www.ilpopolo.news * di LOREDANA VACCAROTTI
Come si compone l’organizzazione del caporalato? Il “caponero”, che organizza le squadre e il trasporto; il “tassista” che gestisce il trasporto; il “venditore” che organizza le squadre e la vendita di beni di prima necessità a prezzi spesso molto alti; “l’aguzzino”, che utilizza e impone sistematicamente violenza o la sottrazione dei documenti di identità; il “caporale amministratore delegato”, l’uomo fidato che gestisce per conto dell’imprenditore l’intera campagna di raccolta dei lavoratori.
Ci sono poi nuove forme di caporalato come il “caporalato collettivo” che utilizza forme apparentemente legali (cooperative e agenzie interinali) per mascherare l’intermediazione illecita di manodopera (assumono con un contratto a chiamata indicando molti meno giorni di quelli effettivamente lavorati) e infine c’è il “caporalato mafioso”, legato alla criminalità organizzata.
Il caporalato, ossia l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, era stato inserito tra i reati perseguibili penalmente nel Codice penale nel 2011, con un nuovo articolo: il 603-bis, collocato nel titolo XII del Libro II tra i delitti contro la persona e, in particolare, tra i delitti contro la libertà individuale.
Puniva l’intermediazione con la reclusione da cinque ad otto anni e con multe da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. La fattispecie del nuovo reato era tuttavia piuttosto complicata: prevedeva l’individuazione di un’attività organizzata di intermediazione, non dava una definizione di “intermediazione” e stabiliva una serie di specifiche condotte che costituivano lo sfruttamento.
Lanuova legge – che si compone di 12 articoli – riscrive il reato semplificandolo e liberandolo da alcune specifiche che prima ne complicavano l’individuazione. Introduce la sanzionabilità anche del datore di lavoro e non solo dell’intermediario, prevede l’applicazione di un’attenuante in caso di collaborazione con le autorità, l’arresto obbligatorio in flagranza di reato.
Una reclusione da uno a sei anni e una multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore reclutato.
Il provvedimento prevede l’assegnazione al Fondo antitratta dei proventi delle confische ordinate a seguito di sentenza di condanna o di patteggiamento per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e estende le finalità del Fondo antitratta anche alle vittime del delitto di caporalato.
L’ultima parte della legge introduce infine misure di sostegno e di tutela del lavoro agricolo come il potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, che dovrebbe raccogliere, certificare e “bollinare” le aziende virtuose e un piano per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori stagionali.
Tanti i casi di vero sfruttamento, quasi un ritorno alla schiavitù. Poche settimane fa, tanto per citarne uno,a Bisceglie (Puglia) scoperto un traffico di lavoratori sfruttati 14 ore al giorno: arrestati un imprenditore e un caporale donna
Tre arresti nell’operazione della guardia di finanza che ha fermato lo sfruttamento di braccianti agricoli impiegati nel settore della raccolta dell’uva da tavola e delle ciliegie.
Pagavano i braccianti 2,5 euro all’ora, facendoli lavorare fino a 14 ore consecutive (35 euro) sotto i teloni con temperature altissime, pretendendo che ogni giorno restituissero al caporale 2 euro, una vera tangente sulla manodopera. Con le accuse di associazione per delinquere, caporalato, estorsione, truffa ai danni dell’Inps e autoriciclaggio, la guardia di finanza ha messo agli arresti domiciliari tre persone e notificato l’obbligo di dimora per altre quattro.
Molte sono le testimonianze, ma ancora poche rispetto alla realtà. Una donna, che ha lavorato alle dipendenze della Extrafrutta per tre anni, racconta di essere addetta a incassettare le ciliegie nel magazzino di Bisceglie e, poi, all’acinellatura. Nei campi, dice la donna: “giungevo tramite un bus dell’azienda dopo essere partita da Mola di Bari, intorno alle ore 01.30 e “lavoravo anche per 15 ore consecutive, sempre in piedi, con una breve pausa pranzo di soli 30 minuti”.
La presunta caporale, Maria Macchia, che i braccianti conoscevano come “Marisa”, istruiva i lavoratori su cosa rispondere in caso di controlli dei finanzieri , fornendo loro “bigliettini promemoria”: non dovevano chiamarla “caporale”, dovevano dire di lavorare 6 ore al giorno (e non 14 come invece avveniva) e non riferire che le corrispondevano una percentuale sul guadagno-
Vorrei terminare questo articolo, informando che è stato attivato S.O.S. Caporalato lanciato dal FAI NAZIONALE della FAI CISL.
Componendo il numero verde 800199100 e sui social, è possibile raccogliere le denunce di quanti lavorano in condizioni di sfruttamento e d’illegalità. Le segnalazioni contribuiranno a dare voce a tutti quei lavoratori e vittime di caporalato.
Loredana Vaccarotti – VITERBO