La nostra rubrica Scomparsi, oggi è dedicata a un grande campione della Formula 1, e parleremo di uno dei campioni più amati e discussi di sempre: Ayrton Senna. Una carriera sopra le righe, sempre alla ricerca della vittoria ad ogni costo, in un periodo in cui ha dovuto misurarsi con diversi avversari di valore assoluto, il che ne accresce ulteriormente la statura. Ripercorriamo dunque nei dettagli la vicenda sportiva e umana di questo immenso campione, dalle prime corse in kart fino a quella tragica domenica ad Imola.
Ayrton Senna ha corso in Formula 1 dal 1984 al 1994, 10 stagioni complete e l’inizio dell’undicesima. In questo arco di tempo abbastanza breve, il pilota brasiliano ha preso il via in 161 gare ed è riuscito a vincere 3 titoli mondiali e 41 gran premi. A ciò si aggiungono 65 pole positions e 19 giri più veloci in gara. E’ salito sul podio per 80 volte, vittorie comprese; ma si è anche ritirato in 60 gare. Per quanto riguarda i campionati vinti, lo superano solo Michael Schumacher, Juan Manuel Fangio, Lewis Hamilton, Alain Prost e Sebastian Vettel. Ne hanno vinti tre come lui Jack Brabham, Jackie Stewart, Niki Lauda e Nelson Piquet. In quanto a gran premi vinti, Senna è superato solo da Schumacher, Hamilton, Vettel e Prost.
Osserviamo la sempre interessante statistica della percentuale di vittorie, l’unico parametro che consente un accenno ragionevole di confronto fra piloti di epoche diverse, perché descrive la performance di ciascuno in rapporto al proprio periodo; tenendo presente che, da quando esistono le corse, prima o poi i piloti migliori arrivano sempre a guidare le macchine migliori. Ecco che Ayrton ha il 25,47% di gare vinte in rapporto a quelle disputate. Ciò ne fa l’ottavo in questa particolare graduatoria (filtrata tra chi ha vinto almeno 10 gran premi). Davanti a lui tutti i piloti sopra citati più Jim Clark e Alberto Ascari ma escluso Vettel. Tale statistica è in parte anche un indice del carattere di Senna, il quale rischiava ogni volta l’impossibile per vincere la singola gara e superare in qualsiasi condizione; non sempre gli è andata bene.
Ancora più impressionante è il dato sulle pole positions. Solo Hamilton (83) e Schumacher (68) lo superano in numero assoluto. Il dato resta strabiliante anche considerando la percentuale di pole sui gran premi disputati. Qui Senna è quarto col 40,37%, meglio di Hamilton (attualmente al 36,24%), molto meglio di Vettel (25,11%). Lo superano solo Fangio (56,86%), Clark (45,83%) e Ascari (43,75%).
Ayrton Senna nacque il 21 marzo 1960 a San Paolo. La famiglia era benestante; il padre Milton Da Silva possedeva alcune aziende agricole e anche una fabbrica di componenti per automobili. Di conseguenza quel bambino respirava benzina quando ancora era nella culla. Ayrton aveva anche una piccola percentuale di sangue italiano, poiché la famiglia della madre, Neide Senna, era di origini napoletane. Quando divenne un personaggio noto in F1, Ayrton scelse di usare il solo cognome della madre, poiché meno comune di Da Silva.
La passione per i motori arrivava da lontano. Infatti fu il padre stesso a costruire un kart al figlio quando quest’ultimo aveva solo 4 anni. Il talento innato di Ayrton come pilota emerse subito, poiché si racconta che all’età di 7 anni guidasse con notevole facilità il fuoristrada di Milton. Non lontano dalla residenza dei Da Silva c’era un kartodromo, nel quale Ayrton cominciò a cimentarsi a soli 10 anni. Ma dovette attendere di compierne 13 per partecipare alle corse, poiché le leggi locali vietavano di farlo prima.
Le vittorie arrivarono ben presto, fin dalla prima gara in assoluto, dove vinse partendo dalla pole. Si registra il primo successo importante nel 1977 (anno in cui si diplomò in fisica), il campionato sudamericano nella categoria 100 cc. Ayrton, sempre appoggiato finanziariamente dal padre, si trasferì in Europa dove affinò la già dirompente abilità. Nel 1981 era tempo di passare alle auto vere e proprie: campionato britannico Formula Ford 1600, 12 successi su 20 gare. In quella stagione emersero immediatamente anche le sue doti sul bagnato, in particolare nella gara di Stetterton, dove quando cominciò a piovere lui scavò un fossato fra sè e gli altri.
Tuttavia le corse sono sempre state costose. Per passare ad una categoria più importante servivano sponsor e Ayrton non ne aveva, nonostante si fosse messo subito in evidenza. Anche il padre non aveva più tanta voglia di sostenere la costosa attività del figlio; nei suoi progetti c’era invece quello di affidargli un giorno l’azienda di famiglia.
Questo fu il momento più critico: per una mera questione di denaro, il mondo dell’automobilismo ha rischiato di non vedere mai Senna. Ayrton stava per soccombere all’assenza di finanziamenti e quasi decise di ritirarsi prima ancora di cominciare. Ma evidentemente non voleva mollare senza combattere, quindi martellò senza sosta il genitore; il quale si rese conto che le corse erano il vero sogno della vita di Ayrton. Dato anche il cristallino talentaccio del ragazzo, il buon Milton accettò nuovamente di aprire il borsellino.
Dunque nel 1982 Ayrton Senna fu in grado di partecipare alla Formula Ford 2000. دمبلة اون لاين Ripagò ampiamente gli sforzi economici della famiglia, vincendo 23 gare su 29. Questa volta l’ambiente non poté più ignorare questo giovane fenomeno. La scuderia Toleman gli offrì di salire in Formula 3, accollandosi l’impegno economico; la prospettiva era di arrivare in breve tempo in Formula 1.
Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare, si dice. Ayrton non riteneva quel gioco abbastanza duro e attese prima di giocare. Respinse inaspettatamente l’offerta Toleman, perché non la riteneva una scuderia in grado di farlo vincere nella massima serie (aveva le idee chiare fin dall’inizio). Andò comunque in Formula 3 per la stagione 1983, sempre nella serie inglese, accettando un volante su una Ralt-Toyota. Qui accese una lotta ravvicinata con Martin Brundle, prima di vincere il campionato solo nella gara finale.
Era il momento della verità: Ayrton si sentiva pronto per la Formula 1. In quei mesi aveva effettuato dei test su McLaren e Williams, però le due grandi scuderie non ritenevano ancora il giovane brasiliano abbastanza maturo per la categoria principale. Egli provò anche la Brabham e si parlava di trattative avanzate con Bernie Ecclestone per il posto di seconda guida, accanto al campione del mondo Nelson Piquet. Ma l’ingaggio andò in fumo, sembra per l’intervento dello sponsor principale della scuderia, la Parmalat, che preferiva un pilota italiano (fu scelto Teo Fabi).
Allora la Toleman bussò nuovamente alla porta del brasiliano. Test a Silverstone, Senna non conosceva l’auto ma migliorò di un secondo il tempo fatto da Derek Warwick qualche mese prima in gara. La scuderia inglese offrì un contratto in F1 per la stagione successiva e questa volta il brasiliano non fece lo schizzinoso.
La Toleman motorizzata Hart non era una squadra all’altezza di puntare alla vittoria. Tuttavia Senna si mise subito in luce in quell’ormai epico Gran Premio di Monaco del 1984. Fu un vero diluvio. Senna partì 13° e fece un numero impressionante di sorpassi trovandosi presto nella scia del leader, Prost, ma guarda un po’. Il novellino si permise di rimontare ben tre secondi al giro al professore. E lo superò proprio nel momento in cui il direttore di gara Jacky Ickx decise di esporre la bandiera rossa insieme a quella a scacchi. Corsa finita anzitempo; tuttavia la vittoria andò a Prost, perché valeva la classifica al giro precedente.
Dopo appena sei gare disputate Senna era già diventato l’astro nascente della Formula 1. Nel 1985 la Lotus fu lesta a metterlo sotto contratto accanto ad Elio De Angelis. La vettura motorizzata Renault era brillante ma poco affidabile. Tuttavia Senna cominciò a portare a casa risultati importanti. La sua prima vittoria in carriera arrivò alla seconda gara, il Gran Premio del Portogalloall’Estoril. In quella stagione vinse un’altra gara, il GP del Belgio a Spa. E conquistò per 7 volte la pole position.
Nel 1986 Senna si confermò come pilota più veloce di tutti in qualifica; infatti quell’anno centrò la pole position per 8 volte. Tuttavia rimasero i problemi di affidabilità della Lotus-Renault; più consistenti Williams e McLaren che si giocarono il mondiale. Comunque Senna riuscì a vincere altre due gran premi e classificarsi al quarto posto finale della classifica iridata.
Nel 1987 la Lotus acquisì il motore Honda, già dimostratosi il migliore nella stagione precedente sulla Williams. Tuttavia il pacchetto complessivo di quest’ultima era superiore, quindi il mondiale diventò presto un affare a due fra Piquet e Nigel Mansell, l’avrebbe spuntata il brasiliano di Rio. Senna ottenne una sola pole position e altre due vittorie, fra cui quella di Monaco: la prima delle sue fantastiche 6. Si prese anche la soddisfazione di arrivare terzo nel mondiale, proprio davanti a Prost.
Che per Senna fosse arrivato il momento di dare l’assalto al titolo mondiale era chiaro a tutti. La Lotus non era in grado di dargli un’auto all’altezza e tutto lasciava supporre che non lo sarebbe stata nemmeno nella stagione successiva. Momento in cui la Honda avrebbe smesso di fornire i propri motori alla Williams per darli alla McLaren. C’era dunque una sola possibilità. Il corteggiamento con Ron Dennis fu breve: già a Monza venne dato l’annuncio dell’ingaggio.
Ayrton Senna 1988: campione del mondo
La stagione 1988 ha rappresentato il primo atto di quell’entusiasmante spettacolo che fu la sfida tra Ayrton Senna e Alain Prost. Il francese arrivava da una stagione non certo soddisfacente, schiacciato dalla superiorità delle Williams-Honda; invece il brasiliano, come abbiamo visto, riuscì a racimolare qualche successo. Ma Ron Dennis mise a segno il colpaccio, ingaggiando il miglior talento della nuova generazione. Però non fu tutto merito del manager inglese. Anzi, Ayrton doveva ringraziare proprio Alain, se McLaren e Honda decisero di puntare su di lui come nuovo pilota per sostituire Keke Rosberg, appena ritiratosi. Perché Dennis era inizialmente del parere d’ingaggiare Nelson Piquet; Prost invece suggerì Senna, più promettente sul lungo termine. Il francese ha ricordato in alcune interviste che, in quella riunione notturna del 1987 alla sede della Honda, quando lui espresse la sua opinione, “gli altri si voltarono tutti verso di me e mi fissarono in modo strano“. Quindi Ayrton arrivò alla McLaren. Il campionato del 1988 fu decisamente appassionante e permise al brasiliano di conquistare il primo titolo mondiale. Potete rivivere in dettaglio quell’annata fantastica leggendo il nostro articolo al link qui sopra.
Nel 1989 il team McLaren era ormai formato da due squadre avversarie, una per pilota. Ciò avvenne fin dall’inizio della stagione. L’ulteriore avvelenamento dei rapporti tra i due fu ad Imola. Dopo l’incidente di Gerhard Berger che provocò l’interruzione della corsa e una ripartenza (la sua Ferrari prese fuoco), Prost superò Senna; il brasiliano però lo risuperò alla curva Tosa, per non essere più preso. Prost finì secondo. Il problema è che dopo la gara il francese avvicinò furioso il compagno-avversario e, davanti a molti giornalisti, stava per mettergli le mani addosso. Si trattenne subito e se ne andò, senza fare dichiarazioni. Ma fece trapelare il motivo della sua rabbia: prima della gara ci sarebbe stato un accordo tra i due, chi si fosse trovato davanti dopo il Tamburello, non sarebbe stato attaccato dall’altro fino all’uscita della Tosa, la curva successiva. Questo per evitare incidenti in partenza. Tuttavia sia Senna che Ron Dennis hanno sempre negato che ci fossero accordi in tal senso. Ma appare strano che uno come Prost potesse perdere la calma in modo così plateale senza una ragione molto seria; non è in linea col personaggio.
Sta di fatto che per il resto della stagione i due corsero non come semplici avversari ma veri e propri nemici. Prost entrò in rotta di collisione anche con Dennis e la Honda, accusandoli più o meno espressamente di favorire Senna. Dopo Imola il brasiliano vinse altre due gare e sembrava lanciato verso la conferma del titolo, apparentemente dando ragione alle accuse di Prost. Tuttavia nelle corse successive Senna incappò in alcune rotture, apparentemente smentendo le accuse di Prost. Il quale in estate comunque annunciò di aver firmato con la Ferrari. Nel frattempo il francese aveva recuperato lo svantaggio e distanziato sensibilmente il rivale. Al punto che a due gare dal termine Senna avrebbe potuto conquistare il titolo solo se le avesse vinte entrambe.
Fino ad allora i due se le erano suonate in senso figurato. Ma a Suzuka le botte arrivarono per davvero, fortunatamente limitate alle lamiere delle vetture. Senna aveva ovviamente conquistato la pole position. Ma, come parecchie altre volte, Prost era partito meglio. Una leggera differenza nelle regolazioni aerodinamiche aveva permesso al francese di essere più veloce in rettilineo, quindi il brasiliano non riusciva a sorpassare. Ma Senna era “progettato per vincere“, come lui stesso avrebbe dichiarato un anno più tardi a Jackie Stewart in un’intervista. Il suo marchio di fabbrica era la decisione nell’infilarsi in qualsiasi spiraglio possibile (e impossibile) per superare. D’altra parte, non aveva alternative, doveva sorpassare Prost e mancavano 7 giri alla bandiera a scacchi.
Cambiamo marcia e usiamo il tempo presente, per noi è come se fosse oggi. Senna tenta il tutto per tutto alla chicane detta “del Triangolo”, la cui prima curva è a destra. Incollato in rettilineo agli scarichi del francese, frenata, Prost allarga per impostare la traiettoria, ecco lo spiraglio: Senna tira la staccata al limite, conserva una maggiore velocità e si affianca; come possa poi riprendere la vettura per entrare in curva così velocemente, forse non lo sa nemmeno lui; noi non lo sapremo mai, sebbene non ci saremmo stupiti se fosse riuscito a farlo, è Senna dopotutto. Sta di fatto che quella porticina che Prost aveva aperto un attimo prima la richiude un attimo dopo, sbattendola in faccia all’avversario. Patatrac, i due si avvinghiano e proseguono dritti verso la via di fuga, abbracciati come se stessero danzando un tango velenoso e soffocante. Prost l’ha fatto apposta? Chissà; tutti gli indizi sono contro di lui. Le macchine sono ferme, i due si guardano da dentro il casco, Senna alza il pollice come per dire “Bravo, complimenti”, in senso estremamente figurato. Prost lo ignora ed esce dall’abitacolo voltandogli le spalle, in questo momento ha matematicamente il mondiale in tasca. O almeno così crede.
Uno dei tratti inconfondibili del campione, in ogni sport e categoria, è quella feroce determinazione nel non arrendersi mai di fronte alle avversità, a volte nemmeno di fronte all’evidenza. Senna resta in macchina e fa dei gesti (quasi gestacci, oseremmo dire) ai commissari: spingetemi. Loro, un po’ smarriti, eseguono, anche perché bisogna sgombrare la via di fuga. La McLaren numero 1 riparte, Prost lo guarda da dietro e certamente sta sudando freddo. Ora l’altro fattaccio di cui ancora oggi si parla a quasi 30 anni di distanza: per rientrare, Senna ha dovuto formalmente tagliare la chicane, cosa vietata dal regolamento. Tuttavia, sono stati i commissari a spingerlo in quella posizione. Ad ogni modo, il brasiliano riparte in testa (sono passati circa 20 secondi dal contatto, le McLaren volavano rispetto alla concorrenza). Ma ha l’ala anteriore danneggiata che salta via, rientra al box. Nonostante tutto questo tempo perso riesce a recuperare e a vincere. طريقة لعب البولينج Senonché non vince: viene squalificato per aver tagliato la chicane. Prost ha davvero vinto il mondiale.
La questione è andata avanti per mesi; Senna non solo è stato squalificato ma anche multato di centomila dollari perché recidivo e ritenuto pericoloso (tanti erano stati infatti gli episodi “bruschi” negli ultimi due anni). Il brasiliano va su tutte le furie e si sente al centro di una persecuzione. Addirittura insulta il presidente della federazione Jean-Marie Balestre, accusandolo di avere pilotato la conclusione del campionato per favorire il connazionale. “Trovarmi in una situazione come oggi, dopo un anno di lotta in campionato ed essere privato del gradino più alto del podio, è la botta più disgustosa che si possa avere. Però questo riflette la situazione politica che abbiamo oggi in Formula 1. Una manipolazione che purtroppo esiste“. Queste le parole del pilota brasiliano in un’intervista di quei mesi. Balestre è stato un personaggio altamente discutibile, però è difficile pretendere che in quel momento potesse lasciar passare un tale affronto. Allora in inverno revoca a Senna la superlicenza per 6 mesi. Il brasiliano è veramente disgustato e medita di lasciare la F1, andare a correre in America o ritirarsi del tutto. Solo l’intervento diplomatico di Ron Dennis convince Balestre a restituire la patente al suo pilota.
Nel 1990 Prost approda alla Ferrari, macchina che ha compiuto numerosi progressi e ora si trova molto vicina alla McLaren. Ma ad inizio stagione la vettura inglese conserva ancora un certo vantaggio e Senna ne approfitta per prendere il largo, vincendo tre delle prime cinque gare contro una sola del ferrarista. Poi Prost infila tre vittorie consecutive e lo scavalca. Altre tre vittorie di Senna. E torniamo a Suzuka, sempre a due gare dal termine. Questa volta la situazione è invertita rispetto all’anno prima: è Prost a dover vincere sempre per sperare di conservare il titolo. Senna, come da copione, conquista la pole position. Stavolta il fattaccio è preceduto da mini-fattaccio in anteprima. Infatti la posizione sulla griglia di partenza per la vettura in pole è sul lato sporco del tracciato, quindi penalizzante. Senna fa notare la cosa alla direzione di corsa e chiede d’invertire le posizioni, altrimenti a che serve fare il miglior tempo in qualifica? Quasi viene accontentato ma qui Balestre interviene a gamba tesa e blocca tutto. Una vendetta brutale e anche di cattivo gusto, del resto in linea col personaggio. Tra l’altro potrebbe quasi far pensare ai più maliziosi che Senna l’anno prima avesse ragione.
Così si parte con Senna davanti ma su asfalto sporco (cioè pieno di detriti e fuori dalla più veloce traiettoria gommata dal passaggio delle vetture), all’interno rispetto alla prima curva, che si prende ad alta velocità in quinta marcia. La Ferrari di Prost scatta meglio, sfruttando appunto la pulizia della sua parte di tracciato. E anche perché in quel momento la rossa è effettivamente la macchina più veloce. Si arriva all’ingresso della curva ed ecco il replay del 1989: Prost sta largo per impostare la traiettoria, Senna s’infila, Prost chiude e i due si scontrano, finendo nella sabbia. Gara finita per entrambi, Senna è campione del mondo. Prost commenta a caldo: “L’ha fatto apposta a venirmi addosso, sono sicuro al 100%. In quella curva, dove io ero in pieno in quinta, non ci poteva essere spazio per superarmi. Infatti lui mi ha colpito all’ala posteriore, nemmeno ad una ruota“.
Senna, un anno dopo: “La posizione in griglia della pole era dal lato sbagliato. Prima delle qualifiche eravamo d’accordo con i commissari per collocarla sul lato esterno. Poi dopo le qualifiche Balestre ordinò di non invertire le posizioni. Ero così frustrato che ho detto a me stesso: se dopo la partenza perdo la prima posizione, proverò ad ogni costo a superare alla prima curva“. Allora Senna l’ha fatto apposta? Sì, non solo tutti gli indizi sono contro di lui, ma l’ha anche praticamente ammesso. Ron Dennis ha commentato con la sfacciata espressione: “rough justice“, rude giustizia.
Nel 1991 la sfida non ci fu. La Ferrari di colpo perse tutta la sua competitività. Prost non riuscì mai ad impensierire Senna e litigò a tal punto con la squadra da definire la macchina un camion parlando con la stampa, così fu licenziato dopo il GP del Giappne. Senna vinse le prime quattro gare consecutive e mise le mani sul campionato, controllando l’ascesa prepotente nella seconda parte della stagione della Williams-Renault di Nigel Mansell. Con sette vittorie totali Ayrton conquistò il suo terzo titolo mondiale.
Nel 1992 invece non ci fu la stagione. Nel senso che Nigel Mansell e la Williams-Renault a sospensioni attive ammazzarono il campionato dall’inizio, la superiorità fu schiacciante. La Honda aveva perso il pallino abbandonando il suo vincente V10 per un V12 che non ha mai dato soddisfazioni. La casa giapponese si sarebbe ritirata al termine di quell’anno. Senna riuscì comunque a vincere tre gran premi, approfittando di rari guai tecnici della Williams. Mentre Prost era assente, provvisoriamente ritirato per il suo famoso “anno sabbatico”. All’inizio del quale (pare fin da febbraio), per passare il tempo, firmò un contratto per guidare la Williams nel 1993.
E questo costituì un altro capitolo della guerra di parole tra Prost e Senna. Perché anche il brasiliano voleva quel sedile, dato che la McLaren era diventata palesemente inferiore alla concorrenza e la Ferrari non era all’altezza. Ma, per una volta, non era stato più veloce del francese; il quale firmò per primo e impose una clausola che gli permetteva di porre il veto all’ingaggio di piloti a lui non graditi. Ciò metteva fuori gioco non solo Senna ma anche Mansell, col quale l’anno trascorso in Ferrari non fu precisamente tranquillo. Senna non era uno che si teneva dentro i rancori; nella conferenza stampa dopo il GP del Portogallo 1992 (27 settembre), quando la vicenda del contratto di Prost diventò pubblica, il brasiliano dichiarò senza mezzi termini: “In questo modo Prost si sta comportando come un codardo. Se vuole continuare ad essere chiamato un campione, dovrebbe invece essere sportivo e pronto a gareggiare con chiunque e a qualsiasi condizione. Tutto gli è stato preparato come vuole lui. E’ come se per correre i 100 metri lui pretendesse di essere il solo ad indossare scarpe sportive mentre gli altri dovrebbero usare scarpe di piombo“. Curiosità: mentre Senna parlava scaldandosi sempre di più ad ogni parola, Mansell di fianco a lui sorrideva sornione sotto i baffoni. Smorfia di approvazione, perché pure lui fu messo in condizione di fare le valigie.
Tornati in pista, nel 1993 ovviamente Prost aveva tutto a suo favore: una macchina stratosferica e la squadra al suo completo servizio. Senna voleva e non voleva continuare, alla fine decise di allontanare le sirene americane e restare alla McLaren, però con le mani libere: infatti firmò un contratto valevole di gara in gara, un milione di dollari ciascuna, il precario più pagato del mondo. E quasi a voler dimostrare di essere sempre il migliore nonostante una vettura inferiore (anzi, proprio per quello), iniziò la stagione in modo folgorante: tre vittorie e due secondi posti, compensati da un ritiro per guasto ad Imola, a fronte delle tre vittorie, un terzo, un quarto posto e un ritiro del rivale. Dopo il suo sesto successo in carriera a Monaco, Senna si trovava in testa alla classifica mondiale con 5 punti di vantaggio. A quel punto decise di prolungare il contratto con la McLaren fino al termine della stagione.
Il suo capolavoro fu a Donington, per il Gran Premio d’Europa, nell’unica volta in cui la Formula 1 corse su quel tracciato. In neanche mezzo giro diede lezioni a tutti, anche e soprattutto al Professore. كيف تربح في لعبة الروليت Poche centinaia di metri che riassumono splendidamente l’immensità di Ayrton Senna in fatto di puro pilotaggio. Macchina del tempo, usiamo il presente. Piove. Il brasiliano parte in quarta posizione, dietro alle due Williams (che hanno dato un secondo e mezzo a tutti, come al solito) e alla Benetton-Ford di Michael Schumacher, astro nascente della Formula 1. Al via Senna si fa sopravanzare dalla Sauber di Karl Wendlinger. Prima staccata, affianca Schumacher all’interno e lo lascia lì, qualcosa che ben pochi in futuro riusciranno a fare. Curva a sinistra, trova Wedlinger, lo passa all’esterno trovando fuori dalla traiettoria principale un binario di aderenza impossibile per chiunque altro. Esce velocissimo e si avventa su Damon Hill, entra duro nella curva a destra e l’inglese non osa contrastarlo.
Senna vede Prost. Come un toro di fronte alla bandiera, lo punta e lo carica. Il francese se ne stava già andando perché, ricordiamolo, sotto la pioggia anche lui era uno dei migliori nonostante non la amasse. Apriamo una parentesi: il giornalista brasiliano Jayme Brito racconta che una volta chiese a Senna: “Ti piace la pioggia, vero?” E lui: “Pensi che mi piaccia correre senza vedere a cinque centimetri? Proprio per niente“.
Parentesi chiusa, torniamo in pista. Senna va a prendere Prost, in rettilineo annulla quel piccolo margine sull’avversario. Una esse a sinistra, Senna esce molto più velocemente e nel rettilineo successivo affianca Prost all’interno. All’ingresso della curva è già davanti, il francese appare annichilito. Senna vola via, nessuno lo prende più; la pioggia va e viene, tutti i piloti impazziscono in una girandola di soste ai box per montare le gomme giuste (Prost si fermerà per ben sette volte). Ma lui no, per Senna è come se non piovesse. Vincerà con un minuto e 23 di vantaggio su Hill e addirittura doppiando Prost, finito terzo. Sempre Brito gli chiede un commento sul sorpasso al francese. “Quello è stato il momento più gustoso“, risponde il brasiliano.
Possiamo chiudere a questo punto il racconto del 1993. Dopo Montecarlo la Williams diventa veramente imprendibile, mentre la McLaren comincia a rompersi troppo spesso. Senna terminerà il campionato comunque al secondo posto, grazie a due vittorie finale quando il titolo era già nelle tasche di Prost. Sul podio di Adelaide scoppia la pace. Senna e Prost festeggiano insieme e si stringono la mano. Non è una scena di circostanza, i due hanno realmente sepolto per sempre l’ascia di guerra. Anche perché Senna ha finalmente firmato con la Williams e Prost ha saggiamente deciso di ritirarsi.
C’è poco da aggiungere ad una vicenda analizzata in ogni dettaglio per molti anni, non secondariamente nelle aule di tribunale. Brevemente le premesse: nel 1994 i regolamenti tecnici sono stati modificati per limitare la superiorità della Williams, vietando le sospensioni attive e il controllo di trazione. Ma i troppi compromessi politici tra le squadre e la federazione hanno portato a macchine particolarmente fragili e instabili. Ad ogni modo la Williams resta la favorita, però di poco. Il maggiore rivale di Senna diventa Michael Schumacher sulla molto competitiva Benetton-Ford. Il brasiliano fa molta fatica nel mettere a punto la vettura in inverno. La stagione parte veramente male: nelle prime due gare ottiene la pole position ma in Brasile va in testacoda dopo la sosta ai box e in Giappone (ad Aida) viene tamponato da Mika Hakkinen.
Così arriviamo ad Imola per il Gran Premio di San Marino 1994. Qui tutte le contraddizioni della Formula 1 di quel periodo sono emerse violentemente nello stesso momento, causando uno dei weekend più sciagurati nella storia dell’automobilismo. Perché il bilancio complessivo è di 2 morti e 15 feriti, tra piloti, personale e spettatori, un disastro che non si vedeva dai tempi delle protezioni con le balle di paglia. Concentriamoci sulla vicenda di Senna, senza però dimenticare Roland Ratzenberger, morto il giorno prima in qualifica e maltrattato da un apparato mediatico vampiresco, superficiale, immorale e frivolo.
Il 30 aprile il brasiliano mette a segno il miglior tempo in qualifica prima dell’incidente di Roland. Dopo l’accaduto si fa accompagnare alla curva Villeneuve, quella dell’impatto, per controllare lo stato del tracciato. Viene multato. No comment. Domenica mattina, 1° maggio 1994, tra mille preoccupazioni, durante il warm-up trova il tempo di pensare al suo vecchio rivale; durante un giro in collegamento radio con la televisione francese TF1, dice: “Dedichiamo questo giro ad Alain. Ci manchi, Alain“. E Prost, al box come commentatore, sorride e apprezza, auspicando l’inizio di un’amicizia. Anche qui non va messa in dubbio la loro sincerità, perché i due in inverno avevano ricominciato a frequentarsi cordialmente in occasione di eventi benefici, come Prost ha raccontato anni dopo.
La gara. Al via Pedro Lamy tampona sulla griglia la Benetton di J.J. Lehto rimasta ferma. I rottami volano ovunque, anche nelle tribune: nove feriti, uno dei quali rimase in coma per un mese perché colpito addirittura da una gomma. Questo e gli altri incidenti precedenti e successivi dimostrano che le monoposto di Formula 1 del 1994 erano di cartapesta; una colpa gravissima che va imputata senza mezzi termini a squadre e federazione, che hanno giocato a fare i politici sulla pelle degli altri.
Safety car per ripulire il rettilineo del traguardo, si riparte; Senna davanti, seguito da Schumacher. Ore 14.15, al settimo giro il disastro: Ayrton entra al Tamburello a quasi 315 Km/h e improvvisamente la macchina va dritta, schiantandosi poi sulle barriere. I soccorsi sono vicini e molto rapidi (è stata subito esposta la bandiera rossa), ma le condizioni del pilota sono al di là di qualsiasi salvataggio. Ci provano comunque, il medico esegue alcuni interventi d’urgenza già a bordo pista; viene fatto atterrare l’elicottero direttamente sul luogo dell’incidente, il pilota viene trasportato all’Ospedale maggiore di Bologna.
Nel frattempo la gara riprende, vincerà Schumacher ma a nessuno importa, in quel momento. Il personale medico dell’ospedale le prova tutte, ma proprio non c’è niente da fare. Alle 18.40, quattro ore e 25 minuti dopo l’incidente, la comunicazione ufficiale: Ayrton Senna è morto.
Cosa è accaduto esattamente? Cosa ha provocato la morte del campione brasiliano? Saltando a pié pari le speculazioni mediatiche e i tentativi delle parti interessate di sottrarsi alle proprie responsabilità, ci atteniamo all’unica versione che conta, quella della magistratura, ufficializzata dalla sentenza della Cassazione numero 15050 del 13 aprile 2007. Distinguiamo innanzitutto tra cause dell’incidente e cause della morte. L’autopsia ha accertato che il decesso di Ayrton Senna è stato causato da fratture letali al cranio provocate da un oggetto appuntito. Il resto del corpo non presentava ferite gravi ad organi vitali. Quindi non è stato ucciso dall’impatto contro il muretto, avvenuto con un angolo di 22 gradi e la cui energia è stata assorbita in gran parte da vettura e barriere; le successive perizie disposte dalla Procura di Bologna hanno stabilito che l’oggetto appuntito era un braccio della sospensione anteriore destra, il quale si è spezzato dopo l’urto e ha colpito il casco di Ayrton, perforandogli la testa.
La causa dell’incidente invece, accertata dal processo, è la rottura del piantone dello sterzo, in seguito alla quale l’auto è diventata incontrollabile. Il piantone si è rotto perché dopo le qualifiche, su richiesta del pilota per vedere meglio la strumentazione, la squadra lo ha allungato con un tubo, però il componente era di diametro e spessore inferiore allo standard e la saldatura non venne eseguita perfettamente; di conseguenza le sollecitazioni durante la corsa ne hanno provocato la rottura. Così ha appurato la magistratura, nella sentenza della Corte d’appello di Bologna del 27 maggio 2005. Il collegio giudicante ha stabilito che la responsabilità di tali modifiche va attribuita al direttore tecnico della Williams Patrick Head. Imputati nello stesso processo insieme a lui con l’accusa di omicidio colposo erano il titolare Frank Williams e il progettista Adrian Newey, entrambi assolti.
Ma nel frattempo sono intervenuti i termini di prescrizione, quindi la Corte non ha pronunciato una sentenza di condanna verso Patrick Head. Il quale ricorse in Cassazione perché riteneva invece di meritare un’assoluzione piena. La Corte suprema lo ha respinto, confermando le conclusioni del procedimento di secondo grado. Nelle motivazioni della sentenza finale del 2007 i giudici hanno scritto: “Tali erronee modifiche andavano ricondotte ad un comportamento colposo, commissivo ed omissivo di Patrick Head. L’evento era prevedibile ed evitabile“.
dal web la storia di un grande campione di Formula 1, articolo di Antonio Gentile