Forse non tutti sanno e ci crediate o meno al temutissimo blue monday, il giorno più triste dell’anno, che cade sempre il terzo lunedì del mese, gennaio è spesso associato a tristezza e umore nero. Infatti, mentre i ricordi del Natale si spengono – insieme alle luci della festa – quel che resta sono le brevi e grigie giornate, le lunghe notti buie e un conto in banca spesso più magro, al contrario del girovita che si allarga denunciando gli eccessi festivi. Combinando poi tutto questo con il ritorno al lavoro e le condizioni meteorologiche che non aiutano, non si può non essere trascinati in questo mood di mestizia e stanchezza. Ma una cosa positiva c’è: non siamo soli. Una recente ricerca promossa da Almond Board of California ha infatti rivelato che l’inverno è la stagione in cui gli italiani si sentono più scarichi, con meno di uno su cinque che dichiara di sentirsi al top delle energie in questo periodo dell’anno e un 44% che viaggia con le batterie cariche per metà o anche meno.
COME NASCE IL BLUE MONDAY
Ad identificare il blue monday, nel 2005, fu il dottor Cliff Arnall, uno psicologo dell’Università di Cardiff, con una formula matematica che incrociava alcune variabili come il meteo, i sensi di colpa per i soldi spesi a Natale, il calo di motivazione dopo le Feste e la crescente necessita’ di darsi da fare. Questo giorno ovviamente non poteva che cadere in inverno, stagione che genera il winter blues, la depressione invernale.
La conferma arriva anche da una recente ricerca, “Vita ed Energia: i bioritmi degli italiani”, condotta da Astra Ricerche e promossa da Almond Board of California, secondo cui l’inverno è la stagione in cui gli italiani si sentono più scarichi, con meno di uno su cinque che dichiara di sentirsi al top delle energie in questo periodo dell’anno e un 44% che viaggia con le batterie cariche per metà o anche meno.
LE STAGIONI DELLA SOLITUDINE
Le stagioni della solitudine, dice lo psichiatra, corrispondono a fasi di transizione esistenziale, momenti in cui ci sentiamo come sospesi, più fragili.
Se l’infanzia non dovrebbe lasciare spazio alla solitudine (“Ogni bambino – dice Cro – dovrebbe avere il diritto di essere amato e accudito) i giovani, contrariamente a quanto si crede, sono i più a rischio di quel disagio esistenziale in cui la solitudine non è reale, come per gli anziani, ma nasce dalla difficoltà nel trovare la propria dimensione nel mondo.
Alla soglia dei 30 anni dovrebbe cominciare la vita adulta, sogni e progetti dovrebbero concretizzarsi. “È il momento in cui costruire il nostro futuro, eppure, soprattutto nella società attuale, è molto difficile riuscirci. Questo è fonte di ansia per chi non ha una base solida, costruita grazie ad istruzione, lavoro e affetti”.
Intorno ai 50 anni termina la giovinezza. “Si fa un bilancio della prima parte della vita e ci si prepara a una fase in cui ci sarà un declino della prestanza fisica, della salute e di tante altre cose che allietano l’esistenza”.
Il dato più intuitivo riguarda gli anziani. “Nel tempo gli affetti si perdono e non sempre abbiamo la fortuna di avere accanto familiari che ci vogliono bene. Ma l’età più avanzata può essere anche un momento di serenità se il bilancio che si fa della propria vita è positivo. Ovvio che poi il rischio di malattie fisiche, la perdita di mobilità o memoria peggiorano la solitudine e di conseguenza la salute mentale”.
QUANDO DIVENTA SOFFERENZA
Chiunque, anche se anziano, se sta bene fa progetti per il futuro. Smettere di farne è segnale che qualcosa non va. Sentirsi soli può avere un impatto reale sulla nostra salute portandoci ad abitudini di vita malsane, come fumare o trascurare visite e controlli medici. Questo stato è associato al declino della salute fisica, di quella mentale e della cognizione. “È un fattore di rischio per la depressione che a sua volta porta ad abuso di sostanze e, in un circolo vizioso, acuisce l’isolamento – spiega lo psichiatra-. Può portare anche a disturbi più gravi di tipo psicotico, come la perdita di contatto con la realtà e l’immersione in un mondo di fantasia”.
COME CONTRASTARLA
Quando la solitudine si trasforma in sofferenza diventa importante avere le informazioni necessarie per chiedere aiuto a servizi specialistici, senza dividere tra dolore fisico, psichico e inadeguatezza sociale, perché “sono tre aspetti di un unico caso di disagio”.
Può essere oggettiva, legata allo sfaldamento delle strutture sociali. In questo caso, spiega lo psichiatra, per contrastarla servono per gli anziani politiche e servizi sociali per favorire ad esempio l’autonomia negli spostamenti, il contatto con persone vicine e in grado di intervenire, centri di socialità come gli Alzheimer caffè. “Se soggettiva andrebbe stimolata la promozione di incontri di sensibilizzazione in scuole, manifestazioni culturali e pubbliche sul valore della compagnia umana e della solidarietà”.
• IL LATO POSITIVO
Ma vivere momenti di solitudine non è necessariamente qualcosa di negativo. “Sono indicati nella vita per riflettere, come anche i momenti di introversione e di malinconia possono aiutare a raccogliersi dopo una sconfitta per poi ricominciare”. Però per non esserne schiacciati bisogna essere attrezzati. “Avere una rete di persone che ci vogliono bene è fondamentale per la nostra salute. Chi ha stabilito rapporti solidi con persone significative, li ha interiorizzati, è sicuro della sua situazione affettiva e può affrontare una solitudine anche tremenda come quella degli astronauti”. Chi invece ha avuto un’esperienza di accudimento carente è più vulnerabile. “Le esperienze che ci segnano sono quelle più precoci: se abbiamo avuto genitori che si sono presi cura di noi ci portiamo dentro la loro immagine rassicurante; ma se siamo cresciuti privi del calore emotivo necessario avremo sempre bisogno di appoggiarci a qualcuno o qualcosa, come alcol o farmaci ansiolitici”, spiega lo psichiatra.
• LA SAGGEZZA COME DIFESA
C’è un legame, secondo lo studio, tra solitudine e saggezza, intesa come conoscenza generale della vita; gestione delle emozioni; empatia, compassione, altruismo e senso di giustizia; intuizione; accettazione di valori divergenti; capacità di prendere decisioni rapide ed efficaci quando necessario. Essere saggi in qualche modo ci protegge dalla solitudine. “Il riferimento alla saggezza come possibilità di salvezza è interessante – commenta Cro – rimanda a una visione più orientale della vita, che recupera dimensioni non legate solo alla produzione di ricchezza e beni, con cui oggi misuriamo il valore delle nostre vite, ma a un valore di compassione, di empatia con gli altri. Questo spiega come si possa essere felici o meno in diverse fasi della vita. Il segreto della felicità potrebbe essere proprio questo: mantenere la sintonia emotiva con le persone che ci circondano”.
• COME RITROVARE IL BUONUMORE
Tuttavia, qualche accorgimento si può adottare per contribuire a recuperare energie e buon umore, suggeriscono gli esperti: come fare dell’attività fisica, uscire con gli amici o concedersi qualche sfizio a tavola. Può aiutare anche cambiare la dieta inserendo alcuni nutrienti che possono ridurre la stanchezza, come ad esempio le mandorle che contengono niacina (vitamina B3), acido folico, ferro, riboflavina (vitamina B2) e magnesio; o uova e cereali integrali, che contengono sostanze che aiutano la produzione dell’ormone del benessere nel nostro cervello, la serotonina.
CONSOLIAMOCI CON UN ABBRACCIO
Se poi tutto ciò non dovesse essere ancora sufficiente, possiamo sempre abbracciarci. Perchè gli abbracci, spiega l’esperto Francesco Bruno dell’Università Sapienza di Roma, autore insieme a Sonia Canterini di ‘La scienza degli abbracci’ (Franco Angeli), sono un toccasana per la salute: rilasciano ormoni salutari come l’ossitocina, riducono i livelli di stress percepiti e misurati oggettivamente (con la riduzione del principale ormone dello stress, il cortisolo), fanno bene alla salute cardiovascolare, difendono dalle infezioni e sono infine in grado di sprigionare emozioni positive.
di Antonio Gentile
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