Caos Decreto dignità: quattro regimi di regole diversi e rischio boom dei contratti a termine
L’entrata in vigore del Decreto Dignità il 14 luglio scorso, primo atto di Luigi Di Maio in veste di Ministro del Lavoro e del Ministero dello Sviluppo Economico, è stata accompagnata da un polverone di polemiche sollevate dalla pubblicazione della relazione tecnica riguardante il provvedimento.
Ma procediamo con ordine e vediamo i contenuti del decreto e la querelle sorta a seguito della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Nonostante i tafferugli e i battibecchi dei giorni scorsi seguiti alla pubblicazione del decreto legge n. 87/2018 in Gazzetta Ufficiale (n. 161 del 13 luglio 2018), recante “Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”, il c.d. “Decreto dignità” è entrato ufficialmente in vigore il 14 luglio 2018.
Dopo la firma del Presidente Mattarella, il provvedimento è stato assegnato alla Commissione Finanze della Camera: proseguendo il suo iter parlamentare, con 60 giorni per essere definitivamente convertito in legge.
Oltre a occuparsi con particolare attenzione e urgenza della disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, il testo non ha mancato di dedicarsi ad altre tematiche particolarmente sensibili per il neo ministro, quale la disciplina dei giochi d’azzardo, riservando un trattamento particolarmente stringente nei confronti delle imprese, destinatarie di fondi pubblici, che delocalizzano la propria attività.
In questo decreto ci sono diversi punti fondamentali:
1. per le imprese:
– rinvio scadenza spesometro 3° trimestre al 28 febbraio 2019, in realtà le prime bozze del decreto davano l’anticipazione dell’abolizione dello spesometro a settembre 2018 anziché dal 2019 per effetto dell’introduzione dell’obbligo della fattura elettronica tra privati.
– Aggiornamento del redditometro.
– Abolizione split payment professionisti ossia, il meccanismo di inversione contabile IVA.
2. Disincentivare le imprese che delocalizzano le proprie attività produttive al di fuori dell’Italia;
3. Disincentivare il gioco d’azzardo, vietando ogni forma di pubblicità diretta e indiretta, ivi comprese le sponsorizzazioni, per i giochi, sia quelli raccolti nelle sale o con le macchinette che quelli giocati sulle piattaforme online.
4. Intervenire in modo radicale sulle regole del mercato del lavoro precario fortemente penalizzato dal Jobs Act di Renzi;
5. Per la fattura elettronica carburante proroga ed abolizione scheda carburante rinviata di 6 mesi, ci sarà, invece, un provvedimento ad hoc che rimanderà l’obbligo di fattura dal 2019.
Tornando sulle polemiche, l’origine si deve in particolare alla precisazione, che si legge nella Relazione che accompagna il provvedimento, secondo cui il decreto voluto dal ministro del Lavoro mette a rischio 8mila posti di lavoro all’anno con la conseguenza che nei prossimi 10 anni, fino al 2028, si giungerebbe ad avere 80mila posti di lavoro in meno.
Dopo una pioggia di critiche giunte da più fronti e da diversi partiti, da Dem a Forza Italia, il ministro Di Maio ha bollato come “senza fondamento” questa stima, parlando di “boicottaggio delle lobby” e criticando l’operato di Mef e Ragionerie dello Stato.
Il Mef ha reagito duramente alle parole del ministro, sottolineando come “Le relazioni tecniche sono presentate insieme ai provvedimenti dalle amministrazioni proponenti, così anche nel caso del decreto dignità, giunto in Ministero corredato di relazione con tutti i dati, compreso quello sugli effetti sui contratti di lavoro della stretta anti-precari”.
Nelle ultime 24 ore di lavoro del Parlamento prima della pausa estiva (che durerà 35 giorni), al Senato si è arrivati all’ingorgo. Un imbuto in cui sono caduti l’esame del decreto Dignità e del Milleproroghe che contiene tra le altre cose le misure sui vaccini, sulle intercettazioni, sulle aziende partecipate e sui contratti di energia. Il decreto Dignità è approdato in Aula nel pomeriggio dopo l’ok al Milleproroghe con 148 sì, 110 no e 3 astenuti, senza mandato al relatore perché le commissioni Finanze e Lavoro hanno lavorato a rilento e non hanno avuto il tempo di esaminare tutti gli emendamenti. La seduta notturna non è stata sufficiente per contrastare l’ostruzionismo delle opposizioni.
“Abbiamo mantenuto la promessa alla Camera e non è stata posta la fiducia sul decreto Dignità”. Lo ha detto il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, aggiungendo: “Anche al Senato non va posta la fiducia e bisogna votare il decreto senza atti di forza”. Sulla questione è intervenuto anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro: “Abbiamo portato a termine il lavoro prima della pausa estiva”.
Per ricapitolare, quindi, i regimi sono quattro: primo: fino al 13 luglio valeva il decreto Poletti; secondo: dal 14 luglio alla conversione in legge vale il decreto dignità; terzo: dal giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione in Gazzetta ufficiale fino al 31 ottobre varrà il periodo transitorio; quarto: dal 1 novembre valgono le nuove norme.
Quello che la circolare di Di Maio dovrà chiarire, ora, sono due punti: se dal 14 luglio alla conversione in legge vale la disciplina del decreto dignità; e se il periodo transitorio entrerà in vigore solo con la conversione in legge.
Va precisato però che la circolare ministeriale è un atto amministrativo e non un intervento legislativo. Un pezzo di carta che, non incidendo sulle decisioni dei giudici,complicherà ancora di più gli eventuali contenziosi tra datori di lavoro e lavoratori dovuti all’applicazione delle causali.
Lucia Artieri