Sono mamme di disabili gravi costrette ogni giorno a doversi dividere tra l’abitazione dove vive il figlio, magari costretto a letto o su una carrozzina, e il luogo di lavoro che spesso dista anche centinaia di chilometri da casa. Adesso hanno deciso di costituirsi in un Comitato e di lanciare un appello direttamente al premier.
Inizia così la lettera appello inviata al presidente del Consiglio da Antonella Zammitto, di Aragona (Ag), “Signor Presidente, ogni giorno siamo posti dinnanzi ad una scelta: assistere i nostri figli non autosufficienti o abbandonarli per andare a lavorare. Le chiediamo un gesto speciale impegni il governo a cambiare la norma che non tutela i dipendenti pubblici come noi, docenti e genitori di disabili gravi, dal rischio di essere annualmente assegnati a centinaia di chilometri dai nostri figli”, a nome delle mamme con figli disabili gravi.
La giornata di Antonella inizia all’alba per accudire il figlio, Andrea, 19 anni, costretto in carrozzina da una malattia neurodegenerativa. “E’ tracheostomizzato, non parla, comunica con i gesti e con il movimento degli occhi e della testa” spiega la madre, che ogni mattina deve collegare la pompa dell’ alimentazione al sondino allo stomaco, liberare le vie respiratorie per evitare crisi, somministrare i primi farmaci della giornata. “Intanto l’altro mio figlio, Claudio, ha suo malgrado rinunciato all’infanzia e imparato a essere autosufficiente”.
Antonella lavora come insegnante non distante da casa, dopo che era stata assegnata inizialmente a Catania ad oltre 200 chilometri da Aragona. Ma si tratta di un provvedimento provvisorio che il primo settembre rischia di essere annullato se non verrà riconosciuto il suo diritto ad assistere il figlio.
Dice la mamma :“ho bisogno di lavorare, ma come faccio a fare la mamma se mi viene assegnato un posto di lavoro lontano da casa?
“I primi anni – spiega – riuscivo a farcela, ma col tempo il quadro patologico di Andrea è aumentato, è necessario intervenire tempestivamente e con consapevolezza e sono responsabilità che non si possono affidare ad altri. L’asettico algoritmo del ministero che ci assegna alle varie sedi non riconosce la gravità della nostra situazione”.
Da tredici anni – continua Antonella – presento regolarmente domanda di trasferimento all’Usp di Agrigento indicando come prima sede Aragona. I posti disponibili sono pochi e sono occupati da chi risulta disabile al 67%, una percentuale in cui può rientrare anche chi ha patologie lievi come l’asma. Cosi si compie il disgiungimento familiare di Stato”.
Per questo, non usufruendo neanche dei benefici della Legge 104, il gruppo di mamme ha lanciato una petizione intitolata “Non possiamo lasciarli soli” dalla piattaforma Progressi.org firmata da oltre 11mila persone e rivolta anche ai ministri della Pubblica amministrazione e a quello dell’Istruzione. Il coordinamento di mamme chiede che sia emendato l’articolo 7 del testo unico sul pubblico impiego per consentire di lavorare – a chi ha figli disabili gravi – nel comune di residenza come previsto per i coniugi dei militari e categorie simili.
La nostra Associazione Democrazia Cristiana è vicina alla madre coraggio che nei prossimi giorni sarà contattata dai responsabili Dc Sicilia, in modo da poter capire come intervenire al caso dell’insegnante di Aragona e la Dc si aggrega alla petizione lanciata lo scorso anno da alcune mamme con i figli disabili.
Il testo infatti porta questa richiesta: «Chiediamo ai parlamentari che sia emendato l’articolo 7 del Testo Unico (d.lgs. 165/2001) e aggiunto il comma 3-bis – si legge nella petizione – “A tutela e sostegno della genitorialità, al personale di ruolo dipendente dalle pubbliche amministrazioni con figli disabili in situazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3 della Legge 104/1992, è riconosciuto come criterio di priorità l’assegnazione della sede di servizio nel comune di residenza del figlio, in soprannumero o in posizione di comando. Oppure, continua il testo, una soluzione che impedisca il disgiungimento familiare nel caso di figli disabili, analogamente a quanto previsto per il personale coniuge di militare o di categoria equiparata».
La petizione ha già ottenuto migliaia di firme in poche settimane dalla sua stesura, molte delle quali arrivano proprio dalla cittadina aragonese, dove la richiesta di firma alla petizione si è diffusa grazie al tam tam su Whatsapp.
A stilare il testo della petizione, appoggiata da altre madri che si trovano nella stessa situazione è stata proprio Antonella Zammito, il cui figlio, Andrea di 19 anni, è affetto da una malattia neurodegenerativa, la NBIA pank2, che provoca accumulo di ferro nel cervello. Più volte la donna ha rivendicato il diritto ad una destinazione vicina al proprio paese, o quanto più prossima, stigmatizzando il fatto proprio negli anni in cui sono venuti fuori gli scandali delle false “104”, ma le sue richieste sono state accolte in parte e lei continua a dover fare i conti con una dura le realtà che la costringe a stare lontana diversi chilometri dal proprio figlio.
di Antonio Gentile