Come nel 1963, più che nel 1963. Francia e Germania hanno firmato l’aggiornamento al Trattato dell’Eliseo, rinnovando gli auspici di una forte amicizia e collaborazione, in un clima che non è più quello della fase post-bellica, ma quello del populismo, confermando con lo stesso obiettivo: essere il motore dell’Unione europea.
Il presidente Emmanuel Macron e la cancelliera Angela Merkel hanno firmato l’aggiornamento ad Aquisgrana, città di frontiera tra Germania, Belgio e Olanda, tagliata a metà proprio a causa delle guerre che ne hanno ridisegnato la nazionalità.
“Entrambi gli Stati approfondiranno la loro cooperazione in materia di affari esteri, difesa, sicurezza interna ed esterna e sviluppo e allo stesso tempo lavoreranno per rafforzare la capacità dell’Europa di agire in modo indipendente”, chiarisce il testo del trattato. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, presente alla cerimonia, nel suo discorso ha sottolineato questo punto: “Questo accordo è per l’integrazione, non al posto dell’integrazione” nell’Unione.
Un fine immediato per questo accordo è anche quello di mostrare la capacità di collaborare e di offrire una prospettiva positiva ai cittadini, in vista delle elezioni europee di maggio alle quali si prevede un avanzamento delle forze euroscettiche e populiste.
Significativo è il passo avanti in materia di difesa e sicurezza, con l’impegno a difendersi reciprocamente in caso di attacco militare, a creare un consiglio congiunto di difesa e sicurezza e di armonizzare le regole per le esportazioni di equipaggiamenti militari.
Più preoccupante per qualche governo è l’impegno alla cooperazione economica, che punta a formare “un’area economica franco-tedesca con regole comuni”, promuovendo la cooperazione nell’economia digitale e nelle energie rinnovabili.
E’ stato il grande assente dalle cronache politiche di questi giorni, ma è il fatto più rilevante nella politica europea dopo la Brexit e, “in qualche misura, ne è una conseguenza diretta” spiega Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano. Una firma che dovrebbe sollevare più di un interrogativo nel ceto “pensante” dell’europeismo nostrano: proprio nella città-simbolo dove si assegna il Premio Carlo Magno, Merkel e Macron, alla bisogna sovranisti veri, sottoscrivono un trattato politico-militare che “formalizza quell’idea di Europa core che finora aveva avuto cittadinanza solo a livello finanziario”. E gli altri paesi? O vassalli, o colonie da tenere in riga, meglio se più povere di prima. Fantasie?
“Quel che è certo è che questo Trattato accelera il processo di disgregazione dell’Unione Europea. Il Regno Unito è stato, fino al 2016, il solo contraltare alla coppia franco-tedesca a livello politico e di occupazione degli spazi burocratici. Usciti di scena gli inglesi, che assieme a Italia, Spagna ed altri paesi potevano fare da contrappeso, gli equilibri di potenza in Europa sono saltati, il quadro è mutato, e lo spazio europeo si è improvvisamente contratto”.
E in che modo questo riequilibrio spiegherebbe l’operazione franco-tedesca?
Senza Gran Bretagna, l’Unione non ha capacità di proiezione esterna e il suo spazio di manovra sullo scenario mondiale, che nemmeno prima era granché, si è ulteriormente ristretto. Il Trattato è una manovra classica da arrocco: la mossa difensiva di due potenze diverse, ma entrambe in grande difficoltà fuori dallo scenario europeo.
A cominciare dagli Stati Uniti.
Certo. Di fronte alle pressioni americane e alle minacce di disimpegno degli Usa dalla Nato a meno che i paesi europei non incrementino l’acquisto di forniture militari americane nei prossimi anni, Francia e Germania se ne escono con questo Trattato che, almeno sulla carta, disegna una struttura di tipo quasi confederale, imperniata su organi e meccanismi stabili di collaborazione in tema di difesa, sicurezza interna, operazioni militari all’estero, industria militare, posti in Consiglio di Sicurezza Onu e concertazione sulle politiche europee. Ci troveremo una struttura polifunzionale, destinata ad operare come patto di controllo all’interno dell’Unione in attesa che Trump se ne vada, oppure, se lo sfaldamento accelera dopo le elezioni europee, come possibile piano B, che riduca tutto a Germania, con baltici e Olanda al seguito, e Francia, con esercito, nucleare e colonie della zona franco Cfa (Colonie francesi d’Africa, poi Comunità finanziaria africana, ndr).
Bisogna anche dire che i Trattati vanno giudicati più per la loro attuazione successiva che per il loro contenuto formale, ma è chiaro che, in un caso o nell’altro, l’Unione diventa qualcosa di obsoleto o, nel migliore dei casi, una struttura destinata ad essere funzionale, in chiave subordinata, ad un asse politico che ha pretese di egemonia continentale. Qui si va molto al di là di una classica cooperazione rafforzata. Si tocca la sfera militare, e dunque politica per eccellenza. In questo senso è qualcosa di nuovo e di diverso, che ricorda qualcosa della vecchia Comunità Europea di Difesa saltata negli anni 50 proprio per volontà francese. E’ evidente che questa è una Francia diversa.
Oggi c’è insofferenza in tutto il continente. Le scelte di Bruxelles sono contestate, se non dai governi, da partiti considerati “impresentabili” o anti-establishment che incrementano ad ogni tornata elettorale il loro consenso.
La verità è che a fomentare squilibri e conflitti all’interno dei paesi dell’Unione è stata la politica mercantilista tedesca, che non si è limitata ad operare all’interno del continente, ma ha cominciato ad infastidire gli stessi Usa. Se si pensa che la sola Germania ha un surplus sull’estero superiore a quello cinese, si capisce perché la proposta di Trump di livellare le spese militari al 2% dei paesi aderenti non fosse poi tanto peregrina, almeno dal suo punto di vista.
La richiesta di intervento avanzata nelle settimane scorse da parte francese all’Antitrust europeo sulla questione STX-Fincantieri, guarda caso direttamente e immediatamente appoggiata dalla Germania. Una richiesta avanzata un anno dopo quell’accordo ambiguo che era stato concluso dal Governo Gentiloni che prevedeva la spartizione 50/50 delle quote più il prestito dell’1% da parte francese. Dove alla fine non si capiva chi acquisiva chi. Chissà perché la Germania adesso si è accodata. E’ chiaro che, in presenza di accordi e Trattati del genere, tutti i discorsi sul mercato e la concorrenza, che sono la vera sostanza del diritto dell’Unione, finiscono per mostrarsi per quello che sono..
dal Web di Antonio Gentile