Il Governo ha detto sì al riconoscimento del pastore abruzzese come patrimonio nazionale , questo accredito accade esattamente a tre anni della prima nomina di patrimonio culturale.
La legge 21 del 9 luglio 2016 della Regione Abruzzo, approvata ad agosto all’unanimità, è stata esaminata ieri a Palazzo Chigi, dove il Ministro ha deliberato la sua “non impugnativa”. L’articolo 1 della Legge Regionale dice: “La Regione Abruzzo riconosce il cane bianco italiano da custodia delle greggi, così come trasmesso dalla civiltà pastorale abruzzese, unico e inconfondibile, parte integrante del proprio patrimonio culturale con il nome di “cane da pecora abruzzese” o “mastino abruzzese”.
Ed ancora nel secondo comma: “Il cane bianco italiano da custodia delle greggi, capolavoro della collettiva e plurimillenaria opera di selezione genetica delle genti della montagna abruzzese, è stato ed è elemento insostituibile nell’attività armentaria ecocompatibile della tradizione pastorale abruzzese”.
Il Pastore Abruzzese è un cane dal temperamento molto forte, sicuro e indipendente e come cane da pastore mostra un profondo attaccamento al padrone, che vede come un punto di riferimento, e il gregge è la sua naturale casa adottiva.
Il suo riconoscimento a patrimonio culturale è una conquista importante per la Regione Abruzzo e per tutti coloro che amano questo cane bianco dall’aspetto maestoso ed imponente; un ottimo risultato che mette in evidenza e valorizza la tradizione abruzzese e la cultura pastorizia tipica del territorio.
Uno dei simboli della terra d’Abruzzo diventa così un bene da proteggere e garantire.
Ora la regione Abruzzo incassa un ennesimo titolo e merito, e lo deve al cane, “Il cane bianco italiano da custodia delle greggi, capolavoro della collettiva e plurimillenaria opera di selezione genetica delle genti della montagna abruzzese, è stato ed è elemento insostituibile nell’attività armentaria ecocompatibile della tradizione pastorale abruzzese”, si legge nel testo.
Il riconoscimento nazionale arriva dopo quello regionale.
Il canis pastoralis o pequarius (“pecoraio”) dal pelo bianco, di cui scrivevano già in età romana Catone, Columella, Varrone e Palladio, ha continuato a svolgere indisturbato le sue mansioni di guardiano di greggi nel corso dei secoli, senza mai allontanarsi dall’appennino centro-meridionale dove aveva fatto specie a sé.
di Antonio Gentile