A cura del Dott. Alessio Piccirillo (Roma)
“che cessi la violenza!”. – Arrivano forti e dirette, le parole di Papa Francesco – su quanto sta accedendo in Myanmar in questi giorni – al termine dell’udienza generale del mercoledì, riferendosi all’interminabile catena di crimini che, da circa un mese, il generale golpista Min Aung Hlaing, dopo la presa di potere, sta perpetrando a danno del legittimo governo e del premio Nobel Birmano Aung San Suu kyi.
Intanto, tra i paesi “interessati” agli “affari” birmani spunta anche la Cina la quale, in maniera nemmeno tanto velata, ha fatto capire di essere favorevole allo stato attuale dei fatti, cioè a quanto sta accadendo in barba a tutti i fondamenti democratici ed a tutte le leggi per la tutela dei diritti umani.
Tornando alle parole del pontefice – il quale ha richiamato la straordinaria azione della religiosa che si è inginocchiata davanti i militari – si ha davvero la dimensione della drammaticità di quanto sta accadendo in quel paese, e di come sia difficile trovare una soluzione che si possa definire davvero tale.
Anche il neo presidente degli Stati Uniti Joe Biden, riferendosi al Myanmar, ha dichiarato che a breve il paese sarà oggetto di pesanti sanzioni da parte degli USA per quello che sta accadendo al suo interno, e così anche altri paesi i quali, tramite i loro rappresentanti, hanno tempestato Ginevra di proteste, al fine di ottenere una risoluzione da parte dell’ONU che faccia desistere definitivamente il generale ed i suoi accoliti dai loro propositi nefasti.
Purtroppo, però, in tanti hanno la netta sensazione che – per una più rapida e incisiva risoluzione dei fatti, per la cessazione delle violenze ed il ritorno alle libertà democratiche – ci sia davvero di bisogno di andare oltre le semplici sanzioni.
L’unico problema, in quella regione dell’Asia, ad avviso di chi scrive, è rappresentato dalla presenza – oltre che dagli interessi all’interno del territorio birmano, come già accennato sopra – di uno scomodo vicino di casa: la Cina, appunto.
Questo si potrebbe tradurre in una sorta di freno per le azioni dei paesi occidentali e democratici, in quanto intervenire direttamente in quei territori significherebbe innescare tutta una serie di situazioni e fatti che potrebbero davvero scatenare delle conseguenze apocalittiche al livello mondiale.
Quindi, mai come adesso si ha di bisogno di una rapida soluzione che sia allo stesso tempo la più incisiva, la più ferma ma anche la più diplomatica possibile.
Intanto i giorni passano ed in Myanmar si palesa anche la possibilità di una guerra civile, con una escalation – in termini di violenza – davvero indescrivibile, e tutto questo senza che nessuno trovi una fattiva possibilità di mediazione per far cessare definitivamente questa ondata assurda di violenza.
Alessio Piccirillo