di ANTONIO GENTILE
Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Isola di Caprera, 2 giugno 1882) è stato un generale ed è forse il personaggio storico più famoso e popolare nell’immaginario collettivo degli italiani.
In Italia è noto anche con l’appellativo di “Eroe dei due mondi”, per le sue imprese militari compiute sia in Europa, sia in America meridionale.
In realtà la ricerca storiografica ha ormai accertato che il suo ruolo nel Risorgimento è stato secondario e subordinato a quello del vero artefice del processo risorgimentale: Camillo Cavour, con il quale non aveva un buon rapporto. Rimane però nella memoria storica italiana una popolarità del personaggio, che a ben vedere ha la stessa ambiguità del Risorgimento stesso.
Si pensi al fatto che Giuseppe Garibaldi è il personaggio più citato nelle piazze e vie italiane, il suo nome è presente in più di 5500 comuni su 8100, in media 6 comuni su 10. Come denominazione è secondo solo a Roma. Garibaldi è primo in Puglia e Basilicata mentre è secondo in Friuli, Toscana, Umbria, Lazio e Abruzzo. Sono ben 1200 le lapidi in Italia che testimoniano che in quel luogo Giuseppe Garibaldi passò, dormì o parlò. Solo a Marsala se ne contano di più otto.
In realtà ha la stessa luce del Risorgimento, inteso come raggiungimento dell’unità territoriale e politica da parte della nazione italiana.
Garibaldi infatti si presenta come colui che ha vissuto l’ideale nazionale come una tensione religiosa, cui sacrificare tutto e da perseguire con coraggio e spregiudicatezza fino all’obiettivo finale della libertà politica contro ogni presenza straniera.
Allo stesso modo, però, nel Risorgimento si è manifestata l’incapacità della classe dirigente politica liberale di saldare il momento politico/diplomatico/militare con quello sociale, lasciando fuori le istanze del mondo contadino e cattolico e quelle dell’autonomia politico/amministrativa dei diversi comuni e delle diverse culture appartenenti agli stati pre-unitari, realizzando un processo di unificazione politica che si presenta come semplice espansione del Piemonte e come realizzazione di un modello di Stato centralistico che si impone con la forza militare, anche alla Chiesa Cattolica, allontanando con ciò da esso la quasi totalità del popolo italiano, che nei valori del Cattolicesimo si riconosceva
Nello stesso modo nella persona di Garibaldi, si manifesta in modo ossessivo e maniacale la lotta contro il prete, che incarna il peggior tipo di umanità e il peggior ostacolo alla realizzazione della libertà politica. Aderisce prima alla Giovane Italia di Mazzini fino al 1854, poi alla Massoneria (la carriera di Garibaldi culminò con la suprema carica di Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, col 33° grado del Rito scozzese, ricevuto a Torino nel 1862, e con la suprema carica di Gran Hyerophante del Rito di Memphis e Misraim nel 1881. Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tutti i gradi scozzesi dal 4° al 33° e a condurre il rito fu un altro massone – Francesco Crispi), poi alla Società Nazionale di Daniele Manin, che, contro lo stesso Mazzini, fa proprio lo slogan “Italia e Vittorio Emanuele”. L’unica coerenza del personaggio sta nell’identificare la Chiesa come nemico principale dell’Umanità, dalla giovinezza fino alla morte.
Il suo testamento infatti – come è noto – diceva:
«Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s’inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll’impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d’un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada».
Per il suo forte sentimento di giustizia e libertà, rendendosi parte attiva presso le popolazioni sudamericane prima e italiane poi (fu elemento cardine per l’unificazione nazionale), acquisì l’appellativo di Eroe dei due Mondi.
Cosa poco conosciuta è l’aver nominato la prima capitale d’Italia quando, in Sicilia, dopo il famoso sbarco dei mille e proclamandosi Duce dell’isola, simbolicamente donò questa conquista al Re (Vittorio Emanuele II) e in questa che era l’embrione dell’unificazione dell’Italia, nomina la cittadina di SALEMI capitale della nazione.
Una delle frasi più note di Garibaldi fu : “Obbedisco”, che è il contenuto del telegramma scritto da Giuseppe Garibaldi allora capo del corpo dei volontari Cacciatori delle Alpi, il 9 agosto 1866, in risposta al Generale Alfonso La Marmora, che gli aveva intimato di fermare la sua inarrestabile avanzata verso Trento contro gli austriaci nella terza guerra di indipendenza. Il telegramma originale è conservato presso l’Archivio generale della Stato, una copia è conservata anche presso il Palazzo del Quirinale, la trascrizione che La Marmora consegnò al Re, conservata fino al 1993 presso Casa Savoia, fu consegnata all’Archivio di Stato di Torino. L’Obbedisco di Garibaldi, entrato subito e stabilmente nelle principali raccolte di citazioni, è stato anche oggetto di rappresentazioni parodiche.
ANTONIO GENTILE – ISOLA DEL LIRI (FROSINONE)