A cura di Dott. Alessio Piccirillo (Roma)
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Segretario generale Dip. Comunicazione della D.C. Internazionale
Segretario regionale Dip. per le Relazioni con il Mondo Ecclesiale e del Volontariato della D.C. del Lazio
< Riflessioni politiche sul dialogo interreligioso del futuro >.
Lo scorso 5 marzo 2021 Papa Francesco ha affrontato un viaggio nel lontano Iraq con la specifica intenzione di intavolare – unitamente a tutte le autorità religiose presenti in quel Paese – un tavolo di confronto/dialogo interreligioso dove alla base di tutto ci fosse una sola parola prevalente: PACE.
E’ fuori da ogni ragionevole dubbio che viviamo in un periodo storico turbolento e delicato dove, in svariate aree del pianeta, basta un non nulla per scatenare tensioni e conflitti etnico religiosi, con le conseguenze che noi tutti possiamo vedere attraverso i media nazionali ed internazionali.
Spesso, alla base di quest’odio c’è un’errata interpretazione del sacro testo di riferimento.
Si, perchè il tratto comune di tutti questi sconvolgimenti è dato spesso da una interpretazione eccessivamente restrittiva – quando non da una reinterpretazione di comodo, a proprio uso e consumo – di un qualsiasi testo religioso da parte di chi, magari, dovrebbe essere delegato ad essere diffusore e messaggero di pace nei confronti dei propri fedeli.
Ed invece – approfittando delle situazioni che un determinato contesto territoriale e culturale ingiustamente favorisce – finisce con l’essere fomentatore di dissapori, odio e divisione tra le genti.
Attenzione, perché fino a questo momento si è parlato in termini generici senza, cioè, entrare nel merito di questa o quell’altra religione.
Entrando, invece, per un attimo un po più all’interno della faccenda si puntualizza il fatto che, attualmente – per motivi svariati che prescindono dalla semplice questione religiosa – se si parla di “fondamentalismo” e di “integralismo” l’attenzione cade immediatamente sul mondo islamico.
A onor del vero, comunque sia – secondo il detto che dice “cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia” – seguendo il ragionamento del paragrafo precedente, e sempre con i dovuti distinguo, questa tesi potrebbe tranquillamente essere applicata a 360°.
La storia, da questo punto di vista, parla e ci spiega con fatti ed avvenimenti inerenti il nostro passato ma, forse, siamo noi che non vogliamo o non siamo in grado di cogliere certe importanti sfumature.
Facendo un passo indietro di qualche secolo, infatti, si nota che, con la fine del 1400 e l’inizio del 1500 ed oltre, l’Europa – Italia compresa – fu protagonista di grandi ed articolati eventi di natura religiosa, culminati con l’avvento del luteranesimo, della Riforma e della Controriforma.
In mezzo a questo turbolento periodo, si innesta il cosiddetto fenomeno delle “eresie” e dei movimenti ereticali i quali, altro non sono che dei “fondamentalismi” anch’essi ma, più semplicemente, in chiave cristiana.
E vi sono precise caratteristiche – sociali, culturali e territoriali – che rendono simili i due fenomeni cioè, quello attuale in chiave islamica e quello cristiano che fu causa ( sui particolari si preferisce sorvolare, in quanto il periodo è così ricco di fatti, episodi e personaggi, che rischieremmo davvero di prolungarci troppo, demandando ad un altro e più indicato momento l’approfondimento su questo periodo storico) a suo tempo, di innumerevoli conflitti nel vecchio continente ed in tutta l’area del mediterraneo.
Da allora ad oggi tutto il mondo religioso (almeno quello afferente alle tre principali religioni monoteiste) ha percorso il suo lungo cammino di crescita e di arricchimento spirituale – maturando una personalità differente da quella di un tempo, ma con un occhio sempre attento alle proprie radici – arrivando ai giorni nostri, in questo periodo così articolato dove, senza la dovuta diplomazia, c’è il rischio di orientarsi verso scenari davvero apocalittici.
E, a questo proposito, il riferimento al titolo dell’enciclica di Papa Francesco non è certo casuale.
Ed allora ecco il momento del dialogo, del confronto fraterno, in cui ci si debba sentire “Fratelli….Tutti”.
Di questo e di altri importanti argomenti paralleli e contigui, abbiamo avuto l’opportunità di discutere e di confrontarci anche recentemente – nel corso della della Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana avvenuta a Roma a giugno scorso, nei giorni 25 e 26 – con una personalità davvero d’eccezione: l’Imam della Moschea di Roma Nader Akkad.
Una personalità di enorme spessore, gentile, di gran cultura e con una apertura mentale davvero straordinaria, come giustamente si conviene – o come dovrebbe essere con tutte le figure come questa – a chi ha la responsabilità di uno svariato numero di persone a cui deve fare da riferimento religioso.
A Roma – concludendo la disanima su questo tema – da questo punto di vista, c’è un detto: “Una parola è poca, due, a volte, già son troppe”.
Ovviamente non si fa riferimento letterale al numero specifico di queste ultime ma, semplicemente, ad una logica che tenga presente lo spessore e, data la situazione, il tipo di parole usate, in quanto ve ne sono alcune che devono essere gestite davvero con sapienza perché sono come dei fiammiferi, e ad accendere gli animi, in certi casi, è davvero un attimo, a spegnerli, invece, é cosa davvero molto difficile.
E qui torniamo al riferimento storico di cui sopra, quando per colpa di più di una parola detta male – e soprattutto per la mancanza di un vero dialogo rivolto alla pace – si accese un fuoco che attraversò l’Europa dal Portogallo fino alle estreme lande dei paesi nordici.
Diamo alla storia il giusto valore, allora, e riflettiamo bene per il “bene” del nostro futuro, perché la pace, la fratellanza, alla fine, alla fine di tutti i discorsi, dipende solo da noi.