Era il 22 giugno del 1983 quando Emanuela Orlandi, la 15enne figlia di un dipendete del Vaticano, scomparve nel nulla a Roma. Da quel momento la vita dei familiari della ragazza è stata stravolta. Sono passati ormai 35 anni dalla sparizione; anni fatti di numerose indagini, spesso soggette a depistaggi, illazioni, che non hanno mai portato alla svolta nel caso. Anni in cui i familiari non si sono mai arresi e, tra speranze e delusioni, hanno continuato la loro battaglia per la verità.
La scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei più grandi misteri del nostro Paese, rimasto, come anche il caso di Mirella Gregori (15enne romana scomparsa misteriosamente a Roma il 7 maggio del 1983), irrisolto. I familiari della giovane sono scesi in piazza proprio al ricorrere dell’anniversario ed è proprio in questo contesto che il fratello Pietro Orlandi ha rivelato una scoperta shock. La prima telefonata ricevuta dal Vaticano da parte dei rapitori di Emanuela Orlandi non sarebbe stata quella del 5 luglio dello stesso anno, che avvenne dopo l’appello di Giovanni Paolo II, bensì avvenne proprio il giorno esatto della scomparsa della 15enne. Emanuela Orlandi scomparve verso le 19 e la telefonata in Vaticano arrivò tra le 20 e le 21.
“Emanuela Orlandi è mia sorella, sono trentacinque anni che non la vedo. Aveva quindici anni quando qualcuno l’ha portata via. Non so dove si trova, non so se è viva, ma so qual è la sua colpa: essere una delle pochissime persone cittadine dello Stato Vaticano”.
Emanuela Orlandi è sparita in un’afosa giornata del 1983, inghiottita da un ingranaggio enorme, e il suo nome è stato accostato all’attentato del Papa, al crollo dell’Unione Sovietica, ai misteri della Banca del Vaticano, alla banda della Magliana e da trentacinque anni Pietro la cerca e – come lui – le sorelle Federica e Natalina e tutti i loro familiari vogliono giustizia. “Ho fatto tutto quello che ho potuto per mantenere viva la speranz, spiega Orlandi, capelli grigi medio lunghi e un orecchino argentato al lobo sinistro – sono stato ospite in trasmissioni televisive, ho incontrato mafiosi e agenti dei Servizi Segreti, ma anche magistrati, giornalisti, ho partecipato a manifestazioni e incontrato tre Papi, ma non ho ottenuto nulla. Ora devono dirmi la verità”.
Il fratello, dopo aver scoperto tale telefonata, torna a puntare il dito contro il Vaticano accusandoli di aver tenuto nascosto il tutto. Pietro Orlandi rivolgersi al Papa ha chiesto un aiuto: “Papa Francesco ci deve aiutare perché lui ha la possibilità di chiudere questa storia, è a conoscenza di quello che è successo. Se lui veramente vuole ricostruire una chiesa che è stata infangata per tanti anni, se vuole ricostruire una chiesa nuova, la deve ricostruire dalle fondamenta. Se tu vuoi costruire una casa nuova non lo puoi fare sul fango ma sul terreno solido, il Papa deve togliere tutto quel fango che c’è a cominciare dalla scomparsa di Emanuela.
Sua sorella andò ad una lezione di musica al Complesso di Sant’Apollinare e da allora non tornò più a casa. La solita scappatella o una fuga d’amore, dissero i poliziotti ai familiari, ma in realtà non fu così. Pochi giorni dopo la sua scomparsa, ci fu persino un appello del Papa, “un appello che ci colse impreparati”, commenta Pietro, “un appello che dimostrava che il Papa era a conoscenza di qualcosa che noi ignoravamo, un appello che parlava di ‘responsabili’ e che quindi Emanuela era stata rapita”. Fu proprio così. Tredici giorni dopo la scomparsa, in una telefonata, i rapitori chiesero uno scambio della ragazza con l’attentatore del Papa, Ali Agca. “Il Papa non parla a caso”, “Il suo era un appello rivolto a chi doveva capire, mostrando un punto critico per il Vaticano. Se lo fece è perché stava mandando un messaggio a qualcuno”.
A quell’appello ne seguì un altro e dopo il giorno dell’ultimatum stabilito dai rapitori (il 20 luglio del 1983) non accadde nulla. Il corpo della ragazza non venne più ritrovato né si ebbero sue notizie. A Natale di quell’anno, Papa Wojtyla andò a far visita alla famiglia Orlandi, dimostrando così tutta la sua solidarietà e dicendo che avrebbe fatto il possibile per arrivare ad una verità. “Quel gesto e quelle parole, spiega Pietro, ci fecero in qualche maniera riavvicinare al Vaticano e credere nelle istituzioni; il Papa mi offrì addirittura un posto allo IOR”, un incarico che accettò subito e che Pietro ha svolto fino a pochi anni fa, quando scoprì altre verità.
Ventidue anni dopo, infatti, una telefonata alla trasmissione “Chi l’ha visto?” fece riaprire il caso. Una voce maschile diceva che nella chiesa di Sant’Apollinare era stato sepolto Enrico De Pedis, detto “Enrichetto”, l’ultimo grande capo della Magliana, assassinato in una via della Capitale nel 1990. Come è stato possibile che una persona così pericolosa venne sepolta proprio lì, in quel luogo di culto, riservato a principi e a grandi artisti? Fu l’allora arcivescovo Poletti a volere quella sepoltura, perché, stando a quanto da lui dichiarato, De Pedis fece molte donazioni alla Chiesa stessa. Venne fuori che una grossa somma della criminalità era stata prima depositata allo Ior e poi improvvisamente scomparsa. Uscirono i nomi di Sabina Minardi, che dichiarò di aver accompagnato la Orlandi in un preciso punto di Roma e di averla consegnata ad un uomo seduto all’interno di una macchina scura con un abito religioso, venne fuori la lettera del banchiere Roberto Calvi indirizzata al Papa in cui dichiarava che i soldi scomparsi erano stati utilizzati per finanziare il sindacato polacco Solidarnosc (poco dopo, il corpo di Calvi venne ritrovato impiccato a Londra, al Blackfriars Brdge), spuntò il nome di monsignor Marcincus, allora presidente dello Ior, “l’unico in tutto il Vaticano che si avvicinava ai miei genitori quando li incontrava”, dice Pietro. “Un grandissimo attore” o una persona fedele e sincera? Si chiede. Fatto sta che solo nel 2012, dopo tante proteste in pubblica piazza capitanate proprio da Pietro, il corpo del malavitoso venne tolto da quella chiesa e il caso fu riaperto.
Una verità che ancora una volta viene omessa, ma da cristiani dobbiamo avere fede perché la verità prima o poi viene a galla, Si ricordi che le parole verità e giustizia sono le parole di Gesù Cristo, troppe volte dimenticate, quindi ognuno deve fare la sua parte affinché giustizia sia fatta , troppi casi sepolte dal tempo negli archivi della giustizia italiana che aspettano di rivedere la luce, restituendo così agli scomparsi il diritto di esistere e a chi ancora li aspetta quello di non essere dimenticati.
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di Antonio Gentile