Sono passati 18 lunghi anni dalla morte di Serena, ma il giallo sull’omicidio della Mollicone, 18enne uccisa il primo giugno 2001 ad Arce, in provincia di Frosinone, si è arricchito la scorsa settimana di nuovi dettagli. Un’informativa depositata in procura dai carabinieri, infatti, si concentra su cinque sospetti, tra cui la famiglia dell’allora maresciallo Franco Mottola.
Secondo gli inquirenti, Serena Mollicone è stata uccisa all’interno della caserma dei carabinieri di Arce durante una discussione con Marco Mottola, figlio dell’ex maresciallo.
Il corpo della ragazza fu ritrovato due giorni dopo in un boschetto di Anitrella, frazione di Monte San Giovanni Campano, da alcuni volontari della Protezione civile. Aveva un sacco di plastica sulla testa e le mani e i piedi legati.
Guglielmo Mollicone, padre di Serena, da 17 anni chiede che emerga la verità sulla morte della figlia. Negli scorsi giorni ha parlato di un “omicidio di Stato, come nel caso Cucchi”.
il Signor Mollicone rivela un altro elemento che legherebbe la vicenda di Serena al caso Cucchi. Sostiene, infatti, di aver compreso già 17 anni fa cosa fosse accaduto alla figlia, e di aver riferito i sospetti che nutriva verso qualche agente a Luciano Soligo, ex comandante dei carabinieri di Pontecorvo.
Soligo è attualmente indagato per la falsificazione degli atti sulla morte di Stefano Cucchi. Nel 2009 era infatti comandante della compagnia Talenti Montesacro, dalla quale dipendeva la stazione Tor Sapienza, dove il geometra romano passò la notte del fermo dopo il fotosegnalmento e il pestaggio in quella di Casilina.
Il carabiniere scelto di Tor Sapienza Francesco Di Sano ha ammesso in tribunale di aver modificato su richiesta di suoi superiori l’annotazione di piantone in cui descriveva le condizioni di salute di Cucchi.
Secondo quanto racconta Guglielmo Mollicone, Soligo – che era stato trasferito a Pontecorvo dopo l’omicidio di Serena nel 2001 – chiuse il caso sulla morte della ragazza, nonostante lui stesso gli avesse esposto la teoria che coinvolgeva alcuni agenti.
Per il delitto di Serena Mollicone oggi sono indagati Marco Mottola e i suoi genitori, accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Altri due carabinieri, allora in servizio, sono sospettati di concorso morale nell’omicidio (Vincenzo Quatrale) e favoreggiamento (Francesco Suprano).
Signor Mollicone, qual è la sensazione che prova dopo 17 anni, ora che si trova più vicino alla verità?
Potrei dire soddisfazione, gioia, certamente. Le informazioni uscite fuori in queste giorni sono cose che in realtà vado dicendo da 17 anni. La novità è che gli inquirenti le hanno verificate e quindi avvalorate. Adesso aspettiamo il prosieguo di questa vicenda. Da padre, ma anche da cittadino, mi aspetto almeno che i sospetti vengano arrestati. Anche perché ho visto arrestare il carrozziere per cose molto minori (Carmine Belli, carrozziere di Rocca d’Arce, poi assolto, ndr).
Quando ha capito cos’era successo a Serena?
Subito, ne parlai anche col capitano Soligo, che allora guidava la tenenza di Pontecorvo, dalla quale dipendeva anche la stazione dei carabinieri di Arce. È lo stesso che adesso è indagato sul caso Cucchi.
Fu trasferito l’altro capitano e venne Soligo. All’inizio era tutto infervorato, doveva risolvere il caso. Quando poi ha capito che parlavo di carabinieri, tutto è scemato fino alla chiusura del caso.
Soligo fu trasferito a Pontecorvo dopo la morte di Serena?
Sì, prima c’era il capitano Trombetti. Ma siccome c’erano stati dei depistaggi era stato trasferito, ed era subentrato il capitano Soligo.
Lei sapeva che Serena voleva andare in caserma a denunciare la situazione dello spaccio ad Arce?
Un genitore, quando cresce i figli, capisce quello che fanno. Io ho cresciuto mia figlia quasi da solo, perché mia moglie è morta che Serena aveva sei anni. Per tutta l’adolescenza lei è stata con me.
Conoscevo benissimo Serena e sapevo quello che lei faceva. Certamente, alcune cose non me le diceva, è normale, però conoscevo il suo carattere.
La sera in cui non è tornata a casa sono andato subito in caserma a denunciare, perché non era da Serena non avvisare che lei tardava.
Serena sapeva che in quella stazione lavorava il maresciallo Mottola?
Sì, io stesso conoscevo il maresciallo Mottola perché quando è venuto ad Arce ho preparato il figlio Marco in francese, per vari mesi. A casa c’eravamo io e Serena, quando veniva questo ragazzo a ripetizioni.
Marco poi ha frequentato la terza media nella stessa classe di Serena. Erano amici e spesso Marco organizzava in caserma delle spaghettate con i ragazzi, Serena compresa. La famiglia Mottola abitava nell’appartamento attiguo alla caserma.
Con gli anni Marco è stato coinvolto nel giro di spaccio del paese (Marco Mottola nega questa accusa, ndr). Ad Arce la droga in quegli anni era un problema, erano morti dei ragazzi di overdose.
Dopo la morte di Serena la situazione è cambiata?
Serena è stato lo spartiacque. Fino al 2001 droga, morti, spaccio a non finire. Dal giorno della morte di Serena in poi non c’è stato più un morto di overdose.
Come mai secondo lei?
Perché purtroppo la caserma non controllava il territorio, non faceva il proprio dovere. Non combatteva questa sostanza che aveva invaso il paese. Poi invece hanno iniziato a farlo.
Pensa che ci sia stato qualcuno, a parte le persone indagate, che sapeva e non ha parlato?
Certamente. Gli indagati sanno tutto benissimo, perché qualsiasi persona che si trovava in caserma poteva sentire ciò che stava accadendo nell’appartamento attiguo. Come facevano a non sentirla urlare?
Dalla nuova informativa risulta che Serena si sia difesa.
Sì, questa è un’altra questione. Il medico legale che all’epoca fece l’autopsia a Serena ha omesso queste informazioni. La dottoressa Conticelli disse che Serena aveva solamente una leggera frattura sulla fronte, a sinistra.
Ma il corpo di Serena era martoriato da pugni, calci, questo lei non l’ha scritto. Possibile che un medico legale non avesse visto i lividi? O voleva proteggere qualcuno?
Ci sono altre stranezze, come il cellulare di Serena, trovato in un cassetto della casa che era già stato controllato dai carabinieri.
Questo me lo spiego benissimo. La sera precedente, Serena si è addormentata sul divano a casa. A una certa ora l’ho accompagnata quasi di peso a dormire. Il cellulare è rimasto sul divano.
Siccome quel cellulare non aveva credito e non funzionava bene, Serena la mattina dopo non l’ha portato con sé.
La sera, dopo che io avevo fatto la denuncia, il maresciallo Mottola è venuto a casa da solo, in borghese e senza la macchina dei carabinieri, e ha portato via tanti oggetti riguardanti Serena. Mi ricordo benissimo.
Io avevo il mio cellulare in mano, quindi appena lui ha visto il telefono sul divano ha pensato che fosse di Serena e l’ha portato con sé. L’ha manomesso, inserendo dentro il numero del diavolo, 666, cosa che poi ha fatto indirizzare le indagini verso i riti satanici. Questo è stato avallato anche dal parroco del paese, che apparteneva alla stessa cerchia di Mottola, e che è andato da Vespa a sostenere che Serena fosse morta per le “messe nere”. Questo ha fatto perdere due mesi di indagini.
Adesso è indagata tutta la famiglia Mottola, non solo Marco. Lui tra l’altro dice di non conoscere bene Serena.
Non è vero, come ho detto prima si conoscevano bene.
Qual è stato invece il ruolo dei genitori secondo lei?
Lo hanno protetto, ma hanno anche partecipato loro stessi a quello che è successo a Serena. Quella mattina nell’appartamento c’erano sia Marco sia la madre. Secondo me – ma questa è una mia teoria – la prima a dare addosso a Serena è stata proprio la madre. Perché Marco da solo è un vigliacco, diventa forte solo quando è insieme ad altri.
Un punto poco chiaro è quello del presunto suicidio del brigadiere Santino Tuzi.
Una persona non si può suicidare e poi poggiare la pistola sul sedile affianco, è logico che gli cada tra le gambe o gli resti attaccata in mano. Con il dolore che si prova dopo lo scoppio non si ha modo di poggiarla.
La figlia di Tuzi ha anche detto di aver trovato un documento che collega le pressioni subite da Tuzi sul lavoro proprio alla vicenda di Serena.
Il maresciallo Evangelista, attuale comandante della stazione, ha fatto delle indagini personali, ha ricostruito tutto ciò che era successo in caserma e ha chiesto delle cose specifiche a Santino, che è stato costretto a parlare e a dire quello che sapeva. Anche se non tutto quello che sapeva.
Lei cosa si aspetta dopo la conclusione delle indagini?
Mi aspetterei già adesso che arrestino gli indagati, per una questione di giustizia e uguaglianza sociale. Il carrozziere fu arrestato per quattro sciocchezze. Loro hanno invece un corpo d’accusa grave e pesante, non vedo il motivo per cui non vengano arrestati. Ho anche il timore che possano scappare.
C’è qualcosa di concreto che glielo fa sospettare?
Siamo in zona di Camorra, anche se hanno ritirato loro il passaporto, non ce ne vuole tanto a procurarsene un altro. Non voglio aspettare che facciano come Battisti.
Com’era Serena? Stava scegliendo tra la facoltà di veterinaria e quella di giornalismo, come desidera oggi che sia ricordata?
Serena era una ragazza dolcissima. Era portata per il sociale e aiutava chi era in difficoltà. Era un’animalista, non poteva vedere gli animali soffrire. Tutti i soldi che metteva da parte spesso li usava per curare animali randagi. Ci ha rimesso la vita per seguire certi ideali. Se fosse stata egoista come tanti altri, a quest’ora sarebbe viva.
Lei crede nella giustizia, dopo questi 17 anni?
Ci credo e ci ho sempre creduto. Spero che la giustizia adesso attui quello che prevede la legge, come l’arresto immediato di queste persone. Devono essere processate mentre sono dentro, non fuori. Non voglio che sia un nuovo caso Vannini.
Speriamo che il caso possa essere definitivamente risolto dalla magistratura e dare finalmente giustizia alla cara Serena Mollicone e al padre che da troppo tempo aspetta un atto di giustizia.
di Antonio Gentile