di ANTONIO GENTILE – Segretario nazionale Sviluppo e Organizzazione della Democrazia Cristiana
Luigi Sturzo nasce in Sicilia, a Caltagirone, il 26 novembre 1871, da una famiglia dell’aristocrazia agraria. Giovanissimo decide di prendere i voti: entra quindi in seminario per dedicarsi agli studi filosofici.
La “Rerum novarum” (1891) di papa Leone XIII – prima enciclica sulla condizione degli operai sulla “questione sociale” , motivano il giovane Sturzo a orientarsi verso l’impegno sociale, rivolto a tutti i sacerdoti di uscire “dal chiuso delle sacrestie” e di impegnarsi nella società civile per contribuire a migliorare la vita della povera gente.
A Roma frequenta l’Università Gregoriana e partecipa del fervore culturale dei giovani cattolici, attratti dal dinamismo della prima “democrazia cristiana” e dalla figura del pontefice Leone XIII.
La vita di Sturzo abbraccia vicende storiche importanti per il nostro Paese: il periodo liberale in cui maturò le sue idee e fondò il suo capolavoro politico, il Partito Popolare Italiano, la cui nascita fu accolta da Antonio Gramsci come il fatto storico più importante dopo il Risorgimento. Il periodo fascista, in cui conobbe l’amarezza e la sofferenza dell’esilio per sua opposizione intransigente al regime. L’esilio fu per Sturzo un fecondo periodo di studi e di riflessioni, di viaggi internazionali, durante i quali maturò il suo ideale di libertà e giustizia.
Sturzo si mostra assai critico verso il centralismo dello Stato liberale, la diffusa pratica del trasformismo politico, l’assenza di un progetto per il Sud Italia.
Nel 1895 dà vita al primo comitato parrocchiale e a una sezione operaia nella parrocchia di San Giorgio. A Caltagirone fonda le prime casse rurali e cooperative. All’interno dell’Opera dei Congressi, che allora riuniva le associazioni laicali cattoliche, Sturzo sostiene il “non expedit” (che da Pio IX vietava ai cattolici di prendere parte alle elezioni politiche nazionali, si disse “nè da eletti, nè da elettori”) che, tuttavia, interpreta come momento di transizione all’impegno politico per i cattolici italiani. In questo senso, la battaglia per le autonomie locali è ritenuta da Sturzo un’ottima scuola di formazione politica.
Nel 1897 istituì a Caltagirone una Cassa Rurale dedicata a San Giacomo e una mutua cooperativa, che diede fastidio ai liberali conservatori e fondò anche il giornale di orientamento politico-sociale La croce di Costantino il 7 marzo dello stesso anno. I redattori de La croce di Costantino furono Mario Carfì, don Luigi Caruso, il canonico Filippo Interlandi-Taccia junior, il canonico Giacomo Compagno, il canonico Giuseppe Montemagno, il canonico Salvatore Cremona, Carmelo Caristia, Diego Vitale, Diego Caristia e il fratello di Luigi Sturzo, Mario Sturzo. Quest’ultimo era un uomo colto, d’intelligenza sottile, e fu autore di romanzi e di racconti, come I Rivali, Il figlio dello zuavo e Adelaide.
Nel 1898 si laurea in filosofia alla Gregoriana e si dedica pienamente al lavoro politico, culturale e sociale. Con i moti del maggio 1898, le repressioni anti operaie del generale Bava Beccaris, gli stati d’assedio nelle grandi città, il processo a don Davide Albertario, inizia a delinearsi il conflitto interno all’Opera dei Congressi fra intransigenti e democratici cristiani. Il mantenimento dell’unità – sostenuta da Leone XIII- del movimento cattolico, diventava quindi sempre più difficile.
Nel 1900, al seminario di Caltagirone dove insegna, Sturzo tiene un ciclo di lezioni sui “Principi di economia politica” del gesuita Matteo Liberatore, uno dei redattori della Rerum novarum, in cui si esprime la convinzione che la diffusione di “un gran numero di operai-proprietari” sarebbe stato fattore di stabilità sociale, essendo questi “meno spostati e meno anarchici alla società”
Diceva Sturzo in Senato,
“Parecchi colleghi vorranno da me sapere a che servono nella mia concezione i partiti. Come uomo politico e come fondatore di un partito, rispondo chiaramente: i partiti servono a molte cose utili e vantaggiose per la democrazia, meno che a sostituirsi al Governo, alle Commissioni parlamentari, alle due Camere, in quel che la Costituzione riconosce come potere, facoltà, competenza, responsabilità propria degli organi supremi dello Stato”.
Nello stesso anno del 1900 in un articolo proprio intitolato “Mafia” Sturzo denuncia la mafia “che stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; quella mafia che oggi serve per domani essere servita – sono parole di Sturzo -, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia, ma afferra anche Roma”, temi che riprenderà anche in un testo teatrale.
Per Sturzo il riconoscimento dei diritti di libertà non poteva essere completato senza l’acquisizione dei diritti civili ed economici, prima, e politici, dopo, da parte del popolo. I successi politici e personali spinsero Sturzo a completare l’opera di rinnovamento e trasformazione iniziata a livello locale anche con una battaglia moralizzatrice della politica comunale, organizzando a livello nazionale il partito laico dei cattolici. Recandomi in Senato spesso passo davanti all’albergo Santa Chiara, dove una lapide ricorda l’appello a tutti gli uomini “Liberi e Forti”. Con quest’appello del 1909 rivolto a tutte le classi sociali che “sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti”, Don Sturzo fondò il Partito Popolare Italiano a cui aderirono tutti coloro che, facendo propri i valori cattolici, desideravano impegnarsi per la rinascita della società. Presentò i cattolici come una terza via capace di conciliare il meglio delle due forze, liberali e socialiste, che si contendevano la società italiana
Sturzo insegna e diffonde anche la filosofia di Rosmini, sebbene una delle opere centrali del filosofo trentino, “Le Cinque piaghe della Chiesa”, era stata posta all’indice. Nei primi anni del Novecento, Sturzo collabora al quotidiano cattolico palermitano “Il Sole del Mezzogiorno” distinguendosi tra i meridionalisti più accesi e battaglieri, accanto a Salvemini e a Nitti.
Le tesi di Sturzo sostengono il decentramento amministrativo e finanziario regionale, la federazione tra le regioni, l’organizzazione della resistenza contadina e del credito agrario attraverso le casse rurali e le cooperative per formare una piccola e media proprietà agricola, a fianco della quale deve svilupparsi anche la piccola e media industria. Il comune rappresenta, secondo Sturzo, la vera base della vita civile libera dalle ingerenze dello Stato centrale. Il comune non è un ente burocratizzato, ma una struttura responsabile che gestisce le proprie attività economiche, a cominciare dai servizi pubblici al cittadino.
Nel 1902 i cattolici di Caltagirone, sotto la guida di Sturzo, si presentano come formazione politica di centro alle elezioni amministrative locali.
Nel 1905 Sturzo è nominato consigliere provinciale e, dal 1905 al 1920, diviene prosindaco. In questi anni Sturzo scrive anche di poesia e di teatro.
Il suo celebre discorso di Caltagirone (dicembre 1905), “I problemi della vita nazionale dei cattolici”, segna uno spartiacque tra la posizione tradizionale dei cattolici dell’Opera dei Congressi, obbedienti al non expedit, e la nuova fase che prelude alla formazione di un partito laico, democratico e costituzionale di ispirazione cristiana. Nel discorso, Sturzo delinea infatti le caratteristiche di un futuro partito dei cattolici (non partito cattolico), la cui fisionomia verrà definita nell’appello “A tutti gli uomini liberi e forti” (appello, non solo rivolto ai cattolici).
Con quest’appello del 1909 rivolto a tutte le classi sociali che “sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti”, Don Sturzo fondò il Partito Popolare Italiano a cui aderirono tutti coloro che, facendo propri i valori cattolici, desideravano impegnarsi per la rinascita della società. Presentò i cattolici come una terza via capace di conciliare il meglio delle due forze, liberali e socialiste, che si contendevano la società italiana.
Sturzo si batté con coraggio per la libertà del Parlamento, nel suo ultimo discorso al Senato nel luglio del ’58 affermava: “Che ci stanno a fare i deputati e i senatori nelle rispettive Camere? Solo per eseguire gli ordini dei partiti, mentre i capi dei Gruppi parlamentari ne sono solo i portatori?”. Secondo Sturzo “quando gli eletti dal popolo (e non dai partiti) varcano la soglia della Camera e del Senato (in Commissione o in Aula) hanno una loro responsabilità morale e politica che li lega allo Stato e rispondono personalmente della vita nazionale”.
Son parole su cui dobbiamo tutti riflettere; testimonianza di una considerazione alta e nobile del mandato parlamentare, un modello cui noi eletti dal popolo oggi più che mai dobbiamo ispirarci. (Fine Prima Parte)
di ANTONIO GENTILE – Segretario nazionale Sviluppo e Organizzazione della Democrazia Cristiana