Sottotitolo : Il 18 maggio 1988 moriva il conduttore, straziato da 1.768 giorni di calvario per un abbaglio dei magistrati. La gogna mediatica, le atroci accuse, la vergogna dell’innocente: cosa è rimasto di quella storia.
Trent’anni fa Enzo Tortora moriva stroncato da un tumore. Un anno prima la Cassazione lo aveva definitivamente assolto dall’infamante accusa di essere un “cinico mercante di morte”, uno spacciatore di droga, affiliato alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. “Mi hanno fatto scoppiare una bomba dentro”, aveva detto, proclamando invano la sua innocenza.
Il pubblico ministero Diego Marmo affermò: “Più si cercavano le prove della sua innocenza, più si trovavano quelle della sua colpevolezza”. Non avevano trovano (e neppure cercato) un bel nulla.
Tutto si reggeva sulla parola di due falsi pentiti: uno psicopatico, Giovanni Pandico e Pasquale Barra soprannominato a ragione “o animale” che in carcere aveva ucciso il gangster milanese Francis Turatello e dopo averlo sventrato ne aveva morso le interiora.
Poi, a ruota, erano venuti un’altra ventina di “pentiti”, tutti a raccontare stupidaggini una più grande dell’altra, per poter beneficiare dei vantaggi concessi ai “pentiti”. Un autentico, vero scandalo per il quale nessuno poi ha pagato: non i “falsi pentiti”; non i magistrati della pubblica accusa, che anzi, tutti hanno fatto carriera.
Accuse che poi, con fatica e con pazienza sono state smontate: ma non da chi aveva il compito di vagliare le accuse, e con attenzione firmare i mandati di cattura; dalla difesa di Tortora si era fatta una vera e propria contro-inchiesta, che aveva smontato, letteralmente, l’inchiesta della procura napoletana.
Tortora invece patisce una lunga carcerazione; un alone di sospetto duro a morire. Al suo fianco anche i radicali come Pannella. All’inizio, almeno: “eroi della sesta giornata” si sono affrettati a giurare e spergiurare sulla sua innocenza; e molti fino a qualche ora prima avevano giurato sulla sua colpevolezza.
Sono passati trent’anni dalla morte di Enzo Tortora, ucciso ad appena 59 anni da quel tumore a cui non è estranea l’ingiusta persecuzione. Trent’anni non sono pochi, sono comunque sufficienti perché il ricordo della sua vicenda si scolorisca, se ne smarrisca la memoria.
E’ dunque importante non dimenticare, continuare a ricordare che il “caso” Tortora non è solo il “caso” Tortora, ma è il “caso” Italia: il caso della giustizia negata, del diritto calpestato, della conoscenza che non abbiamo, che ci viene impedita, muore a a soli 59 anni nella sua casa di Milano il 18 maggio 1988, vicino ai suoi cari che non smisero mai di stare al suo fianco.
di Antonio Gentile