La cannabis, quando veniva utilizzata per produrre fibre tessili e reti da pesca e ne venivano consumati i semi. Tracce di queste consuetudini sono state trovate in siti neolitici di Cina, Siberia, Taiwan, Turkestan e Hong Kong. Residui di semi di cannabis bruciati sono stati rinvenuti in Romania. La più antica testimonianza letteraria legata alla marijuana usata in ambito medico si troverebbe invece nella letteratura cinese, ma su questo punto non tutti gli storici si trovano d’accordo.
Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati britannici ha determinato che nella cannabis consumata in Europa tra il 2006 e il 2016 è raddoppiato il contenuto di THC, il principio psicoattivo della sostanza. Il rischio maggiore, secondo gli studiosi, è legato al fatto che non ha subito la stessa sorte il cannabidiolo, altro principio attivo della cannabis che “frena” gli effetti psicotici e i rischi di dipendenza causati dal THC.
Tra il 2006 e il 2016 la potenza della cannabis consumata in Europa è raddoppiata, con un contenuto del principio psicoattivo THC (delta-9-tetraidrocannabinolo) salito progressivamente dal 5 percento al 10 percento. Nello stesso arco di tempo ha avuto un’impennata anche il contenuto di THC nella resina di cannabis o hashish, il famigerato “fumo”, laddove è stato registrato un balzo dall’8 percento al 17 percento (in quest’ultimo caso c’è stata una crescita vertiginosa a partire dal 2011). Anche i prezzi della sostanza stupefacente sono aumentati di anno in anno (l’hashish meno della cannabis ‘vegetale’).
A lanciare l’allarme sui potenziali rischi per la salute dei (numerosi) consumatori un team di ricerca internazionale guidato da studiosi dell’Addiction and Mental Health Group (AIM) dell’Università di Bath e del Centro nazionale per le dipendenze, Istituto di psichiatria, psicologia e neuroscienze presso il King’s College di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT) con sede in Portogallo.
Gli scienziati, coordinati dal professor Tom P. Freeman, docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’ateneo del Somerset, hanno determinato l’aumento progressivo della concnetrazione di THC nella cannabis analizzando i dati raccolti dai 28 Paesi membri della UE, dalla Turchia, dalla Norvegia e dall’OEDT. Ciò che preoccupa gli autori dello studio è soprattutto il fatto che all’aumento del THC non è seguito quello dell’altro principio attivo di maggior rilievo, il cannabidiolo (CBD), che “tiene a bada” gli effetti psicotici del primo e il rischio di dipendenza. Diverse ricerche scientifiche hanno inoltre evidenziato che il CBD ha la capacità di trattare ansia, psicosi e persino gravi forme di epilessia infantile – recentemente la FDA ha approvato il farmaco a base di cannabis Epidiolex per il trattamento delle sindromi di Dravet e Lennox-Gastaut -, si tratta dunque di una sostanza di notevole interesse medico.
“Il CBD ha il potenziale di rendere la cannabis più sicura, senza limitare gli effetti positivi che gli utenti cercano. Ma quello che si osserva in Europa è un aumento del THC e livelli di CBD stabili o decrescenti, cosa che rende potenzialmente più dannosa la cannabis”, ha dichiarato con preoccupazione il professor Freeman. Si stima che in Europa, nell’ultimo anno, abbia consumato cannabis ben il 7,2 percento dei cittadini adulti (24 milioni di persone), mentre nel mondo ci sarebbero poco meno di 200 milioni di utilizzatori, comprendendo sia chi si rifornisce nei mercati dove la cannabis è legale che chi la assume dove è proibita. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Addiction.
Completamente unisex sono invece i danni che un consumo costante di marijuana può fare sul cervello – ancora in pieno sviluppo – degli adolescenti, i suoi principali consumatori. In questo periodo più che in altri il cervello vive una fase di pieno sviluppo, rafforzamento e sfoltimento di precise connessioni neurali. Il corretto funzionamento delle sue cellule è pertanto essenziale. Il THC è simile agli endocannabinoidi, neurotrasmettitori naturali del cervello, e interferisce con la loro azione compromettendo le funzioni nervose. Danneggiando le sinapsi e lasciando i neuroni privati del loro naturale sistema di regolazione, il THC può favorire, con il tempo, l’insorgenza di depressione, schizofrenia, psicosi e disturbi nell’apprendimento. Per alcuni ricercatori, l’uso costante di marijuana in questa particolare fase dello sviluppo finisce col produrre danni permanenti alle connessioni neurali.
La varietà più potente di marijuana è la Sinsimilla, che si ricava impedendo alle infiorescenze delle piante femmine di Cannabis di essere impollinate. La pianta rimane senza semi e produce un alto contenuto di resina, con un’alta concentrazione di THC.
LOVE IS IN THE AIR…. si era il titolo di una canzone degli anni ottanta , “l’amore è nell’aria”, pare che uno studio del 2012 condotto in varie città italiane dall’Istituto di Inquinamento Atmosferico di Roma del CNR ha evidenziato tracce di marijuana – non massicce, ma comunque ben rintracciabili – nell’aria attorno al Colosseo e al Pantheon a Roma, e in quella di Torino, Firenze, Bologna, Milano e Napoli, con il capoluogo toscano in cima alla lista per le concentrazioni di “erba” (probabilmente per il gran numero di studenti che ospita).
Allora, sarà vero, l’aria di montagna fa bene, ma respirare l’aria delle città forse rende più felici!!!
di Antonio Gentile