Giulio Andreotti detto il Divo…”non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”.
Il 6 maggio di 5 anni fa, attorno a mezzogiorno, il senatore a vita Giulio Andreotti moriva a casa sua, in Corso Vittorio Emanuele a Roma, all’età di 94 anni. Personalità politica tra le più durevoli e influenti dell’intera storia dell’Italia unitaria, Giulio Andreotti aveva guidato per ben 7 volte il Governo, presiedendo un ministero in 22 occasioni e occupando una poltrona in Parlamento in ogni singola legislatura repubblicana, dal 1945 fino al 1991 come deputato e da lì fino al 2013 come senatore a vita. Nel 1942 fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana, partito in cui militò e che a lungo diresse fino alla sua dissoluzione, nel 1994; anche in seguito restò nell’area popolare, come esponente del PPI e dell’UDC.
Oltre che per ciò che riguarda la sua sterminata attività politica vera e propria, negli ultimi due decenni la figura di Giulio Andreotti è stata al centro del dibattito nazionale sopratutto a causa dei suoi “amichevoli rapporti”, come li definirono i giudici della Corte d’assise di Palermo, con numerosi esponenti di spicco della mafia, tra cui il boss Stefano Bontate.
Tali rapporti, che prefiguravano il reato di associazione a delinquere (non esisteva ancora il reato di associazione mafiosa), furono confermati fino alla primavera del 1980 (“una concreta collaborazione”, scrivevano i giudici), ma il reato fu inteso come prescritto; Andreotti fu invece assolto “per non aver commesso il fatto” per ciò che riguarda gli avvenimenti successivi a quella data. Nonostante la sentenza, le polemiche sulle relazioni con la mafia continuarono anche negli anni successivi, persino durante il funerale, il mistero che ha sempre circondato la figura del Divo gli è certamente sopravvissuto.
Tra i numerosi messaggi di cordoglio che misero in evidenza come Andreotti aveva attraversato la storia d’Italia, quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Sulla lunga esperienza di vita del senatore Giulio Andreotti e sull’opera da lui prestata in molteplici forme nel più vasto ambito dell’attività politica, parlamentare e di governo, potranno esprimersi valutazioni approfondite e compiute solo in sede di giudizio storico”, ha scrisse il capo dello Stato in un messaggio alla Famiglia. Le Camere osservarono un minuto di silenzio. Anche se al Senato i rappresentanti del Movimento 5 Stelle continuarono a protestare contro la presidenza.
Dai Quaranta ai Sessanta: Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio a 28 anni, nel 1946, e ministro per la prima volta a 36 anni, nel 1954, quando guidò il Viminale, Giulio Andreotti in quegli anni badò al suo collegio nel Frusinate e a costruire la sua corrente all’interno della Democrazia Cristiana, corrente conservatrice e molto vicina al Vaticano. Gli anni Sessanta sono anche gli anni dello scandalo Sifar e del piano Solo, il tentato golpe del generale Giovanni De Lorenzo, scandalo che scoppiò mentre Andreotti era ministro della Difesa. E proprio dalla distruzione dei dossier del Sifar (il servizio segreto militare) nacque una delle tante polemiche che ha caratterizzato la sua vita, mentre continuavano le guerre sotterranee tra le correnti scudo crociato.
Gli ultimi anni: Le assoluzioni, arrivate “in vita” come da lui auspicato, lo hanno fatto tornare ai suoi studi e alla politica. Non quella attiva, ma quella parlamentare. Sempre presente in aula e nella “sua” commissione Esteri del Senato, dove ascoltava e veniva ascoltato con attenzione.
La vita di Giulio Andreotti andrà ancora studiata a fondo, se si vorrà davvero capire l’Italia.