Gianni Agnelli: 20 anni fa moriva l’imprenditore-simbolo dell’Italia nel mondo e patron della Juventus.

Gianni Agnelli: 20 anni fa moriva l’imprenditore-simbolo dell’Italia nel mondo e patron della Juventus.
Lorenzo Raniolo (Gela/CL)

A cura di Dott. LORENZO RANIOLO (Gela/CL)

dott.lorenzoraniolo@tiscali.it * lorenzo.raniolo@dconline.info *

Editorialista de < IL POPOLO > della Democrazia Cristiana 

< Gianni Agnelli: 20 anni fa moriva l’imprenditore-simbolo dell’Italia nel mondo e patron della Juventus >.

Icona di eleganza e stile, ultimo grande capitano d’industria del Novecento, simbolo e protagonista indiscusso di un lungo capitolo della storia del Paese, nell’immaginario collettivo era soprattutto l’Avvocato.

Ambasciatore dell’Italia nel mondo, icona di eleganza e stile, ultimo grande capitano d’industria del Novecento, simbolo e protagonista indiscusso di un lungo capitolo della storia del Paese, Gianni Agnelli, il “signor Fiat”, nell’immaginario collettivo era soprattutto l’Avvocato.

Nato il 12 marzo 1921 nel capoluogo piemontese, figlio di Edoardo e di Virginia Bourbon del Monte dei Principi di San Faustino, secondo dei sette figli della coppia, quando era ancora un ragazzino di 14 anni era stato scelto dal nonno, il senatore Giovanni Agnelli e fondatore della Fabbrica Italiana Automobili Torino, come futuro uomo guida della Fiat all’indomani della prematura morte del padre, Edoardo, nel mare della Liguria.

Scapolo d’oro, raffinato playboy, amante delle macchine veloci e delle belle donne (sempre con grande riserbo) ma anche appassionato di pittura e tifoso della Juventus

e della Ferrari, Gianni Agnelli è stato il mito per tante generazioni di italiani tanto che nei giorni della scomparsa, il 24 gennaio 2003 nella residenza di famiglia sulla collina torinese, quando la notizia fece in pochi minuti il giro del mondo, molti salutarono la sua morte come quella ‘dell’ultimo re d’Italia’.

A 22 anni Gianni Agnelli entrò in Fiat come vicepresidente per prendere le redini dell’azienda di famiglia nel 1966, a 45 anni: a passargli il testimone era stato Vittorio Valletta, che aveva guidato la Fiat nel ventennio precedente.

Le biografie raccontano di una giovinezza spesa per buona parte del tempo in Costa Azzurra in una grande villa a Beaulieu, con a disposizione un aereo personale e yacht e in compagnia dei più grandi nomi del jet set internazionale. Elegante con raffinatezza, estremamente compito e attraente, con la celebre erre moscia di casa Agnelli, Giovanni spese gli anni della giovinezza anche ad allacciare amicizie e rapporti che fecero di lui l’italiano, e non solo, più famoso al mondo.

Nel 1953 sposò la principessa Marella Caracciolo di Castagneto, appartenente a un’antica nobile famiglia di origini napoletane, da cui poco dopo ebbe due figli, Margherita ed Edoardo.

Donna colta, raffinata ed intelligente gli fu sempre accanto, tanto che in un’occasione, fu proprio l’Avvocato, che di affetti, sentimenti e vita privata non parlò mai, a dire della pubblicamente della moglie ”Marella è un pezzo di me”.

Ma è sulla plancia di comando della Fiat che Agnelli è destinato e designato a salire e a rimanere saldamente in testa all’azienda (anche se dal ’96 come presidente onorario) per oltre un trentennio.

Quando l’Avvocato prese il timone della Fiat erano gli anni del boom economico. Anni in cui gli italiani impazzivano per la 600.

Ma anche gli anni in cui stava per aprirsi la stagione del movimento studentesco e delle grandi lotte operaie che nel 1968 sfociarono nell’autunno caldo. La Fiat allora stava espandendosi per la prima volta oltre i confini nazionali e gli scioperi, l’assenteismo, i boicottaggi di quegli anni ebbero sull’azienda pesanti effetti.

Nel 1974 venne eletto presidente della Confindustria e scese a patti con i sindacati siglando l’intesa per il punto unico di contingenza con la Cgil di Luciano Lama. Seguirono anni difficili e duri.

La Fiat, in difficoltà economiche, nel 1976 aprì l’ingresso del proprio azionariato alla Lafico, la finanziaria del governo libico.

Poi ci furono gli anni di piombo in cui Fiat pagò il suo drammatico tributo di morti e feriti e il 1980 con l’occupazione di Mirafiori per trentacinque giorni a seguito dell’annuncio di migliaia di licenziamenti a cui i colletti bianchi dell’azienda, sostenuti da tutta la cittadinanza torinese, risposero con la marcia dei 40 mila.

Quindi, affiancato da Cesare Romiti, Agnelli rilanciò la Fiat in campo internazionale trasformandola in pochi anni in una holding diversificata in vari settori. Punto di riferimento di una famiglia-dinastia, nel corso degli anni l’Avvocato se visse una vita piena dei più belli, famosi e potenti, visse e superò anche drammi non solo aziendali ma pure familiari. Prima la morte del padre, nel 1935, poi quella della madre, dieci anni dopo.

E ancora, il fratello Giorgio di sette anni più giovane, poi il nipote, Giovanni Alberto, primogenito del fratello Umberto, designato successore nel 1995 e scomparso solo due anni dopo a causa di una grave malattia, e nel novembre del 2000 il figlio Edoardo.

La morte di Agnelli arrivò in uno dei momenti più complessi della storia del gruppo, quattro anni dopo averne festeggiato il centenario, con conti in perdita, indebitamento altissimo, il macigno del prestito convertendo da 3 miliardi e il rischio che le banche prendessero il controllo.

Ma ancora una volta fu l’Avvocato a designare il giovane a cui la famiglia affiderà il controllo della Fiat e delle holding di famiglia, è John Elkann, primo figlio di Margherita, che nel 1997 a 22 anni, come il nonno, entra nella stanza dei bottoni del Lingotto.

Curioso e irrequieto, ironico, dalla battuta sempre pronta, cittadino del mondo e di casa negli Stati Uniti, Giovanni Agnelli sebbene sensibile al richiamo della politica non si schierò mai con un partito, a differenza della sorella Susanna che si candidò per il Partito Repubblicano e del fratello Umberto eletto nelle fila della Democrazia Cristiana.

Nel 1991 venne nominato senatore a vita dall’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga.