A cura di Fernando Ciarrocchi (Ascoli)
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Coordinatore nazionale vicario della redazione giornalistica de “Il Popolo” della Democrazia Cristiana
Segretario regionale Dipartimento Comunicazione Democrazia Cristiana della Regione Marche.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un interessante contributo del Dott. Angelo Mingrone (Cosenza) * angelo.mingrone@alice.it
IL SALE DELLA VITA * (PARTE PRIMA)
di Angelo Mingrone (Cosenza)
Nessuno di noi fatica a credere che l’acqua costituisce un bene di primissima necessità e che è indissolubilmente legata alla storia dell’uomo e allo sviluppo delle più importanti civiltà.
Sulle sponde di fiumi come il Tigri e l’Eufrate, del Nilo, del Giordano e dello stesso Tevere, sono fiorite civiltà antiche che hanno dato una forte spinta al progresso dell’uomo, verso le quali noi tutti siamo debitori, e che rappresentano l’orgoglio dei propri discendenti, più o meno diretti.
Ricordo con quanta insistenza il mio insegnante di storia sottolineasse l’importanza del fertilissimo limo che, in occasione delle piene, il fiume Nilo rilasciava sulle sponde del suo millenario corso e di come esso consentisse, insieme a condizioni climatiche ideali, raccolti ricchissimi più volte all’anno.
Sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate si sono sviluppate le civiltà degli Assiri e dei Babilonesi e 21 secoli prima di Cristo il re Hammurabi compilò, insieme ai suoi giuristi, il famoso Codice che porta il suo nome e che rappresenta una testimonianza unica dell’antichità, di valore inestimabile per il formidabile contributo dato alla comprensione di questa civiltà al culmine del loro splendore.
Sulle rive del fiume Tevere è poi sorta Roma e l’Impero Romano ed ai suoi esordi sull’isola Tiberina, in mezzo al Tevere, si trovava il Tempio di Esculapio, dio della Medicina, la cui costruzione in onore della divinità ebbe un ruolo fondamentale, secondo la leggenda, nella conclusione di una terribile epidemia di peste.
Il possesso dei corsi d’acqua, come d’altronde è ben facile immaginare, è stato causa fin dall’antichità e sino ai tempi moderni di conflitti a volte anche molto sanguinosi.
Ed è anche probabile che in un futuro più o meno prossimo, a causa della esplosione demografica, del riscaldamento globale del pianeta e della politica prevaricatrice di qualche nazione su qualche altra, l’acqua sarà causa di tensioni e scontri tra diverse popolazioni.
Esistono dei rapporti delle Nazioni Unite e studi “ad hoc” commissionati dalla superpotenza americana che individuano in un futuro non troppo lontano il rischio di guerre tra stati i cui territori son bagnati dal Nilo, dai fiumi Tigri ed Eufrate o dai fiumi Mekong Indo e Brahmaputra, per quanto riguarda lo scenario asiatico.
Il motivo di fondo di questi conflitti è sempre lo stesso: lo scontro tra il diritto delle popolazioni di sfruttare a fini economici i corsi di acqua che attraversano i propri territori, costruendovi per esempio delle dighe per produrre energia elettrica, o degli acquedotti per irrigare terreni altrimenti aridi, e quello delle popolazioni a valle che reclamano le stesse opzioni ed opportunità
Se, dunque, tutti concordano sul fatto che il possesso e lo sfruttamento delle risorse idriche è stato in passato, e può, oggi come ieri, essere reclamato anche con la forza, molti di noi fanno invece fatica a credere che il sale sia stato, come l’acqua, causa di scontri e guerre altrettanto sanguinosi.
Ed invece l’approvigionamento del sale per la preparazione di cibi altrimenti immangiabili o per la somministrazione di esso ai greggi, ha causato spesso tragedie di pari grado.
Le mie reminiscenze scolastiche mi portano a ricordare la via Salaria, che da Roma portava (e porta ancora) ad Ascoli Piceno dove si trovavano le saline che rifornivano di sale i romani già al tempo dello scontro con i Sabini.
Dalla porta Salaria, attraversato il fiume Aniene si proseguiva per la località Septem Balnea – l’odierna Settebagni – e proseguendo per Rieti, e risalendo il fiume Velino si giungeva fino alla località Cotilia, sede di importanti acque solforose e ferrose, dove i Romani costruirono un famoso centro termale.
Seguendo in direzione nord est il corso del fiume Velino, la Salaria, sfruttando le geniali soluzioni ingegneristiche dei collaboratori di Tito e Vespasiano che non di rado vi soggiornarono, si faceva strada attraverso i pendii e le ripide gole del Monte Terminillo per arrivare finalmente alla valle del Tronto e alla tanto agognata Asculum.
Come non ricordare gli immortali versi del diciassettesimo canto del Paradiso della Divina Commedia di Dante?
“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salire per l’altrui scale.”
Il trisavolo Cacciaguida predice a Dante l’esilio dalla sua amata Firenze e la necessità di dover andar ramingo in cerca di ospitalità presso le Corti degli Staterelli dell’Italia del 1300.
In questo richiamo in parte metaforico al pane salato e a quanto in realtà costasse a Dante la generosità dei suoi mecenati, non pochi storici intravedono una proiezioni delle lotte intestine tra fiorentini e pisani, i quali erano abituati a vessare Fiorenza attraverso ripetuti e gravosi incrementi del costo del sale, scatenandone non di rado la ribellione armata, e lotte intestine.
Ma sicuramente una delle “guerre del Sale” più aspre fu quella che oppose il Regno Pontifico a Perugia e che ebbe luogo nel 1540.
Il Regno Pontificio viveva un periodo di sfarzo sfrenato e il desiderio di grandezza dei papi che occupavano il soglio di Pietro non conosceva limiti sfiorando sovente la megalomania.
Erano in corso i lavori per la costruzione della Grandiosa Basilica di San Pietro, occorrevano fondi senza limiti per far fronte alle enormi spese che questo grande progetto architettonico richiedeva, e la vendita delle indulgenza plenarie solo in parte riusciva a sopperire alla richiesta di denaro.
Per di più lo scisma di Lutero e l’allontanamento dei cristiani d’oltralpe dai dettami e dalla teologia di Roma, avevano determinato un grosso deficit di afflusso di valuta nelle casse vaticane, e di conseguenza (non avendo a disposizione un qualunque Monti contemporaneo e non potendo imporre alcuna IMU) le autorità papali decisero di rifarsi su una città come Perugia, formalmente appartenente al Regno Pontificio, ma di fatto dotata di larga autonomia e in condizioni economiche abbastanza prospere grazie alla saggia guida della Signoria dei Baglioni.
E così agli inizi del 1540 il papa Paolo III impose ai Perugini, pena la scomunica, di non più approvigionarsi del sale delle Saline di Siena, ma di acquistarlo unicamente dalle Saline pontificie a prezzo raddoppiato.
Il rifiuto dei Priori di Perugia fu ritenuto da Roma come una vera e propria dichiarazione di guerra e il conflitto divenne inevitabile. Come apparve fin dal primo momento assai realistica la previsione della capitolazione di Perugia, certamente non in grado con i suoi fanti male armati e in numero largamente inferiore di far fronte ai 9000 tra fanti e lanzichenecchi dell’esercito pontificio bene armati e capitanati dal feroce e temibile capitano Pierluigi Farnese, reo, tra l’altro, di crimini anche nei confronti dello stesso vescovo di Fano.
Perugia capitolò, le magnificenti case e palazzi, le ammirevoli torri e le superbe porte etrusche vennero devastate per sempre e a loro posto fu costruita una grande fortezza papalina come sfrontato suggello del potere di Roma.
La sconfitta di Perugia la distruzione dei suoi capolavori architettonici, la povertà che si impadronì della comunità umbra, precipitò la città in uno stato di decadenza che si protrasse fino al Risorgimento, e all’Unità d’Italia. In tutto questo periodo buio ai perugini non rimase altra rivalsa che questa di panificare senza sale, inventando quello che ancora oggi è conosciuto in tutto il centro Italia con il Termine di Pane Sciapo.
Di ANGELO MINGRONE (Cosenza) * angelo.mingrone@alice.it