Il cosiddetto “miracolo economico” a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 aveva migliorato il tenore di vita dell’italiano di ceto medio e medio basso, come di quello operaio, permettendogli di realizzare qualche piccolo sogno come il televisore, il frigo, la lavatrice e l’automobile (almeno una piccola utilitaria). Il tutto pagato a rate, spesso rinunciando alle vacanze fuori città.
L’autostrada era una fila di Fiat 127, 500 e 128, e non eri figo se avevi la Bmw 316i o l’Audi perché erano scatole quadrate di metallo non per tutti. La vacanza durava talmente tanto che prendevi l’accento del posto dove andavi. La famiglia tipo di quegli anni parte tutta insieme per le vacanze, un po’ perché la patente allora non si prendeva prima dei vent’anni, ma soprattutto perché di auto in una famiglia di medio reddito in genere ne bastava una, e grazie che ci fosse.
Carica fino al tetto di valigie legate con gli appositi elastici e coperta di un nailon in caso di pioggia (che ogni tanti kilometri occorreva fermarsi a rimboccare perché sbatacchia rumorosamente), la nuova Seicento o Millecento Fiat si immette fiduciosa per una delle tante nuovissime autostrade della penisola.
Ma poiché la massa dei vacanzieri si muoveva quasi tutta il giorno successivo alla chiusura delle grandi fabbriche del nord (e delle poche del sud), all’ingresso del primo casello è già coda di svariati chilometri. In genere non ci si alterava più di tanto, l’italiano medio sapeva che questo era lo scotto da pagare per andare in ferie, e si sentiva comunque parte di un esercito di privilegiati. E la coda in autostrada è una sorta di “livella” sociale, che accomunava tutti i “cumenda” con la Maserati e gli operai calabresi che ritornano con la famigliola al paese natio. Tutti ad aspettare e pazientare, sbirciando nella macchina del vicino di coda.
La mattina in spiaggia, pure se ne avevi già a decine, ci voleva la mille lire per comprare i braccioli, il pallone il cocco. Il venerdì chiudevano gli uffici i negozi e tutti i papà partivano e venivano per stare nel fine settimana con le famiglie. Si era felici, si giocava tutti insieme, eravamo tutti uguali e se qualcuno “non tanto lo teneva”, nessun problema, dove mangiavano in quattro, mangiavano anche in cinque, sei o più’. L”unico problema di noi bimbi era non bucare il pallone, non scassare la bicicletta, non sbucciarti le ginocchia giocando, altrimenti quando rientravi “ricevevi pure il resto” ! Il tempo era bello fino al 15 di Agosto, il 16 arrivava il primo temporale e la sera ci voleva il maglioncino di filo. Intanto arrivava settembre, si ritornava a scuola, la vita riprendeva, l’Italia cresceva e il primo tema era sempre ” parla delle tue vacanze” …
Sì, perché negli anni ’60 non si vivono vere e proprie “smanie per la villeggiatura” di tipo goldoniano: le vacanze al mare in particolare diventano una vera e propria conquista sociale, che permetteva al semplice impiegato, all’artigiano e al pizzicagnolo, di piantare il proprio ombrellone accanto a quello del noto professionista, del capoufficio, dell’imprenditore; e magari, tra una chiacchiera e l’altra, stringere una specie di amicizia, perché, a contatto con la natura e tutti in costume da bagno, le differenze sociali si assottigliano, si ridiventa più umani.
Per lo più ci si accontentava di mete non troppo lontane; per chi calava dal nord industriale va bene la Liguria, una pensioncina o una camera ammobiliata (casomai si dorme in tre nel lettone), se si può invece addirittura un appartamento in affitto. I prezzi erano ancora onesti ed accessibili a tutti, ma ci si doveva accontentare magari di una località deturpata dal cemento di un’edilizia turistica selvaggia, e di un mare (già allora) non troppo pulito. Ma noi ragazzi a quel tempo non eravamo di certo consapevoli dei problemi dell’ecologia: non conoscevamo neppure la parola.
Ci bastava la presenza mitica e finalmente reale del mare, sporco o pulito che fosse, poi c’era l’agognata e rimpianta per tutto il resto dell’anno in città; la nostra terrazza e la nostra compagnia, la stessa della stagione precedente, con le varianti di nuovi adepti e di qualche defezione. (stessa spiaggia e stesso mare).
La mitica terrazza sul mare, quella dello stabilimento balneare scelto dai nostri genitori, è il luogo di convegno tacito, il nostro tempio, i nostri primi amori. Qui lontani dai “matusa” intenti al riposino pomeridiano, ci facevamo squarciare le orecchie dal primo juke-box a tutto volume (tre canzoni cento lire).
La canzone di Paul Anka, che gridava disperato “Oh Oh Diana, il rock-n-roll di Elvis, che ci faceva muovere le gambe sotto il tavolo, “Be bop a lula” diventa il tormentone dell’estate, mentre Baglioni ci faceva innamorare con “E tu…”.
Sono le ore calde, non si ballava; seduti e silenziosi ostentavamo sguardi assordi e distaccati da esistenzialisti, ci atteggiavamo, nascondendo le emozioni, ad apparire grandi e “navigati”. E’ la moda del momento. In realtà la nostra forza stava nel sentirci parte di un gruppo, nell’essere tanti, tutti insieme. Ma la sera la terrazza non era più soltanto nostra e non era più la stessa: lampadine sospese ai fili e luci del lungomare riflesse sull’acqua creavano un’atmosfera magica, un incantesimo.
Anche i genitori, rigorosamente in disparte, cedevano alla dolcezza di un valzer o al brio di una mazurka. Quelli erano però i “nostri” tempi: si respirava rinnovamento nell’aria, come nella musica, nelle idee, nella politica. Di questo ci saremmo accorti solo più tardi.
Sulla terrazza d’estate ci bastava uno sguardo un po’ più significativo, un ballo guancia a guancia, per scatenare i battiti del cuore e farci immaginare un futuro fantastico, dove tutto era alla nostra portata, tutto era ancora possibile. Il mondo che stava cambiando sapeva finalmente di giovane, e questo ci andava bene.
Oggi è tutto cambiato, tutto di corsa e in fretta, la vacanza dura talmente poco che, quando torni, non sai se sei partito oppure tornato. Hai tante cose da fare che, forse è meglio non partire proprio, ti stressi di meno almeno! Bambini viziati e nervosi, vanno dal primo giugno al campo estivo fino al 31 luglio, poi al miniclub ed il 13 settembre a scuola….ma con mammà e papà, quando ci stanno? Mamma e papa’ non hanno mai tempo, il lavoro, le faccende gli impegni, fb il cellulare …Per carità, tutti impegnati mentre l’Italia affonda e a gente fa la fame! Ogni tanto, mi chiedo se era meglio allora o adesso. Una risposta certa non saprei darla. So solo che allora eravamo tutti più felici, la società era migliore, esisteva l’Amore il rispetto la solidarietà’….Oggi ditemi voi cosa c’è rimasto di quand’egli ruggenti!!!
di Antonio Gentile