Il martirio laico di cui il Presidente della Democrazia Cristiana è stato il protagonista si iscrive nella storia nazionale tra i capitoli più dolorosi della lotta per la libertà, che è il vero atto fondativo della Repubblica. Sano e salvo, finalmente libero, l’Aldo Moro della finzione cinematografica cammina luminoso di una nuova speranza per la sua gente, testimoniando il primato della democrazia sulla tirannia, sulla sopraffazione. Nel solco scavato nelle coscienze di un’Italia che resiste e si trasmette attraverso le nuove generazioni, l’intero percorso di Aldo Moro è testimone di un’Italia irriducibile nella difesa e nella testimonianza dei principi costituzionali, dei valori posti a fondamento della Repubblica edificata sulle rovine del fascismo.
Al di là delle parole solenni scritte sulle pagine della Carta, è l’aspirazione alla libertà contro la barbarie che dà slancio e tensione ad una tuttora innovativa Costituzione repubblicana, un patrimonio inalienabile di tutti gli italiani, su cui veglia il Capo dello Stato. In attesa del discorso che martedì pronuncerà dopo il giuramento, l’ormai ex giudice costituzionale Sergio Mattarella una passeggiata dall’alto valore simbolico l’ha fatta poche ore dopo la sua elezione. I suoi primi passi da capo di quello Stato per cui Aldo Moro è morto li ha mossi per rendere l’omaggio ad altri martiri della libertà, le vittime della barbarie nazista alle Fosse Ardeatine. «L’alleanza tra Nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista, antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso», ha dichiarato ai cronisti che lo hanno incrociato. «La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore», ha dichiarato. Il suo cammino è cominciato, nel solco dei padri costituenti, dentro la complessità dei nuovi conflitti prodotti da antiche diseguaglianze. Fratello di Piersanti, un uomo delle istituzioni vittima della mafia da presidente della giunta regionale siciliana, palermitano figlio di Bernardo, già ministro nei governi della giovane Repubblica, collaboratore di un’altra vittima del terrorismo, Roberto Ruffilli, Mattarella incarna quei valori che nella Sinistra Dc sono stati affermati e difesi, prima che li fagocitasse il drammatico conflitto permanente imposto da una politica rissosa e gridata. Nei profili di Mattarella tracciati dai commentatori in queste ore, si ricorda la pacatezza e la mitezza, (caratteristica riconosciuta ad Aldo Moro da Paolo VI, nel suo ultimo appello alle Br per la liberazione dello statista), accostati alla forza nella difesa dei principi, con cui agisce a protezione dei diritti fondamentali. Quando lasciò il governo (l’ultimo di Andreotti) per arginare l’avanzata di Silvio Berlusconi sull’etere televisivo, rivelatasi poi determinante per scrivere la storia del Paese, non badò alle conseguenze personali, lanciando con un gesto, le dimissioni, un allarme per la democrazia italiana rimasto inascoltato. Classe 1941, eletto su iniziativa di un quarantenne, nella continuità del patrimonio ideale e culturale, per riprendere il filo di un ragionamento interrotto in quell’estate del ‘90.
Nel finale fantastorico del film ‘Buongiorno Notte’, per la strade romane, ovattate da una livida alba di un rigido inizio di maggio, un uomo oltre la sessantina, procede con passo leggero ma veloce, perdendosi in mille pensieri, vedendo nascere il mattino. E’ un ‘Aldo Moro alternativo’, che sopravvive al sequestro da parte delle Br, quello raccontato nella storia riscritta dal film. Liberato anziché assassinato dopo i 55 giorni di prigionia, dopo essere stato costretto in una minuscola e spoglia stanza, dominata dal drappo con la stella a cinque punte delle Brigate Rosse. La passeggiata dell’attore Roberto Herlitzka, nei panni di Aldo Moro, immortalata in pochissimi fotogrammi di pellicola, solleva l’animo di chi, attraverso la televisione, i giornali o i libri, ha vissuto l’angoscia di quei giorni tenendo stretti in un abbraccio i figli o i genitori. Il 1978 ha prodotto una cicatrice nel corpo vivo del Paese, una lacerazione non sanata, che la gente comune, a quasi 38 anni da quegli avvenimenti, non dimentica.
Buongiorno, notte (2003) è un film che è andato molto vicino al Leone d’Oro a Venezia, che ha suscitato molte discussioni e che ha avuto anche un notevole successo in termini di incassi. La sceneggiatura è ispirata al libro autobiografico di Anna Laura Braghetti la brigatista che insieme a Mario Moretti (Mariano, interpretato da Luigi Lo Cascio), Prospero Gallinari (Primo interpretato da Giovanni Calcagno) e Germano Maccari (Ernesto interpretato dal figlio del regista Piergiorgio Bellocchio) ha fatto da carceriera a Moro.
La Braghetti era la proprietaria dell’appartamento di via Caetani dove “ufficialmente” viveva con l’ingegner Altobelli (Maccari). Dopo il sequestro Moro la Braghetti che era una “irregolare” (nel film fa la bibliotecaria all’università) passò in clandestinità e fu poi l’esecutrice materiale dell’omicidio di Vittorio Bachelet. Il film si apre proprio con la visita all’appartamento da acquistare da parte della Braghetti e di Maccari.
Anna Laura Braghetti è una delle brigatiste che, oltre ad essersi dissociata dalla lotta armata, ha fatto anche un percorso di riflessione sulle dinamiche psicologiche ed umane del brigatismo e Bellocchio ne ha fatto la protagonista di questo film che ha solo come “accidente” il sequestro e la prigionia di Moro già visti nel film di Ferrara.
La Braghetti, nel film, si chiama Chiara ed è interpretata da una bravissima Maya Sansa. Accanto a lei compare un compagno di lavoro di Chiara il cui ruolo è quello di farle da specchio delle proprie inquietudini (Paolo Briguglia nella parte di Enzo). Il titolo del film è quello di una sceneggiatura dedicata al sequestro Moro che Enzo sta scrivendo.
Chiara oltre alla Sacra Famiglia di Marx legge le “Lettere dei condannati a morte della resistenza europea” che il papà partigiano le leggeva da piccola e scopre che sono del tutto simili sul piano affettivo ed emozionale a quelle di Moro alla moglie e al nipotino. Molto bello il pranzo annuale di ricordo del papà con tutta la famiglia, i compagni partigiani che cantano fischia il vento e al canto si associa una coppia di sposi. Nel film entrano continuamente spezzoni di tipo documentario che aiutano a cogliere le contraddizioni del pensiero (da scene della rivoluzione bolscevica, alla eliminazione di partigiani, al socialismo staliniano).
Mi rendo conto che è impossibile raccontare un film giocato sugli sguardi, sulla interpretazione degli attori, sullo sdoppiamento di personalità dei brigatisti. Tutto avviene su più piani; il gigante Primo, tutto lentezza e fermezza si commuove per i suoi canarini; Ernesto non ne può più e Moro muore, ma forse no perché Chiara sogna (o lo fa davvero) di addormentare i carcerieri. Persino le fermezze di Mariano, le prediche sull’annullamento del sé in nome del progetto rivoluzionario non reggono alle controdeduzioni di Moro che, in assenza di Mariano, fa leggere agli altri tre la lettera per il papa; vuol sapere se la lettera parla al cuore e osserva “tra voi c’è una donna, l’ho capito da come piega le calze”.
Il crollo del brigatismo è avvenuto perché lo Stato ha saputo rispondere duro e anche quello della Braghetti si è realizzato nel carcere duro di Alessandria. Ma quando è iniziato? Quando “il sole dell’avvenire” ha iniziato a far vedere che quando spari ad un avversario stai sparando ad un uomo? Ogni brigatista ha avuto la sua storia personale ma tutti hanno, prima o poi fatto i conti con il mondo reale nel quale non trionfano i Demoni. Per fortuna.
dal web.
di Antonio Gentile.