Ricomincia la mattanza del mammifero più perseguitato al mondo e con il Nuovo Anno, il Giappone si ritira dalla Commissione Internazionale per la Caccia alle balene (Iwc), la commissione che protegge le balene, e a partire dal prossimo luglio riprende la caccia alle balene per scopi commerciali.
Lo ha annunciato il governo giapponese, ma la notizia era nell’aria. La caccia alle balene a scopo commerciale sarà permessa solo nelle acque territoriali e nella zona economica esclusiva del Giappone, ha comunque puntualizzato il portavoce del governo giapponese, Yoshihide Suga, mentre sarà vietata la caccia alle balene nelle acque dell’Antartide e nell’emisfero australe.
La decisione segue di pochi mesi la decisione dell’Iwc di respingere la richiesta di Tokyo di riprendere la caccia alle balene per scopi commerciali, ma, ha dichiarato Suga, sarà comunque attuata all’interno dei limiti calcolati dall’Iwc, «per evitare un impatto negativo sulle risorse cetacee».
L’Iwc è stato creato 70 anni fa per garantire la preservazione da questi cetacei ed evitare la caccia indiscriminata negli oceani. Il Giappone è entrato nella Commissione Internazionale nel 1951 e nel 1982 ha aderito alla moratoria internazionale indetta dall’organizzazione. Cinque anni più tardi, il Giappone ha annunciato l’avvio della caccia alle balene nelle acque dell’Antartide per «scopi scientifici», ma nel 2014 questo tipo di attività è stata vietata dalla Corte Internazionale di Giustizia: il Giappone ha ripreso la caccia alle balene in Antartide l’anno successivo riducendo il numero di esemplari e di specie cacciate.
La caccia alle balene per scopi commerciali è stata sospesa, invece, nel 1988, e sei anni più tardi, il governo di Tokyo ha dato il via libera alla caccia alle balene a scopo di ricerca nell’Oceano Pacifico nord-occidentale.
Lo scorso settembre, durante la riunione internazionale dell’Iwc in Brasile, Tokyo aveva minacciato di riconsiderare la sua adesione all’ente a causa del voto contrario della maggioranza dei paesi membri ad autorizzare la caccia sostenibile dei cetacei. Il Giappone ha aderito alla Iwc nel 1951, tre anni dopo la sua istituzione, con lo scopo di regolare lo sviluppo sostenibile della specie e l’industria delle balene. Malgrado il Giappone sia stato costretto a interrompere la caccia dei cetacei a fini commerciali nel 1982, in linea con la moratoria internazionale decisa dalla Iwc, le imbarcazioni nipponiche hanno continuato a sopprimere le balene dal 1987 in avanti, per questioni che il governo definisce “legate alla ricerca scientifica”. Non è servita neppure la diffida ricevuta nel 2014 dalla Corte di giustizia dell’Aja, secondo la quale la “caccia per la scienza” non è altro che un pretesto.
UN SOSTEGNO ALL’INDUSTRIA DELLA CARNE DI BALENA
Adesso il velo dell’ipocrisia è caduto ma anche in passato, secondo gli esperti, dietro la motivazione delle autorità giapponesi si nascondeva la volontà di sostenere l’industria della carne di balena che, ancora oggi – malgrado il repentino calo delle vendite, è considerata una fonte alternativa e a buon mercato di proteine. In base ai dati del governo, negli anni ’60 il consumo di carne di balena si assestava intorno alle 200mila tonnellate l’anno, una cifra che è scesa intorno alle 5mila negli ultimi anni. Nonostante ciò, l’anno scorso la flotta giapponese – secondo l’Iwc – ha ucciso 333 balene di cui 122 gravide in un’operazione condannata dalla comunità ambientalista. Pochi mesi fa i vascelli di Sea Shepherd hanno issato la bandiera bianca contro le baleniere giapponesi, riconoscendo di avere poche possibilità di successo contro la potenza economica e militare di Tokyo. (nella foto sopra presa dal web, alcune delle balene cacciate l’anno scorso).
di Antonio Gentile