<Industria 4.0> indica la quarta rivoluzione industriale e sebbene tutti ne parlino e tanti riescano a cucirci attorno progetti di svariati milioni, la gran parte degli Italiani non ha idea di quale sia il peso di questo concetto in termini di cambiamento del paradigma produttivo, di lavoro e di innovazione sociale.
Il “Mise” dà una definizione esatta di < industria 4.0>: “connessione tra sistemi fisici e digitali, analisi complesse attraverso Big Data e adattamenti real-time”.
Se da una parte si lavora per una massiccia digitalizzazione e robotizzazione del comparto di produzione, dall’altra la società verrà sempre più interrogata e inglobata del processo di ideazione dei prodotti.
La quarta rivoluzione industriale italiana segue quella ben più avanzata tedesca ma bisogna rendere merito almeno al ministro dello scorso governo Calenda per aver saputo portare avanti il Piano nazionale industria 4.0 che è riuscito a mobilitare molti miliardi di investimento pubblici e privati.
L’unica pecca del piano è stata quella di dare molto spazio agli investimenti in infrastrutture e poco sul capitale umano, aspetto di non poco conto che potrebbe risolversi se i competence center che stanno man mano nascando sul territorio nazionale riusciranno a stabilire le esatte relazioni tra fabbisogno di competenze nelle imprese e offerta dal mondo della formazione.
Come spiega Marco Taisch, docente alla “School of management” del Politecnico di Milano, «non basta investire sulle macchine connesse – dice – Bisogna avere “persone connesse”, nel senso di professionisti e lavoratori capaci di muoversi all’interno dei nuovi sistemi».
Un altro grosso quesito che pone l’avvento della quarta rivoluzione industriale riguarda l’occupazione.
La robotizzazione, la digitalizzazione spinta, l’intelligenza artificiale, sono ormai sinonimo di disoccupazione per molti.
Si parla addirittura della cancellazione di 5 milioni di posti di lavoro.
Un recente rapporto pubblicato dalla Commissione lavoro del Senato evidenzia una quota del 10% di lavoratori che rischiano di essere sostituiti da robot, mentre il 44% dovrà modificare le sue competenze.
Marco Taisch interviene nella questione dicendo che «Lavorare nell’industria 4.0 non equivale a essere sostituiti. Quello succede con la robotica, e solo in parte – dice – si tratta di aggiornare le competenze: domani ci sarà bisogno di interagire con la macchina, ad esempio con la capacità di leggere i dati raccolti».
Per la salvaguardia del lavoro, primo pilastro della dignità umana, è necessario che agiscano le forze sociali in modo da trovare forme di tutela del «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (Evangelii Gaudium 192).