi fu l’assassinio dei tre carabinieri, colti in un’imboscata a cui furono sottoposti a un volume di fuoco incrociato impressionante, rimasero a terra i cadaveri di tre giovanissimi militari: Otello Stefanini, Andrea Moneta, Mauro Mitilini. Gli altri due scontri avvengono il 30 Aprile a Rimini (l’attacco a una pattuglia di Carabinieri provoca 3 feriti) e il 28 Agosto a Gradara (PS): anche questa volta nello scontro a fuoco due poliziotti rimangono feriti.
Il 2 Maggio 1991 Roberto e Fabio Savi assaltano un’armeria in via Volturno a Bologna, lasciandosi dietro i cadaveri della proprietaria (Licia Ansaloni) e del carabiniere in pensione che vi era impiegato (Pietro Capolungo). Il bottino sono 2 pistole Beretta calibro 9.
I tre anni successivi della vita della banda (1992, 1993, 1994) sono caratterizzati da un cospicuo numero di furti presso banche [14]: l’ultima rapina è del 21 Ottobre 1994 a Bologna; probabilmente i Savi stanno già lavorando a un nuovo colpo, ma non riescono a portarlo a compimento, perché scoperti da due poliziotti riminesi: Luciano Baglioni e Pietro Costanza.
L’attività della banda consta in questo frangente prevalentemente di rapine, principalmente ai danni di distributori, ma anche di supermercati, di aree di servizio lungo la A14, di caselli autostradali sempre dell’A14, uffici postali e, obiettivo sin ad allora mai contemplato, le banche.
Il nuovo volto terroristico dei Savi, emerso nella fase precedente, si conferma in alcuni scontri a fuoco con le forze dell’ordine. Dei tre episodi che caratterizzarono questa svolta è il primo quello che lascia il segno più profondo: la sera del 4 Gennaio 1991 nel quartiere bolognese del Pilastro, i Savi attaccano una pattuglia dei Carabinieri, che, a detta dei criminali, ebbe la sola colpa di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Roberto Savi venne arrestato la sera del 21 Novembre 1994 mentre era in servizio nella Questura di Bologna, su disposizione della Questura di Rimini; suo fratello Fabio il 24 Novembre, a 22 km dal confine con l’Austria, mentre era assieme alla compagna Eva Mikula; Alberto Savi e Pietro Gugliotta il 26 Novembre; il Marino Occhipinti e Luca Vallicelli.
Quello della Uno bianca, infatti, fu un fenomeno criminale di natura complessa e stratificata, che operò in anni (1987-1994) in cui la situazione politica italiana ed internazionale erano decisamente instabili e soggette a rapide e repentine trasformazioni, il terrorismo brigatista, sebbene nella fase terminale della sua parabola, menava ancora mortali colpi di coda mentre la mafia, oltre a proseguire la sua catena di delitti eccellenti, conobbe una evoluzione stragista contro la quale lo Stato mise a segno alcuni duri colpi; la storia della Uno bianca è completamente inscritta in questo quadro d’incertezze, rivolgimenti e violenze e, quale ne sia la lettura corretta, ne costituisce un tassello non secondario.
Marino Occhipinti, uno degli ex poliziotti assassini della Banda della Uno Bianca, da pochi giorni è un uomo libero. Il Tribunale di sorveglianza di Venezia gli ha notificato in carcere, al “Due Palazzi”, il provvedimento che da subito gli consente di uscire dalla casa di reclusione di Padova. Secondo il provvedimento del Tribunale di sorveglianza il suo pentimento è “autentico”, ha “rivisitato in modo critico il suo passato” e “non è socialmente pericoloso”. Condannato all’ergastolo nel 1997 per l’omicidio di Carlo Beccari, guardia giurata di 26 anni ucciso nel 1988 durante l’assalto alla cassa continua della Coop di Casalecchio di Reno, nel Bolognese, l’ex poliziotto oggi ha 53 anni e godeva del regime di semilibertà dal 2012. Il 20 giugno scorso il suo avvocato, Milena Micele, ha presentato in udienza la documentazione a favore della libertà, che comprende le relazioni sul suo lavoro svolto fuori e dentro il carcere con la cooperativa Giotto.
La decisione dei giudici risulta esser comunque discutibile, ancor più agli occhi dei parenti di chi ha perso la vita per mano dell’ex vice sovrintendente della sezione narcotici della Squadra Mobile, e dei fratelli Savi: Roberto, Alberto (i due poliziotti) e Fabio. Occhipinti è il primo dei membri di spicco della banda, quelli che hanno materialmente commesso gli omicidi, a tornare libero, uno dei parenti delle vittime ha detto : “Siamo tutti sconvolti, potevano almeno avvisarci, per me Marino Occhipinti non è responsabile di un solo omicidio, ma di tutti i reati commessi dalla Banda della Uno Bianca, come gli altri. Deve esserci rispetto per noi”.
L’uscita dal carcere è stata possibile a seguito di un percorso riabilitativo iniziato nel 2010, quando Marino Occhipinti ottenne il suo primo permesso premio che gli consentì di partecipare alla Via Crucis organizzata da Comunione e liberazione. Nel 2012 all’ex vice sovrintendente fu concesso di stare fuori dal carcere per lavorare al call center della Usl di Padova. L’ultima concessione dei giudici risale a meno di un anno fa, quando Occhipinti ricevette un permesso di una settimana per un campo organizzato sempre da Comunione e liberazione in Val d’Aosta. L’associazione dei familiari delle vittime, presieduta da Rosanna Zecchi (vedova di Primo, giustiziato dai Savi), ha sempre protestato, ma a nulla sembra esser servito.
foto dal web
di Antonio Gentile