Alla scoperta del peccato che non è solo fame
A cura di FRA EMILIANO ANTENUCCI (da IN TERRIS)
Gli animali si nutrono, l’uomo mangia, l’uomo di spirito (o intelligente) pranza. (Anthelme Brillat-Savarin)
Perché è così difficile darsi una misura nell’assunzione del cibo? Perché gusto e olfatto sono i sensi più arcaici che mettono in moto le zone più primitive del nostro cervello, quelle su cui i nostri ragionamenti, i nostri propositi, la nostra buona volontà hanno una scarsissima incidenza. Per questo la gola, più che un vizio capitale, è un richiamo alla nostra animalità, il retaggio della nostra antica condizione. (Umberto Galimberti)
Quello che volevo dal cibo era compagnia, conforto, rassicurazione, un senso di calore e di benessere che mi era difficile trovare nella mia vita e perfino nella mia casa. Ma nel momento in cui queste emozioni salivano alla superficie non potevano più facilmente essere soddisfatte dal cibo. Sì, avevo fame, ma chiaramente non di cibo. (Kim Chernin)
Una ragazza mi dice: “Padre, ma a lei la conosco di fama!”. Gli rispondo: “Più che essere una frate di fama, sono un frate di fame!”. La fame è un bisogno fondamentale e primario dell’uomo. Chi rifiuta il cibo, rifiuta la vita, l’affetto, le relazioni con gli altri e la comunione con il prossimo. Mangiare insieme vuol dire condividere, fare comunione, festeggiare, scambiare idee, progetti e gusti. La tavola è “un libro di storia e di cultura di un popolo” e una “cartina geografica” nel quale decidiamo la direzione che vogliamo prendere insieme agli altri. Una persona che ti invita a pranzo o a cena è un’altro modo per dirti: “Ti voglio bene”. La cucina è un atto di amore, un’arte non per tutti, un mettere insieme passione, creatività, sacrificio e buon gusto.
Salute a rischio
La gola è un vizio capitale che oltre ad essere una malattia dell’anima, fa male anche al corpo mettendo a rischio la salute che è un gran dono del Buon Dio.
La gola è un’insaziabile fame di affetto che in chiave moderna è collegata a quattro tipi di dipendenze:
- La dipendenza dal cibo
La dipendenza dal bere
3. La dipendenza dalle droghe(pesanti o leggere che sempre male fanno)
4. La dipendenza dall’affettività.
Il peccato originale
La gola è il peccato dell’origine: il frutto proibito che si presenta buono, affascinante e gustoso, ma poi diventa il “primo veleno” del peccato originale e originante di tutti gli altri vizi. Dalla bocca entra la vita, ma da essa esce ciò che abbiamo nel cuore (“Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo (Mt 7, 21-23).). Il cibo è un modo in cui noi ci prendiamo cura di noi stessi.
Occhio alle fissazioni
L’uomo è onnivoro, cioè mangia tutto (perché il Signore ci ha creato i canini per mangiare solo l’erba?), e credo che bisogna evitare le “fissazioni esagerate” per le diete, con tutte le mode odierne di essere vegani e vegetariani. In un’antico refettorio di un convento c’era scritto: “Si mangia per vivere e non si vive per mangiare”, quindi bisogna stare attenti all’eccesso di cibo, di bevande e alimenti che potrebbero danneggiare il nostro organismo. Con il cibo si combatte l’angoscia, il vuoto esistenziale e le carenza affettive. Mangiare non è solo una “questione alimentare”, ma è esistenziale, perché va alla radice dell’accettazione o del rifiuto della propria esistenza (es. anoressia, bulimia, obesità etc).
Convivialità
Appena mi alzo la mattina presto, io che sono un frate “cappuccino (latte e caffè)”, non “mangio” un cappuccino (non sono cannibale!), ma bevo con lo zucchero la mia dolce metà: il caffè. A parte gli scherzi. Non dobbiamo mai perdere la gioia dello stare insieme con una caffè al bar o una pizza con gli amici, questa gioia manca forse a tanti uomini illustri anche di Chiesa. Papa Francesco alla domanda: “Cosa ti manca in Vaticano?” riponde: “Mi manca uscire per strada, questo sì lo desidero, la tranquillità di camminare per strada, o andare in una pizzeria a mangiare una buona pizza… Io sempre sono stato ‘di strada’ ”.
A cura di FRA EMILIANO ANTENUCCI (da IN TERRIS)