La Commissione Ue taglia la previsione di crescita del Pil italiano nel 2019 dal +1,2% delle previsioni autunnali a +0,2 per cento. Una revisione al ribasso che è la più ampia in Europa e conferma l’Italia come fanalino di coda dell’Unione. Tra i maggiori stati membri, altri tagli della crescita considerevoli riguardano Germania e Olanda. Il Pil tedesco è stato rivisto a +1,1% da +1,8%, mentre quello olandese a +1,7% da +2,4%, con un taglio per entrambi i Paesi dello 0,7% rispetto all’autunno.
Riviste anche le previsioni dell’intera Eurozona per il 2019 da +1,9% a +1,3%. Per l’Italia però il taglio è ancora maggiore, dell’1% in pochi mesi, ma soprattutto, scrive la Commissione Ue nella sua Winter Forecast, mentre la frenata iniziale era “largamente dovuta al commercio mondiale meno dinamico, il recente rallentamento dell’attività economica è dovuto a una domanda interna pigra, in particolare sugli investimenti“. Pesa inoltre “l’incertezza legata alla policy del Governo e l’aumento dei costi di finanziamento“.
“Oltre a fattori esterni che si ripercuotono su molti Paesi, notiamo che in Italia l’incertezza sulle politiche economiche ha avuto ripercussioni negative sulla fiducia delle imprese e sulle condizioni finanziarie”, ha commentato il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis. “L’Italia ha bisogno di riforme strutturali profonde e un’azione decisa per ridurre il debito pubblico elevato. In altre parole, politiche responsabili che sostengano stabilità, fiducia e investimenti“.
Se vogliamo dirla tutta, questo 2019 non sarà un anno bellissimo, che la Commissione Europea ci vuole male, che vanno male tutti quindi è normale si vada male pure noi, che le politiche del governo faranno cambiare verso all’economia italiana. La verità di oggi, messa nero su bianco dalla Commissione Europea nel suo Winter Forecast sull’economia del continente, è che l’Europa rallenta, ma noi di più. Che è il crollo degli investimenti e non quello delle esportazioni ad averci fatto rallentare di nuovo. Che l’effetto delle politiche del governo, quelle per cui siamo stati in ballo per mesi, con affacci dal balcone di Palazzo Chigi e tempeste di spread assortite, è pressoché nullo, se non negativo. Soprattutto, che se non disinneschiamo l’aumento dell’Iva previsto nel 2020 saranno guai seri.
Prima questione: nessuno va male come noi ed è la mappa del winter forecast a raccontarlo alla perfezione. Siamo l’unico Paese che nel 2019 crescerà meno dello 0,5%. Che sia colpa di Renzi, di Macron o delle cavallette, è un primo dato su cui riflettere, perché si innesta anche col debito pubblico più alto d’Europa. Delle due, una: o la nostra economia è talmente debole che ha bisogno di ancora più debito pubblico per sollevarsi da terra. Oppure, cari amici, cominciamo a chiederci quanto sia utile aumentare ogni anno l’indebitamento per mantenere tutto com’è, senza mai affrontare i difetti strutturali dell’economia italiana.
Peggio ancora va con Quota 100 che riesce nel miracolo di costare un sacco di soldi, sballare i conti dell’Inps, appesantire il fardello che ogni anno ci tocca pagare in pensioni – a scapito di tutto il resto, dalle politiche per la famiglia all’istruzione – per una misura che ha un impatto negativo sull’economia italiana.
Seconda questione: il problema del rallentamento italiano è il crollo degli investimenti che “si aspetta diminuiscano bruscamente nel 2019 e rimangano immutati nel 2020”. Tradotto: se cercate il colpevole nei dazi di Trump o nel rallentamento delle esportazioni tedesche siete fuori strada. L’Italia non cresce perché non investe. E non investe perché le tasse sono troppo alte, perché non c’è certezza del diritto, perché abbiamo la peggior burocrazia d’Europa (almeno), perché il costo del lavoro è altissimo (nonostante gli stipendi siano bassi), perché mezzo Paese – quello in cui converrebbe investire – è in mano alla criminalità organizzata. Nessuno di questi nodi strutturali è stato affrontato dal governo in legge di bilancio. Anzi, già che c’erano, i nostri gialloverdi hanno differito tre miliardi di investimenti pubblici previsti per il 2019. Del resto, c’erano da finanziare il reddito di cittadinanza e quota 100. Che volete che sia?
Terzo, per l’appunto: il reddito di cittadinanza e quota 100 non fanno crescere l’economia, nemmeno un po’. L’impatto del reddito sull’economia reale, secondo la Commissione, sarà pari allo 0,1% del Pil. Non male, per una misura che doveva abolire la povertà, rilanciare l’occupazione e fare da volano alle assunzioni delle imprese attraverso l’incentivazione fiscale. Un cannone di coriandoli, praticamente. Peggio ancora va con Quota 100 che riesce nel miracolo di costare un sacco di soldi, sballare i conti dell’Inps, appesantire il fardello che ogni anno ci tocca pagare in pensioni – a scapito di tutto il resto, dalle politiche per la famiglia all’istruzione – per una misura che ha un impatto negativo sull’economia italiana. Negativo, già: perché le imprese – guarda un po’ – non sostituiscono chi va in pensione. Gufacci noi che lo diciamo da mesi.
E già che ci siamo, con le gufate, segnatevi pure questa: che se non disinneschiamo l’aumento Iva da 25 miliardi previsto per il 2020 dall’ineffabile governo del cambiamento, niente ripresa – prevista allo 0,8% – nemmeno per l’anno prossimo. Se vi è passata a voglia di negare la realtà e raccontarvi favole usate questi mesi per rispondere a questa semplice domanda: meglio una tassa patrimoniale, un taglio della spesa pubblica, o la fine ignominiosa del reddito e di quota 100?
“Il ritmo di crescita complessivo ci si aspetta che si modererà rispetto agli alti tassi degli anni recenti”, con “un outlook soggetto a grande incertezza“. Così le previsioni economiche d’inverno della Commissione Ue, che tagliano nettamente al ribasso (-0,6%) anche il pil dell’eurozona per il 2019 all’1,3% rispetto all’1,9% delle previsioni d’autunno. Per il 2018 il pil è rivisto al ribasso all’1,9% dal 2,1%. Anche per i 27, compresi quindi i Paesi membri dell’Ue che non hanno l’euro, il pil viene tagliato rispetto alle stime d’autunno, con l’1,5% per il 2019 dall’1,9%.
L’errore è sempre stato un eccesso di ottimismo, tranne che in tre casi: nel 2010, quando il “rimbalzo” del Pil dopo la crisi del 2008/2009 fu superiore alle aspettative, nel 2015 e nel 2017, quando la crescita fu più robusta del previsto.
Possiamo allora ipotizzare che la commissione non abbia mai “beccato” le previsioni negli ultimi dieci anni. Due volte su tre, però, l’errore dell’esecutivo comunitario è stato quello di attribuire all’Italia una crescita del Pil superiore a quella poi effettivamente registrata.
Dal web di Antonio Gentile