A cura Dott. Paolo Borgonzoni (Roma) * paolo.borgonzoni@dconline.info * Vice-Segretario nazionale del Dip. Problematiche economiche della Democrazia Cristiana
< Il concetto biblico del lavoro e l’attuale contingenza in proposito in Europa e nel mondo >.
Durante i miei studi di Teologia presso l’Università “Australian Catholic University” ho analizzato molti concetti di economia trattati anche dalla Bibbia. Ed in particolare il concetto di Lavoro.
Nella Genesi il lavoro è visto positivamente sia come espiazione del peccato originale (e legato alla necessità di sopravvivenza), sia come elemento strettamente collegato all’uomo e alla sua realizzazione, come parte di un progetto divino.
Anche Dio assume le sembianze di un lavoratore che si riposa al settimo giorno….
Da studioso della Bibbia a volte rabbrividisco pensando a quello che è successo in Europa. Già il buon Friedman asseriva che mentre negli USA esistevano i presupposti per una moneta comune per via della flessibilità prezzi/salari e per le minime differenze tra le politiche fiscali dei vari Stati, l’Europa non era un contesto favorevole all’Euro per via delle enormi differenze nelle politiche industriali e delle regolamentazioni del mercato del lavoro.
Ciò era accentuato dalla rigidità dei prezzi e salari e dalla minor mobilità del lavoro. A tale proposito il meccanismo dei cambi flessibili sarebbe stato una cosa utile, in un’Europa nata più per fini politici che economici. Friedman inoltre asseriva che questa unità monetaria (imposta a condizioni sfavorevoli) sarebbe stata un ostacolo all’unione politica.
Questa eminente opinione, così come quella di altri Nobel, è stata disattesa. La libera circolazione e la globalizzazione ha portato concentrazioni territoriali di potere. L’Unione Europea ha favorito i processi finanziari di speculazione e di delocalizzazione del fattore lavoro; le multinazionali hanno potuto accedere al credito ovunque alle migliori condizioni e sfruttare le loro economie di costo, a scapito degli Stati che non hanno potuto più coprire il loro disavanzo con la finanza disponibile. Lo spostamento verso l’Europa dell’Est ha poi accentuato il fattore delocalizzazione del lavoro.
In questo processo i consumatori sono stati penalizzati dalla moneta unica ed in presenza di tassi e prezzi rigidi l’unica cosa che gli Stati possono attuare è la deflazione con conseguenti effetti negativi sull’occupazione.
Siamo purtroppo nel periodo delle negative forme di flessibilità del lavoro, dell’outsourcing e della perdita di competitività delle piccole aziende davanti all’internazionalizzazione.
Le grandi aziende sono un sistema a parte al di fuori del meccanismo concorrenziale sul quale si dovrebbe basare il mercato.
Illustri colleghi hanno calcolato che, tolti 9 grandi Stati, la somma del PIL di tutti gli Stati del mondo e’ inferiore alla somma del fatturato delle prime 200 aziende mondiali. Una volta che si conosce il problema è già un buon punto di partenza per trovare le soluzioni !
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