A cura di Dott. LORENZO RANIOLO (Gela/CL)
– dott.lorenzoraniolo@tiscali.it
– Editorialista de < IL POPOLO > della Democrazia Cristiana
< La Sicilia non dimentica: Placido Rizzotto, martire del lavoro. 75 anni fa l’omicidio. >
Chi era Placido Rizzotto? Placido Rizzotto nasce a Corleone, in provincia di Palermo, il 2 gennaio del 1914. Primo di sette figli, perde la madre quando è ancora un bambino. Ben presto il padre viene arrestato, con l’accusa di essere vicino alla mafia, quindi Placido, sebbene sia molto giovane, abbandona gli studi e si dedica alla famiglia.
È un ragazzo curioso, intraprendente e dinamico, forte e coraggioso. Parte per il servizio militare, prima nel Reggimento Cavalleggeri di Alessandria di stanza a Palmanova e poi in quello di Lucca, di stanza a Tivoli. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo porta nella Carnia, in provincia di Udine. Va a Roma con l’armistizio dell’8 settembre e si unisce alla Resistenza partigiana, nella banda clandestina del Gruppo Napoli.
A guerra finita, nel 1945, torna a Corleone. Proprio l’esperienza partigiana apre la strada all’attività politica e sindacale che occuperà la sua vita fino al suo ultimo respiro. Riveste prima la carica di presidente dei reduci e combattenti dell’ANPI di Palermo, quindi diviene col tempo esponente di spicco del Partito Socialista Italiano e poi della CGIL. Nell’ottobre del 1947 diventa Segretario della Camera del Lavoro di Corleone.
Sono anni, questi, di grandi battaglie, che Placido Rizzotto porta avanti con coraggio e determinazione. È al fianco di contadini e braccianti agricoli, da troppo tempo ostaggio dei grandi latifondisti e proprietari terrieri e della mafia. Si mette a capo del movimento contadino, dandogli una struttura, motivandolo e organizzando manifestazioni. Le elezioni del 6 ottobre 1946 e quelle del 20 maggio 1947 dimostrano che quel movimento sta smuovendo qualcosa: “Blocco del popolo“, lista di sinistra, raccoglie oltre il 44% dei voti. Si tratta di una vittoria straordinaria.
Proprio quando Rizzotto diviene Segretario della Camera del Lavoro, la mafia corleonese (guidata all’epoca dal medico Michele Navarra) prova a fare pressione affinché desista dalle sue battaglie. Nulla, tuttavia piega la sua volontà: continua a guidare le battaglie contadine con coraggio e determinazione di sempre.
Il 10 marzo del 1948 Placido Rizzotto viene sequestrato e ucciso. Ha da poco lasciato una riunione con i suoi compagni di partito e sta camminando per le strade del paese con Ludovico Benigno. A un certo punto Pasquale Criscione, vicino di casa di Placido, fa da esca: finge un incontro casuale e, quando Ludovico li lascia, Rizzotto e Criscione continuano a camminare.
All’altezza di via Bentivegna scatta la trappola. Placido è caricato di peso sulla 1.100 di Luciano Liggio (luogotenente di Navarra) e condotto in contrada Malvello. Proprio qui Liggio lo pesta a sangue, lo finisce con 3 colpi di pistola e lo getta nella foiba di Rocca Busambra.
Ad assistere a quella scena è il 12enne Giuseppe, mandato dal padre ad accudire gli animali proprio nei pressi della Rocca Busambra. Rimane talmente sconvolto, da cadere in uno stato di delirio tale da convincere il padre a portarlo all’ospedale Dei Bianchi, diretto proprio da Michele Navarra. “Per calmarlo”, almeno è quello che viene detto, il ragazzino riceve un’iniezioni. Quella iniezione non gli fa più riaprire gli occhi, invece.
Le indagini per la scomparsa di Placido Rizzotto partono quasi subito, spinte da compagni di partito e stampa nazionale. Attenzione è posta anche alla vicenda del giovane Giuseppe e sulla stampa si parla chiaramente di un avvelenamento.
Non mancano neanche i tentativi di depistaggio, ma la svolta arriva nell’estate del 1949, quando l’allora Capitano dei Carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa segue l’indagine. Il 4 dicembre dello stesso finiscono in manette Vincenzo Collura e Pasquale Criscione. I due ammettono le loro responsabilità nel rapimento di Placido.
Chiamano in correità Luciano Liggio, indicandolo come l’assassino del sindacalista e fanno importanti dichiarazioni sul luogo in cui è il corpo. Dalla Chiesa, con l’aiuto dei Vigili del Fuoco, recupera i resti di tre uomini. I familiari di Rizzotto dichiarano di “riconoscere gli scarponi appartenenti al loro familiare Rizzotto Placido“.
Collura e Criscione, però, a questo punto cambiano versione davanti ai giudici, dicendo che le dichiarazioni sono state estorte dai Carabinieri. Il processo si chiuse il 30 dicembre del 1952 con la pronuncia della Corte d’Assise di Palermo che assolve tutti gli imputati per insufficienza di prove.
Placido Rizzotto, pestato e ucciso a soli 34 anni, non trova mai giustizia nelle aule di un Tribunale, perché anche il processo di appello, che si conclude nel luglio del 1959 conferma quella sentenza. Nel 1961 la Cassazione respinge il ricorso della pubblica accusa.
Nonostante questo, la memoria di Rizzotto è viva: familiari e compagni di sindacato hanno continuato a chiedere giustizia, lanciando appelli per recuperarne i resti. Nel 2008 la Polizia si mette di nuovo sulle tracce del corpo e, il 7 luglio, recupera dal pozzo di Rocca Busambra alcuni resti umani.
La comparazione del DNA di questi resti con quelli di Carmelo Rizzotto, morto nel 1969 e riesumato per l’occasione, accerta che si tratta di Placido. È il 9 marzo del 2012, vigilia del 64esimo anniversario dell’omicidio.
Dopo una settimana il Consiglio dei Ministri dispone la celebrazione di funerali di stato per Placido Rizzotto: la cerimonia si tiene a Corleone il 24 maggio, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. In quel giorno, accorrono a Corleone migliaia di cittadini e lavoratori da ogni parte d’Italia.
A Placido è attribuita una Medaglia d’oro al merito civile, con queste motivazioni:
“Politico e sindacalista fermamente impegnato nella difesa degli ideali di democrazia e giustizia, consacrò la sua esistenza alla lotta contro la mafia e lo sfruttamento dei contadini, perdendo tragicamente la giovane vita in un vile agguato ad opera degli esponenti mafiosi corleonesi. Fulgido esempio di rettitudine e coraggio spinti fino all’estremo sacrificio”.