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Con la sentenza della Corte di Cassazione n. 29.054 del 5 dicembre 2017 la suprema Corte si è pronunciata in materia di trasferimento ingiustificato del lavoratore e della legittimità o meno
del licenziamento a lui irrogato a seguito del rifiuto a trasferirsi ed a prestare servizio
presso il nuovo posto di lavoro.
La Corte di Appello di Roma infatti con una sentenza del 22 gennaio 2015, in riforma della pronuncia di
primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore con le
consequenziali pronunce reintegratorie e patrimoniali previste dall’articolo 18 statuto dei
lavoratori (ancora vigente).
Il licenziamento, avvenuto per giustificato motivo soggettivo, si fondava sul fatto che il lavoratore aveva rifiutato di prendere servizio presso la sede di Milano dove era stato trasferito dalla sede di Pomezia (provincia di Roma).
Ma la Corte territoriale aveva ritenuto privo di fondamento il motivo addotto, atteso che il lavoratore aveva reagito ad un comportamento illegittimo del datore di lavoro rappresentato dal trasferimento ingiustificato.
La Corte di Cassazione, investita a seguito del ricorso della società datrice di lavoro, ha pienamente confermato la decisione della Corte d’Appello. Il mutamento della sede lavorativa deve essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali è configurabile una condotta illecita da parte del datore di lavoro.
Questa condotta illecita giustifica la mancata ottemperanza all’ordine impartito da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento (inadimplenti non est adimplendum) sia perché gli atti nulli non producono effetti.
Va comunque sottolineato che in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a
norma dell’articolo 1460, comma 2, codice civile, il rifiuto del lavoratore di assumere servizio
presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento del datore di lavoro,
sicché lo stesso deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare
servizio presso la sede originaria.
La Cassazione, al cospetto di un inadempimento del datore di lavoro oggettivamente gravido di negative conseguenze quale è il trasferimento illegittimo di un lavoratore da Pomezia a Milano, ha ritenuto del tutto proporzionata la reazione del lavoratore che ha comunque messo a disposizione le sue energie lavorative presso la legittima sede di lavoro.
In conclusione la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello di condanna
alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento degli arretrati oltre alla condanna
al pagamento delle spese legali (euro 5.000) in favore del lavoratore.
Informazioni desunte da atti dell’Ufficio legale della Corte di Cassazione
VIRGINIO PARABITA – Francavilla Fontana (BR)