Tuttavia tali dati vanno interpretati con moderato entusiasmo, sottolineando che tali numeri riguardano sì tante nuove assunzioni, ma con tipologie contrattuali discutibili: la maggior parte dell’incremento occupazione è infatti dovuto agli sgravi fiscali per le aziende per contratti a tempo determinato; che seppur rappresentano un buon passo avanti e un buon inizio per il neo lavoratore, non sono però di certo la via risolutiva per il difficoltoso mondo del lavoro e la conseguente vivibilità nella nostra società.
I contratti a termine infatti, se da una parte riducono il tasso di disoccupazione, dall’altra fanno dilagare il precariato, a cui quindi pare ancora non sia stata trovata soluzione.
La disoccupazione è scesa, ma questo dato riguarda principalmente i giovani, infatti la fascia più in difficoltà nel trovare un impiego risulta essere quella dai 35 ai 49 anni; si registra invece un vertiginoso calo dei lavoratori autonomi, quasi indirettamente proporzionale all’aumento dei lavoratori dipendenti.
Il rapporto 2018: ci sono 168,7 anziani ogni 100 giovani. E solo il 18,5% di chi parte dal basso si laurea e il 14,8% ha un lavoro qualificato. La spesa per protezione sociale è al 30% del Pil, dato superiore a quello registrato in tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea: la media è al 28,5%.
L’invecchiamento della popolazione dovuto anche al guadagno di quella anziana in termini di sopravvivenza “porta con sé, un’accresciuta domanda di cura che mette in tensione il ruolo di sostegno della rete di parentela”. Si tratta del ‘debito demografico’ contratto da un paese nei confronti delle generazioni future in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. L’evoluzione demografica degli ultimi decenni non solo ci consegna un Paese profondamente trasformato nella struttura e nelle dinamiche sociali e demografiche, ma non ci fa ben sperare per il futuro. La tendenza demografica, infatti, è destinata ad accentuare ulteriormente il processo di invecchiamento. Secondo le previsioni, tra 20 anni lo squilibrio intergenerazionale sarà ancora più critico, con 265 anziani ogni 100 giovani.
Dal 2015 l’Italia è entrata in una fase di declino demografico. All’1 gennaio 2018 si stima che la popolazione ammonti a 60,5 milioni di residenti, con un’incidenza della popolazione straniera dell’8,4% (5,6 milioni). La popolazione totale è diminuita di quasi 100mila persone rispetto ai dati dello scorso anni. Si accentua contemporaneamente l’invecchiamento della popolazione, come detto, nonostante la presenza degli stranieri, caratterizzati da una struttura per età più giovane di quella italiana e con una fecondità più elevata”.
Istat conferma per il 2018 una previsione di crescita del Prodotto interno lordo (Pil) dell’1,4% in termini reali. Lo fa nel report sulle prospettive dell’economia italiana, lasciando inalterate le stime di novembre, ma precisando che «l’attuale scenario è caratterizzato da alcuni rischi al ribasso rappresentati da una più moderata evoluzione del commercio internazionale e da un incremento più accentuato del prezzo del petrolio». Sottolineata inoltre la crescita dimezzata della produttività del lavoro rispetto ai principali Paesi Ue. Nonché la progressiva, ma lenta, diminuzione del tasso di disoccupazione (10,8%).
In Italia 7,3 milioni di italiani, il 12,1% della popolazione, vicono in condizioni di grave deprivazione, ovvero in forte disagio economico. Lo rileva l’Istat nel rapporto ‘Noi Italia’ analizzando i dati del 2016. Rispetto al 2015 la quota sale (erano l’11,5%). I picchi si raggiungono in alcune regioni del Sud, come Sicilia (26,1%) e Campania (25,9%). Ecco che in termini percentuali il valore del Mezzogiorno (21,2%, pari a quasi 4,5 milioni di persone) è quasi il triplo di quello del Centro-Nord (7,3%, poco meno di 3 milioni). È la Sicilia la regione che sconta la quota più alta di persone che vivono in condizione di grave deprivazione, ovvero in forte difficoltà economica, risultando, tra l’altro, in ritardo con bollette e affitti, o non potendosi permettere una settimana di vacanze.
Non solo. L’Istat rimarca anche che nel 2018 «il contributo dei consumi delle famiglie segnerebbe una lieve riduzione bilanciata dall’aumento di quello degli investimenti». È previsto un aumento della spesa in termini reali in leggero rallentamento rispetto agli anni precedenti, con un incremento dell’1,2%. Tuttavia, aggiunge l’Istituto, «in presenza di prospettive di crescita positive e di un clima favorevole sul mercato del credito, nel 2018 il recupero degli investimenti è atteso proseguire (+4,0%), trainato dalla spesa in macchinari e attrezzature e in proprietà intellettuale.
Eppure tra le persone di 75 anni e più la quota di coloro che dichiarano un sostegno debole (19,1 per cento) rimane comunque alta, poiché entrano in una fase della vita particolarmente critica. Nel confronto con l’Unione europea, l’Italia mostra una maggiore fragilità: per tutte le classi di età è più bassa la quota di chi percepisce un sostegno forte (27,8 contro 34,1 per cento) ed è più elevata la quota di chi dichiara una percezione di un sostegno debole (17,4 contro 15,5 per cento).
Va anche considerato un dato importante , l’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, è utilizzato ai sensi di legge per adeguare i valori monetari, come ad esempio gli affitti o gli assegni dovuti al coniuge separato.
L’indice FOI, a differenza dell’indice NIC (riferito all’intera collettività), registra la variazione dei prezzi al consumo delle famiglie che fanno capo a un lavoratore dipendente operaio o impiegato. L’indice è pubblicato mensilmente dall’Istat sul proprio sito web e sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
di Antonio Gentile