di ILARIA GOBBI
I Paesi islamici stanno celebrando in queste settimane il Ramadan, mese sacro in cui- secondo la tradizione- venne per la prima volta rivelato a Maometto il Corano e durante il quale ogni fedele musulmano è tenuto a osservare alcuni comportamenti, tra cui il più noto è certamente l’astensione da acqua e cibo dall’alba al tramonto.
Se ai più tutto ciò può sembrare approssimativamente il “periodo di digiuno“ da osservare tassativamente come uno dei cinque pilastri fondamentali dell’Islam con conseguente rallentamento delle attività produttive (questo vale sostanzialmente nei Paesi islamici più tradizionalisti come l’Arabia Saudita), nelle realtà più moderate (quali Bosnia-Erzegovina, Albania, Kosovo e Turchia, per non parlare delle numerose comunità presenti nei Paesi occidentali) il Ramadan diventa un’occasione principalmente di riflessione e attenzione verso il prossimo, con eventi dedicati alla carità e alla beneficenza a favore dei disagiati.
Il momento certamente più apprezzato in questo caso è l’iftar, ovvero l’interruzione serale del digiuno annunciata (come da tradizione ottomana) da un colpo di cannone, con un’abbondante cena accompagnata spesso da musica dal vivo talvolta fino all’alba.
Personalmente ho avuto modo di notare come nei Paesi Balcanici a maggioranza musulmana (come la Bosnia-Erzegovina per l’appunto) che ancora oggi portano i segni delle guerre che hanno portato al tracollo della ex Jugoslavia, l’iftar sia un momento di serenità e distensione aperto ai fedeli di ogni religione e in cui condividere valori universali quali solidarietà e amicizia, indipendentemente dalle differenze sociali e culturali.
Se da una parte la classe politica locale sembra gettare benzina sul fuoco per quanto riguarda le divisioni etniche ancora persistenti nei Balcani, dall’altra la gente “comune” sente sempre più l’esigenza di superare tali contrasti e proprio questo periodo di preghiera e condivisione si rivela essere l’occasione più adatta a discutere di un futuro migliore, con l’attenzione rivolta al “sogno proibito “ di molti: l’Unione Europea.
ILARIA GOBBI