Cari lettori, questa settimana vi consiglio di vedere “Ant-man”, l’ultimo film della Marvel che uscirà nelle nostre sale il 14 agosto, con protagonisti Paul Rudd, Michael Douglas, Evangeline Lilly e Corey Stoll, la pellicola racconta le origini di Ant-Man, un insolito supereroe dei fumetti Marvel Comics.
Il film si apre con un flashback: negli anni ’90 lo scienziato Hank Pym (Michael Douglas), dopo aver inventato una formula che gli permette di rimpicciolirsi e accrescere la propria forza con una speciale, decide di tenere segreta la sua tecnologia, che nelle mani sbagliate può rivelarsi pericolosa. Anni dopo, Hank teme che il sul ex-pupillo Darren Cross (Corey Stoll), vicino a replicare la sua scoperta, possa venderla per trarne profitto e mettere in pericolo il mondo.
Forse è il caso di chiarirlo subito: per la scienza quel che accade in “Ant-Man” è del tutto impensabile. Anche arrivando a togliere spazio tra atomo e atomo si potrebbe avere un uomo piccolo come una formica, ma peserebbe sempre quanto nel formato normale. Un piccolo soldatino di piombo per il quale ogni movimento sarebbe difficilissimo, o forse impossibile. E invece il sogno che si realizza nel film è quello classico: diventare minuscoli e agili e forti come una formica. Perché il fumetto e il cinema fantastico non hanno bisogno di credibilità scientifica (e poi la scienza nel corso della storia cambia spesso opinione). Dunque chi se ne importa.
E chi se ne importa anche perché il gioco vale la candela e come tale è proposto. Qui non c’è l’uomo minuscolo e solo di fronte ai misteri della vita e del mondo che il pubblico del cinema ammirò negli anni Cinquanta nel film (in bianco e nero) di Jack Arnold Radiazioni BX – Distruzione uomo (scritto da Richard Matheson). In quel caso un uomo investito da radiazioni si rimpiccioliva e l’umanità insieme a lui perdeva la presunzione di essere padrona del mondo. Qui la faccenda è totalmente diversa: Ant-man, l’uomo formica, l’uomo minuscolo che sfrutta la sua dimensione per sconfiggere i cattivi, gioca con il suo superpotere, corre quando dentro la vasca da bagno vede l’acqua venirgli addosso come uno tsunami in stile Acquapark, e poi figuriamoci che divertimento saltare in sella a una formica volante e avere a che fare con un treno in miniatura (e non uno qualunque: il trenino Thomas). Quello di Arnold è un uomo che rimpiccioliva per una malattia inesorabile, questo rimpicciolisce e ritorna allegramente normale tutte le volte che vuole.
E’ un film per famiglie in stile Maggiolino tutto matto: ma, figlio di internet e di Youtube, questo Ant-man strizza continuamente l’occhio ai giovani spettatori che vivono il cinema spettacolare come un gioco, che conoscono i dietro le quinte del prodotto, che sanno come si realizzano i trucchi digitali, e che dunque a una storia del genere non credono affatto. Però è loro il rito collettivo di uno spettacolo che propone la finzione come tale, e che prevede la gioia (ancora collettiva) di tale consapevolezza. Il gioco si rivela anche nelle battute interne ai meccanismi dei film dei supereroi Marvel . La performance dell’attore protagonista Paul Rudd (che ha collaborato attivamente alla sceneggiatura) è in linea con questa filosofia: le sue espressioni efficaci e sbarazzine cercano continuamente complicità e lui sembra sempre a un passo dall’uscire dal personaggio e rivelare la finzione.
La trama del film riprende le avventure del secondo Ant-man fumettistico del 1979: nel primo (del 1962) era stato lo scienziato Hank Pym, scopritore della possibilità di miniaturizzare un uomo, a diventare l’uomo formica. Nella seconda versione Pym (interpretato qui da Michael Douglas) sceglie Scott Lang, un simpatico rapinatore (Paul Rudd, appunto), come cavia per la sua invenzione. Il nemico da combattere è Darren Cross, ex allievo e poi collega di Pym che gli ha rubato l’azienda e la tecnologia usandola per scopi militari, anche se tutto nella trama sembra già, volutamente, la citazione di una citazione. Il film iniziò ad essere pensato nove anni fa ed è stato scritto e riscritto innumerevoli volte. Avrebbe dovuto essere diretto da Edgar Wright, geniaccio britannico che ama dissacrare i miti (e che ha diretto Scott Pilgrim). Improvvisamente l’anno scorso Wright lasciò il progetto per divergenze creative con la produzione (dopo aver rivelato che Ant-Man sarebbe stato molto diverso dagli altri film Marvel) e la regia è passata allo statunitense Peyton Reed (che aveva fatto ritornare al cinema il Maggiolino tutto matto e che nel 2008 aveva diretto Jim Carrey in “Yes Man”).
Evidentemente Reed ha normalizzato il film sulla base di una sceneggiatura che era già piuttosto frizzante e stravagante. Una scena spicca su tutte per la sua bellezza e anche per la sua serietà. Verso la fine della sua avventura Ant-Man rischia di perdersi in un universo subatomico, silenzioso e astratto, surreale e pittorico. Pochi secondi in cui il film sembra virare verso la drammaticità e in cui l’uomo formica vive da protagonista il viaggio allucinante dell’astronauta di 2001: Odissea nello spazio. Piccoli momenti di videoarte in un blockbuster.
Michael Douglas per la prima volta si cimenta in un film tratto da un fumetto Marvel, “Ant-Man”. L’attore 70enne, due volte Premio Oscar, veste i panni dello scienziato Hank Pym, creatore della tuta miniaturizzante che trasformerà l’avventato scassinatore Scott Lang (Paul Rudd) nel minuscolo uomo formica.
Inoltre è impossibile non essere conquistati dalla bellezza, l’empatia e la storia umana della “cattiva” Ava/Ghost (Hannah John-Kamen), vera sorpresa di questo svogliato cinecomic e unico personaggio per il quale viene voglia di tifare.
Ant-Man sarà nei cinema dal 14 agosto.
di Antonio Gentile