< ALCUNE PRIME RIFLESSIONI PER LA NECESSARIA RIFORMA DEL SISTEMA TRIBUTARIO NAZIONALE E LOCALE (PER GLI ADDETTI AI LAVORI E NON) >
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo interessante contributo inviatoci dall’Avvocato Nicola Russo, di Taranto, Presidente del Comitato cittadino “Taranto futura”.
Santi Romano nel “Corso del 1930” e Massimo Severo Giannini nelle “Lezioni del 1950” affermavano praticamente che nello Stato Comunità o Stato organizzazione la potestà amministrativa era costituita da soggetti attivi e soggetti passivi ovvero tra soggetti che amministrano e soggetti amministrati.
Va però detto che oggi possiamo pensare ad un Ente pubblico (Stato, Regione, Provincia e Comune) in ragione di un’attività di tipo funzionale e non strutturale, basata sul principio di sussidiarietà orizzontale, che vede la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica in materia tributaria ed in altre materie.
Invero, proprio per fare un esempio, il Consiglio di Stato, con il parere del 25 novembre 2001, n. 3013, ha prospettato la possibilità di applicare il principio di sussidiarietà orizzontale nell’esercizio della discrezionalità amministrativa in tema di organizzazione.
Principio, quindi, non più necessariamente collegato al fenomeno della “entificazione”, ma correlato più semplicemente alla società civile e al suo sviluppo democratico tributario, a livello della “partecipazione consapevole negoziale” e non della obbligazione tributaria, all’insegna di quell’altro fenomeno che, sempre il Consiglio di Stato ( nel parere n. 1440/2003 – Adunanza del 25.8.2003), definisce “cittadinanza societaria” ovvero “la forma di un complesso di diritti – doveri delle persone e delle formazioni associative che articola la vita civica in “autonomie universalistiche”, capaci di integrare la generalità dei fini con pratiche di autogestione.
Si tratta di “sfere relazionali che sono private nella loro gestione, mentre agiscono – in maniera pubblicamente rendicontabile – in funzione di uno scopo sociale di solidarietà, quindi non per interessi strumentali propri o altrui”.
Pertanto, accanto alle note categorie del pubblico e del privato, si deve porre attenzione anche al “privato sociale”, in cui deve agire , al di là del Mercato e dello Stato, “nè per profitto, nè per comando, ma come utenti e agenti al medesimo tempo, nell’ambito di una intrinseca capacità di gestione di interessi con rilievo sociale.
Di tanto si deve dotare il nuovo sistema tributario italiano e di riscossione, concentrato soprattutto sull’effettivo “fatto giuridico tributario”, senza il quale non può certamente sorgere la “partecipazione negoziale tributaria”.
In altre parole, il sistema tributario nazionale e locale va trasformato da legge di volontà dello Stato a legge del Popolo, sulla base dell’effettivo principio costituzionale della sovranità popolare, in cui è necessario individuare la “causa” del tributo, per indurre il cittadino a pagare in forma negoziale l’obolo tributario per il servizi pubblici e privati, di cui il cittadino stesso deve riconoscerne la ragione giustificativa, tanto da eliminare proprio in materia tributaria il cosiddetto “inadimplenti non est adimplendum”, nella cosciente proporzionale capacità contributiva.
Con questa forma negoziale tributaria, il cittadino deve sapere di essere sicuro di trovare il posto sul treno oppure di trovare effettivamente costruita la strada ferrata o di verificare il funzionamento delle Ferrovia o della strada (rectius: si pensi all’attuale mal funzionamento o alla mancanza di sicurezza della rete autostradale italiana).
La “causa giuridica” negoziale del tributo deve riguardare proprio il rapporto tra la partecipazione consapevole del cittadino al pagamento del tributo stesso e l’effettivo servizio pubblico o privato, in cui le spese devono essere consapevolmente approvate tra gli attori del sistema tributario (cittadini e pubblica amministrazione), con conseguente emanazione della relativa legge o atto amministrativo.
Per fare un esempio:il comma 461 dell’art. 1 della Legge 24 dicembre 2007, n. 244, nell’ambito di una peculiare e forse quasi isolata partecipazione dei consumatori e degli utenti ai servizi pubblici locali, al fine di garantire l’universalità e l’economicità delle prestazioni in sede di stipula dei contratti di servizio che gli Enti Locali sono tenuti ad attuare, prevede (purtroppo sulla carta) la consultazione dei consumatori nel stabilire i parametri quantitativi e qualitativi del servizio generale erogato.
Tale principio giuridico (oggi praticamente disatteso nonostante l’esistenza della legge) va ampliato non solo per giustificare la “causa giuridica” del tributo locale, ma anche per quello nazionale, in tutti vari settori e servizi, con la partecipazione diretta dei cittadini o dei loro rappresentanti sotto forma di corpi intermedi ovvero di legature sociali, che Dahrendorf definisce “opzioni necessarie” (vedi “La libertà che cambia”- Ed. Laterza).
Oggi, purtroppo, la partecipazione dei cittadini al bene comune è solo prettamente programmatica.
Basti pensare alla mancata attuazione dell’art. 2 della Costituzione (in ordine alla centralità dell’individuo e delle formazioni sociali nell’ambito dell’Ordinamento giuridico), alla mancata attuazione dell’art. 118 Cost. (sull’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale), al Decreto legislativo n. 112/1998 (sul conferimento effettivo di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni ed agli Enti locali), alla mancata attuazione dell’art. 1 della Legge n. 328/2000 (che riconosce quali parti del sistema integrato, oltre che i soggetti pubblici, anche gli organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, associazioni, enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato, organizzazioni di volontariato) o alla mancata attuazione dell’art. 3, comma 5, del Decreto legislativo n. 267/2000 (in cui si afferma che:”I Comuni e le Province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”.
In definitiva, oggi, il tributo locale e nazionale deve necessariamente avere e vedere il consenso negoziale e controllo dei cittadini o delle loro formazioni sociali, lungi da quelle “Chimere corrotte”, dirette ad impaurire la Comunità nel raffigurare potenziali catastrofi esistenziali tra la generazione passata, presente e futura, in ordine al macigno del debito pubblico.
Invero, afferma Einaudi (“Miti e paradossi della giustizia tributaria”, pagg. 185-196): ”Non appena il dottrinario ha immaginato un sistema, in base al quale tutti coloro i quali si trovano in una data situazione debbono pagare, ad esempio, mille lire d’imposta su cinquemila lire di reddito, ecco che inesorabilmente, giorno per giorno, l’ala del tempo cancella l’opera del dotto legiferatore.
Tizio paga, per qualche anno, le mille lire sulle cinquemila lire di reddito della casa e ne soffre, come il giustiziere voleva. Come per tutti i dolori umani, anche il dolore dell’imposta col tempo si attenua, e l’abitudine lo fa parere minore. Giunge il momento nel quale Tizio vende la casa e se ne va Dio provveduto delle 80.000 lire, prezzo di mercato al 5% di una casa che rende netto 4000.
Egli ha sofferto l’amputazione di 20.000 lire sulle 100.000 che la casa avrebbe potuto valere se l’imposta non fosse mai esistita. Forse, se il tempo non ha ancora attutito il ricordo dei redditi e dei prezzi che furono, egli è il solo il quale ormai soffre l’imposta delle 1000 lire. Ma lui che ha venduto nessuno pensa quando si parla dell’imposta di 1000 lire gravante sulla tassa. Egli è un camminante, nella nebbia dell’orizzonte, il quale va verso altre imposte, dimentico di questa che lo ha addolorato in passato.
L’acquirente soffre dolore quando paga il tributo annuo delle 1000 lire? No, perchè egli riceve il 5%, 4000 lire annue di reddito, del capitale di 80.000 lire investite nella casa. L’imposta c’è, il Tesoro dello Stato la incassa e nessuno sente il dolore.
Benvenuto Griziotti in un suo scritto ha trovato una immagine luminosa per enunciare il fatto: l’imposta è simile ad un raggio di sole il quale colpisce la pupilla del nostro occhio e par vivo, ma viene da una stella lontanissima morta da secoli. Il raggio ha camminato nel firmamento per anni e per secoli e finalmente è giunto a noi e ci fa vedere come fosse viva la stessa che invece è spenta.
Così è di certe imposte che paiono vive: gli uomini compiono il rito di pagarle e di riscuoterle, ma chi le soffrì forse è morto da anni o da secoli e più non sente. E nessuno soffre in vece sua.
Sulla base di quanto evidenziato, va quindi riesaminato quello che è il debito pubblico rispetto alle infondate pretese economiche e finanziarie europee.
Così come deve considerarsi infondata la tesi che lo Stato riscuote maggiori imposte dalle Regioni più ricche e ne impiega i proventi nelle Regioni più povere, dato che proprio lo Stato non commisura gli interessi dei singoli cittadini, ma i bisogni generali della collettività “in proporzione dei valori” ovvero senza aver riguardo alla quantità ed importanza dei servizi pubblici che, in concreto, ognuno riceve.
Da ultimo, si ritiene che la giurisdizione tributaria attuale debba essere sostituita da un Collegio di arbitri, in primo e secondo grado, costituito da rappresentanti delle Istituzioni e rappresentanti dei cittadini, proprio nel rispetto del principio di sussidiarietà.
A cura Avv. Nicola Russo (Taranto) * mscruss33@virgilio.it * Presidente del Comitato cittadino “Taranto futura”
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