Articolo di Antonio Gentile – www.ilpopolo.news * www.democraziacristianaonline.it
Non sempre le ciambelle riescono col buco, recita il vecchio detto, e ci sono adattamenti letterari che sullo schermo non hanno la stessa riuscita che hanno sulla carta. Sembra questo anche il caso di La settima musa, tratto dal romanzo dello scrittore cileno naturalizzato spagnolo José Carlos Somoza, “La dama numero 13” (in Italia pubblicato da Frassinelli nel 2006). Un libro che ricorda, fatte le debite proporzioni, “Il club Dumas” di Arturo Perez Reverte, trasportato in parte al cinema, in modo non del tutto soddisfacente, da Roman Polanski con La nona porta.
Anche in questo caso si parla di un’indagine letterario-sovrannaturale: nel primo la storia parte dalla ricerca relativa a un manoscritto dei Tre Moschettieri di Alexandre Dumas, mentre qua oggetto dell’oscura inchiesta del protagonista sono 13 misteriose dame (ridotte a 7 nel film), che altro non sono che le Muse ispiratrici dei poeti, in realtà appartenenti a un mondo infero che assieme alla gioia della creazione in alcuni casi dispensano orribili tormenti a chi ha la sventura di incontrarle. La trama intricata del libro di Somoza, nel film di Jaume Balaguerò – esponente di spicco, grazie alla serie REC ma non solo, di quella che negli anni Novanta/Duemila è stata una sorta di new wave dell’horror spagnolo – viene semplificata e cambiata, eliminando alcuni personaggi, accorpandone altri e inserendo una premessa che non esiste nel libro, dove gli incubi del protagonista sono più terribili e avvengono in modo casuale.
Tutto questo non vuol dir niente, perché si sa che il cinema è un mezzo visuale e non ha le stesse regole della pagina scritta, un adattamento è sempre un tradimento e molto spesso le migliori trasposizioni cinematografiche di opere letterarie nascono proprio quando si ha l’accortezza di allontanarsi dal testo originale, preservandone però lo spirito. Nel caso de La settima musa, però, la semplificazione della trama non giova alla comprensione di quanto succede sullo schermo, che risulta semmai più difficile, come se mancasse qualche tassello essenziale al puzzle che lo spettatore dovrà poi completare. Dall’Inferno di Dante citato inizialmente e dal Paradiso Perduto di Milton, si passa a una storia che coinvolge le Muse, che nella mitologia greca erano 9, in un’accezione più simile a quella di cui scriveva Robert Graves in “La dea bianca” che alle figlie di Zeus che tutti conosciamo: sono vere e proprie streghe, che richiedono in cambio dei loro servigi sacrifici di dolore e sofferenza, la cui essenza divina è legata a una figurina, un’imago, mentre la stessa esistenza di sei di loro dipende da un’altra musa che nessuno conosce e ha mai visto e che i protagonisti scoprono .
Alla fine si può dire che il divino non ha più spazio nel mondo umano, anzi, è proprio la contaminazione tra i due piani a provocare la fine della realtà soprannaturale. Non si tratta com’è chiaro di un horror vero e proprio e apprezziamo da parte del regista il tentativo di realizzare un film che mira a essere inquietante più che pauroso, in cui la quotidiana normalità dei personaggi viene squarciata dalla terrificante consapevolezza che esiste un minaccioso altrove, una strada ignota che non dovrebbero percorrere. E’ facile comprendere cosa quanto questo abbia affascinato Balaguerò: la domanda più frequente posta agli scrittori o a chi abbia comunque un lavoro creativo è da dove prendano l’ispirazione. E’ affascinante e inquietante pensare che esista qualcosa nato prima della creazione della mente umana, prima della parola, della poesia e delle opere letterarie, sussurrate da entità imperscrutabili nelle orecchie di grandi e geniali autori. Ma, come dicevamo all’inizio, gli elementi in gioco sono troppi e troppo velocemente si susseguono gli eventi per darci tempo di spaventarci o di inquietarci, nonostante le atmosfere notturne e la ferocia di un paio di sequenze.
Il cast è estremamente variegato e composto da attori internazionali, che interagiscono solo in parte tra di loro: la rumena Ana Ularu ha il volto giusto per dare drammaticità alla sua Rachel, mentre la tedesca Franka Potente appare sprecata nel ruolo della professoressa che prova ad aiutare il protagonista a decifrare l’enigma, rimettendoci in prima persona. Il pur bravo Elliot Cowan, il Lorenzo de’ Medici di Da Vinci’s Demons, non ha lo spessore e il carisma necessari per tenere sulle spalle tutto il film, e tra la Muse appaiono vecchie conoscenze come Joanna Whalley (non più Kilmer), negli ultimi anni impegnata sul piccolo schermo, e la spagnola Leonor Watling. In una canonica comparsata da dieci minuti scenici c’è anche Christopher Lloyd, ed è come al solito il più bravo di tutti.
Ma il fatto che il mistero di questo incrocio tra le storie a codice di Dan Brown e il gotico (a cui rimandano il look delle divinità e le location del film) resti tale, forse dipende proprio dalla fonte, come dicevamo all’inizio: ci sono storie che per qualche motivo sono più difficili di altre da portare sullo schermo con la stessa efficacia della parola scritta, anche per via delle limitazioni di budget e degli inevitabili compromessi produttivi. In questo caso apprezziamo il tentativo, ma siamo convinti che in futuro Jaume Balaguerò possa darci qualche motivo in più per spaventarci al cinema.
- DATA USCITA:
- GENERE: Thriller,
- REGIA: Jaume Balagueró
- ATTORI: Franka Potente, Joanne Whalley, Ana Ularu, Elliot Cowan, Leonor Watling, Manuela Vellés, Christopher Lloyd, Sam Hardy, Stella McCusker, Yennis Cheung
- DURATA: 107 Min
Grazie alla redazione Coming Soon che ci ha fornito immagini e documentazione.
a cura di Antonio Gentile