A CURA DI DOTT. FERNANDO CIARROCCHI (ASCOLI PICENO)
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Editorialista de < IL POPOLO > della Democrazia Cristiana
Coordinatore della Redazione giornalistica de < IL POPOLO > della Democrazia Cristiana
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Segretario politico nazionale della Democrazia Cristiana
Direttore Responsabile de IL POPOLO della Democrazia Cristiana
< ALCIDE DE GASPERI: CRISTIANO DEMOCRATICO EUROPEO > – PRIMA PARTE
Grazie alla preziosa collaborazione dell’arch. Giancarlo Grano (Potenza) e dei suoi stretti collaboratori, ci è pervenuto il testo riguardante l’intervento svolto da Maria Romana De Gasperi nel corso di un Convegno organizzato nell’anno 2011 dall’Azione Cattolica della diocesi di Potenza, presso la sala convegni della Parrocchia di Santa Cecilia (11 novembre 2011).
Il convegno si intitolava <ALCIDE DE GASPERI: CRISTIANO DEMOCRATICO EUROPEO > e si inseriva nell’ambito del ciclo di conferenze dal titolo < I NOSTRI MAESTRI >.
Abbiamo ritenuto sia utile per noi e per tutti i lettori de < IL POPOLO > nonchè per tutti gli attivisti e simpatizzanti della < DEMOCRAZIA CRISTIANA > di ripercorrere quell’approfondita riflessione di Maria Romana De Gasperi, onde poter approfondire la grande figura di Alcide De Gasperi, senz’altro uno dei nostri grandi Maestri, a cui attingere per poter affrontare con maggiore efficacia i grandi problemi del giorno d’oggi.
<< In questa mia conversazione con Voi desidero parlare soprattutto dell’esperienza cristiana di Alcide De Gasperi.
Un tema che mi ha attratto per lungo tempo. Avevo già affrontato il difficile compito di scrivere una biografia di mio
padre, quando mi sono chiesta che cosa, al di là delle contingenze storiche, lo avesse spinto ad affrontare con determinazione una vita tanto difficile quale quella di un cattolico dedicato alla politica.
Ho trovato una sola risposta valida: l’amore per il prossimo contro ogni calcolo, l’amore per la vita come espressione di bene e del lavoro per il bene, l’amore per quel Signore che gli era certo fosse sempre presente e che era la ragione
stessa della sua nascita e della sua morte.
La politica che sembrerebbe, ai più, il tema dominante della sua vita era invece la diretta conseguenza di quel sentire la continua presenza degli altri. La Politica era il suo modo di amare.
A 17 anni, il Presidente della Federazione delle Società Cattoliche Operaie gli mise in tasca 100 corone, e sotto il braccio 200 avvisi di convocazione, e lo mandò tra gli emigrati del Vorabergh a predicare il verbo della Rerum Novarum di Leone XIII.
“Fu ciò che feci – egli stesso commenta – tra le difficoltà di ogni specie, battendomi con i socialisti ed anarchici, mietendo applausi e fischi, sorrisi di compassione, molte busse e una bronchite di tre settimane” … Questo era il clima
nel quale lo studente De Gasperi incominciava la sua carriera politica.
Cosa lo muoveva? Certo il suo senso della giustizia, ma anche il fermento religioso e sociale risvegliato dalla lettura di quella grande enciclica, che coinvolse il suo spirito di studente in cerca di grandi ideali, capaci di dare un senso alla vita.
Il suo primo educatore in questo campo fu mons. Endrici, un giovane Vescovo di appena 38 anni, con il suo continuo richiamo agli studenti, all’educazione della volontà e del carattere. De Gasperi gli fece per qualche tempo da segretario, specie nei giorni di vacanza, quando assieme attraversavano le acque del lago di Castel Tolbino su una piccola barca a remi. Nel silenzio dell’acqua, più forti si stampavano nell’animo del giovane De Gasperi le parole di mons. Endrici che egli non dimenticò mai.
Dopo la morte del Vescovo, nel 1940, mio padre lo ricorderà con queste parole in un articolo apparso senza la sua firma sull’Osservatore Romano: ”Quale contributo di riconoscenza dovrei pagare io? Sia lodata la sua memoria perché di contro a tanti pavidi consiglieri che mi suggerivano di abdicare e di piegarmi all’avversa fortuna, mai una parola egli mi disse per diminuire l’impegno che avevo avuto come capo del Partito Popolare … mai un cenno si lasciò sfuggire, che turbasse la dignità della mia coscienza o mettesse in forse il diritto alle mie conversazioni”.
Spiritualità e politica vissero dunque sempre intrecciate e presenti al suo spirito, sembrava che l’una prendesse forza e ragioni di vita dall’altra. Esse camminavano di pari passo, per cui min è difficile distinguerle e dividerle. La sua fede trovava motivi di esistere per la sua proiezione nel mondo in cui egli viveva.
In uno dei suoi primi articoli che vennero pubblicati pubblicati sul giornale Trentino, di cui era direttore scriveva:
“… il primo comandamento di Dio nella Bibbia è un comandamento sociale e di cultura: ‘crescete, moltiplicatevi e sottomettete la terra’ cioè conquistate questa terra con il progresso, con il lavoro, con le arti, con la scienza. … Non rinchiuderti nel tuo microcosmo individuale, ma vivi una vita sociale e dedica le tue cure alla collettività.
Il mondo (ancora l’Ecclesiaste) con i suoi beni, con le sue ricchezze, con i suoi misteri, affidò Iddio agli uomini, alle loro dispute, ai loro sforzi di progresso e di ricerca del vero bene”.
Nelle prime battaglie della sua vita politica, quando il Trentino era ancora sotto il dominio austriaco, De Gasperi si batteva perché il pensiero cristiano e le proposte di riforma della società non andassero perdute tra le transazioni, gli
interessi regionali, gli egoismi della politica estera di questa regione italiana di lingua e di cultura, ma tedesca di amministrazione e nazionalità.
Nel 1914, ormai giovane deputato del grande impero asburgico, De Gasperi vede scoppiare la prima guerra mondiale e riflette sulla forza della violenza scatenata anche fra gli uomini semplici della sua terra, e li spinge ad uccidere; allora
egli scrive amaramente che un solo grido di battaglia aveva fatto crollare tutte le idee di uguaglianza e di fratellanza faticosamente conquistate dalla cultura europea, e come in un attimo quegli ideali erano diventati un mito irraggiungibile.
Ogni popolo, da parti opposte, invocava pubblicamente Dio per la vittoria: “Dio nei parlamenti – egli sottolinea – nelle regge, nelle piazze, Dio fra gli eserciti. Dio perché protegga le nazioni, Dio perché benedica i morenti, perché soccorra i superstiti”.
Pensando a tutto questo, De Gasperi conclude che alla fine, l’unico vincitore sarebbe stato solo Lui, perché cosa sarebbe oggi dei popoli se non restasse loro almeno questo Dio, nella cui fede è riposta ancora ogni speranza?
Nella piccola chiesa di Borgo Valsugana c’è una iscrizione in marmo che dice: “A perenne ricordo di Alcide De Gasperi. Democrazia, onestà e fede per Lui non furono soltanto parole”. La gente più semplice, quella che non gli aveva mai chiesto niente quando era Ministro e Presidente del Consiglio ha sentito più di altri quale eredità egli aveva lasciato.
Non sono infatti per i grandi della terra quei brevi appunti, quelle frasi anche in lingua latina che egli lascia scritte un po’ ovunque e che sono invece le tappe della sua pietà, la storia più intima della sua anima, l’indice sicuro della presenza costante del pensiero di Dio nella sua vita come nel suo lavoro.
Se ne trovano sulla carta della Presidenza del Consiglio, su quella del Ministero degli Esteri, come su semplici fogni di carta da macchina con il timbro della prigione. “Domine, ego lumen non sum: oculos esse possum, sed lumen non
sum”. Signore, posso essere occhi ma, non luce … Forse era appena uscito dal suo studio qualcuno che gli richiedeva di prendere una decisione grave e difficile … Così sotto il titolo di “tolleranza” si trovava scritto: “Tolera, quia forte toleratus es” dove aggiunge a commento: “Il Signore ha tollerato la presenza e la compagnia di Giuda”.
Non essendo quasi mai datati questi appunti restano in buona parte senza riferimento sia nel tempo, sia nelle persone. “Ogni uomo è come l’erba, la sua gloria dura quanto quella del fiore del campo… La parola del nostro Dio, invece, rimane in eterno” (Isaia, 40 6-8).
De Gasperi si rivolgeva a Dio quasi fosse dietro la sua porta, sicuro di essere non esaudito, ma certo ascoltato. Questa fiducia egli la trasportava con grande semplicità dalla vita personale a quella pubblica.
“Perdonami, scriveva, Signore, porto con me nelle mie occupazioni la tua preghiera… prega Tu nel mio lavoro e in tutta la donazione di me stesso”.
Prega Tu quasi fosse logico e naturale dire: io non ho tempo, io lavoro per te, quindi prega tu.
L’impegno cristiano nel lavoro era quindi impegnativo quanto la preghiera, era esso stesso un motivo di rivolgersi a Dio.
Egli non aveva quel senso negativo del presente che portava a meditare solo sull’assoluto e a trascurare il contingente quasi non fosse anche questo cosa di Dio; il suo realismo cristiano lo aveva portato a partecipare in quanto uomo di fede alla crescita del mondo, pur meditando prima su se stesso e poi sugli altri:
“Nessuno pensa che ogni riforma deve incominciare da sé stesso e che se la società raggiungerà lidi migliori, ognuno per conto proprio avrà aperto le ali e preso il volo senza aspettare gli altri.
Si pensa a un processo di riforme come ad un movimento fuori dal centro verso la periferia, ma non si risale al centro
medesimo che siamo noi stessi”. Si era qui al momento cruciale delle prime riforme dopo la seconda guerra.
FINE PRIMA PARTE.
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