Senza una storia visiva non siamo in grado di interpretare correttamente lo spirito del tempo. Per questo va incoraggiata ogni forma di conservazione e studio della comunicazione visiva.
Il sito web della Dc, offre alla consultazione una breve, ma abbastanza rappresentativa, serie di poster storici editi dalla Democrazia Cristiana durante le campagne elettorali dal 1948 agli anni ’90.
Un excursus che ci accompagna attraverso gli slogan e i temi visivi, basati sostanzialmente sulla denuncia della minaccia comunista, che hanno fatto la comunicazione politica della Dc. Sempre di grande impatto visivo i manifesti del 1948 in cui lo scudo crociato si erge a difesa dell’Italia turrita da minacciose falce-e-martello e cosacchi sovietici: un ormai raro volume (C’era una volta la DC: Breve storia del periodo degasperiano attraverso i manifesti elettorali della Democrazia cristiana).
Nel 1975 Ruggero Orfei scelse per il suo libro intitolato “L’occupazione del potere – I Democristiani del 45/75”, una copertina eccezionale. Si trattava del manifesto con la pubblicità degli Stunt Cars, una compagnia viaggiante di acrobati delle quattro e due ruote. Al centro compariva lo scudocrociato con la scritta «30 anni di libertà» e sotto, in piccolo, «alcuni buoni altri meno buoni ma tutti nella libertà».
Era il poster elettorale scelto dalla Dc per le amministrative del 1975: per descriversi il partito prendeva a prestito l’immagine della carovana dei fratelli Togni e riconosceva che in trent’anni non tutto era andato per il verso giusto, ma la cosa più importante era stata la garanzia di libertà assicurata al Paese.
Le elezioni andarono molto male, il crollo fu dolorosissimo. Ma quel manifesto rimase come una lezione di comunicazione politica, con una sua filosofia: dare sicurezza attraverso la sincerità, rinunciando alle promesse e ai miracoli. Un messaggio agli elettori che racchiudeva bene lo spirito democristiano: «conoscete bene le nostre virtù e i nostri limiti, votateci così come siamo».
Chi è venuto dopo non si è proprio inventato nulla. I manifesti di metri 6 per 3, i kit del candidato, gli inni e il karaoke, la Dc ce li aveva già dagli anni ’50. «Penso che un tempo così non ritorni mai più/ se non votiamo lo scudo dipinto di blu … votare oh, oh», era il motivo che per le politiche del 1958 era stato mutuato dal successo sanremese di Domenico Modugno.
Il centone era invece il libretto che in campagna elettorale veniva distribuito ai militanti, dove si spiegavano le parole della politica, si sintetizzavano i successi della Dc e si fornivano argomenti polemici per replicare agli avversari. A decidere argomenti, toni e materiali della campagna elettorale era la Spes, una sigla che identificava l’ufficio studi propaganda e stampa della Dc, ma che inevitabilmente richiamava la parola latina e in particolare la virtù cristiana della speranza, quasi a infondere ottimismo e coraggio.
Il primo a occuparsi dell’organizzazione della Spes era stato Giuseppe Dossetti nel 1945. Dopo di lui Amintore Fanfani, che con il suo proverbiale attivismo amava spedire circolari a raffica, addentrandosi nella vita delle singole sezioni del partito fin nei minimi dettagli. Per la sfida epocale del 18 aprile 1948 la Dc mise Giorgio Tupini a capo dell’ufficio, quindi si avvicendarono il futuro direttore dell’Osservatore Romano Raimondo Manzini e tre esponenti che avrebbero poi ricoperto il ruolo di segretario della Dc: Mariano Rumor, Arnaldo Forlani e Flaminio Piccoli. La prima donna dirigente sarà negli anni ’80 Silvia Costa, coordinatrice delle campagne elettorali con gli slogan «Decidi Dc» e «Forza Italia».
Da tempo ormai anche nella Dc s’era incuneata la tentazione della personalizzazione. Si può dire che fino agli anni ’60 i politici esitarono a mettere le proprie facce sui muri e i leader democristiani più di tutti. Fu poi Benigno Zaccagnini nel 1976, a rompere questo tabù: il suo volto triste ma rassicurante finì sui manifesti con la scritta ” La Dc è già cominciata”. Un presagio che avrebbe dato linfa per un altro decennio, o poco più.
Spot elettorale realizzato dalla Democrazia Cristiana in occasione delle elezioni politiche del 1983. Una candela accesa rischia di spegnersi per il vento, una mano va a proteggere la fiamma. Voce off maschile: “Per fortuna in Italia c’è un partito che impedisce i salti nel buio”.
La campagna Decidi Dc realizzata dalla Democrazia Cristiana nel 1983 presenta una serie di spot dalla forte componente emotiva, costruiti su metafore visive e messaggi semplici, dove l’immagine è sganciata da ogni contenuto o riferimento politico ideologico ed è prevalente sul discorso parlato. Questa campagna, dalla chiara influenza pubblicitaria, costituisce per l’epoca un inedito nell’impiego degli spot politici.
E’ una ragazza giovane, bionda, sorridente, inevitabilmente vestita di bianco e con un mazzo di fiori in mano. Sembra la copertina di un romanzo rosa. L’ intestazione però dice: “La Dc ha vent’ anni”. Pochi lo sanno, ma questo manifesto segnò una svolta nell’arte della persuasione occulta in Italia.
Visto oggi, fra i tanti prodotti di propaganda democristiana che Piazza del Gesù ha voluto raccogliere e mettere in mostra, non sembra poi tanto diverso dagli altri: forse solo più infelice. La differenza la fa il modo in cui la Spes – la fabbrica del consenso dc – arrivò a identificare il partito in quella graziosa fanciulla. Correva l’ anno 1963, si avvicinavano le elezioni, e la ventenne Dc arrivava impaurita all’ appuntamento. Agli italiani bisognava spiegare come mai la vergine con il velo bianco (“La Dc è un buon partito, ditele sì”, recitava un manifesto di appena tre anni prima) fosse convolata a nozze con il malfidato Nenni. Moro, al congresso, ci aveva messo sei ore per far inghiottire la svolta al partito. Con queste premesse, era difficile impostare una campagna elettorale. Fu allora che Adolfo Sarti e Bartolo Ciccardini tirarono fuori il coniglio dal cilindro. Si chiamava Dichter, ed era forse il primo grande esperto di marketing “a tutto campo” che mettesse piede in Italia. Per lui un partito o un’ etichetta di whisky erano la stessa cosa: aveva curato l’ immagine di John Kennedy nell’ ascesa alla Casa Bianca, così come aveva rilanciato il consumo delle prugne secche californiane in tutta l’ America.
L’ amico americano iniziò i politici italiani ai misteri di un universo sconosciuto, fatto di psicologie di massa, messaggi subliminali, inconsci nazionali. Attraverso le “confessioni motivazionali” raccolte dagli esperti i democristiani dovettero scoprire così, per la prima volta, cosa fosse davvero il loro partito per gli elettori: una sorta di grande mamma, un’ enorme matrona; protettrice, ma invadente. Il suo abbraccio poteva andar bene per i difficili anni della ricostruzione, ma nell’ euforia del boom ci voleva qualcosa di più dinamico. Il verdetto di Dichter fu: “Non cercate di piazzare il centrosinistra con questa vecchia venditrice”. Obbedienti, Sarti e Ciccardini trasformarono la mamma in una primaverile ventenne. Risultato: tre punti e mezzo in meno alle politiche. Il povero Sarti ricevette da Botteghe Oscure un’ impietosa scatola di prugne secche della California. Ma anche se il primo passo del marketing politico era stato un tonfo, ormai il dado era tratto, e la primitiva innocenza perduta. Da allora, chi più, chi meno, chi prima, chi poi, tutti i partiti si sarebbero rivolti ad esperti pubblicitari, manager dell’ immagine, ideologi del look. Oggi la Dc ha superato i quarant’anni, e gli strateghi della comunicazione non le impongono più di nascondere la sua età. De Mita l’ha un po’rinnovata, e si sente abbastanza sicuro per rilanciarla in una fiera rivisitazione del passato. Già al festival dell’ Amicizia di Bari i democristiani avevano presentato il loro album di famiglia: 250 manifesti scelti fra i circa mille prodotti dalla Spes dal dopoguerra ad oggi. Ora quella mostra ha iniziato a viaggiare in tutta Italia. Prime tappe Lucca, isola bianca nella rossa Toscana, e la rossa Ferrara. (Da oggi, invece, sarà a Mantova).
La Dc rievoca con orgoglio lo spirito del ‘ 48, gli anni bui dello scontro frontale, la battaglia della legge truffa: ecco un Altare della patria sovrastato dalle bandiere rosse, con l’ ammonimento “in Italia mai!”; ecco il ponte levatoio assaltato da tumultuanti folle comuniste – tutte colorate di rosso – e lo slogan “non si passa”; ecco ancora una forca sulla quale sventola un drappo con falce e martello. La mano è pesante, i toni sono cupi, la grafica è anche peggio. Altra epoca, via via che il tempo scorre gli slogan si fanno più educati, il Psi non è più servo di Mosca, sparisce l’ equazione Pci=forche. Eppure al visitatore sorge il sospetto che in sostanza la Dc abbia continuato a costruire la propria immagine sempre battendo sugli stessi tasti. Lo spauracchio del sorpasso, per esempio è molto antico. Viene agitato per la prima volta, nel ‘ 58. Una bilancia invita a riflettere sui risultati pericolosi del ‘ 53: 10.859mila voti alla Dc, 9.562mila ai socialcomunisti. Monito: “Non rovesciare la bilancia”. Identico schema nel ‘ 76: su una lavagna si tirano delle somme delle percentuali ottenute da Pci, Psi e ultrasinistra nelle regionali dell’ anno precedente. Totale: 47%. Ammonimento: “Manca solo il 3,1% e l’ Italia diventa comunista.
E’ questo che vuoi?”. E già si era alle soglie della solidarietà nazionale. Infine, e siamo arrivati all’ 85: “Scheda bianca uguale scheda rossa, vota dc se non vuoi svegliarti domani in un paese diverso”. Dove quel “diverso” è un capolavoro dell’ arte dell’ allusione. Anche la teoria degli opposti estremismi ha radici lontane. Viene usata per la prima volta dopo la fondazione del Msi. Uno scheletro regge in una mano la fiammella missina, e nell’ altra la falce e martello. Lo slogan è: “L’ uno vale l’ altro”. Siamo nel ‘ 53. Quasi vent’ anni dopo, nel ‘ 71, non ci sono più i nomi dei partiti, ma il concetto rimane: “Il comunismo è repressione, il fascismo è avventura, la Dc è libertà”. Il corollario è la centralità democristiana. E infatti l’ anno dopo viene coniato il vagamente calcistico “Avanti al centro con la Dc”. Si arriverà perfino, caso eccezionale, ad un minimo di autocritica: “Trenta anni di libertà, alcuni buoni, altri meno buoni, ma tutti nella libertà”. Come dire: accontentatevi, gli altri, questo, non possono garantirvelo…La svolta di una locandina di successo arriva con i due famosi attori dell’epoca, Fernandel e Gino Cervi , con la serie televisiva ” Don Camillo e Don Peppone”.
Flaminio Piccoli, nel catalogo, si chiede se il distacco tra classe politica e società civile non sia dovuto all’arrivo degli specialisti della comunicazione, che avrebbero interrotto il rapporto diretto fra cittadini e partiti. Forse. Ma davanti a questa monotonia, riflesso di una democrazia bloccata, è difficile credere che la colpa della disaffezione possa essere di mister Dichter. Si chiamava Dichter, ed era forse il primo grande esperto di marketing “a tutto … rivolti ad esperti pubblicitari, manager dell’ immagine, ideologi del look.
I manifesti murali, infatti, assolvevano il compito di veicolare i messaggi politici ed elettorali, meglio di quanto faceva la radio, il cui spazio dedicato alla politica andò quasi fino a scomparire nel biennio ’46-’48, dei giornali che venivano letti da una minoranza e della televisione che iniziò la prima trasmissione di propaganda elettorale solo nel 1960, con ‘Tribuna politica’.
Molto ricca è la sezione dedicata alle elezioni del 1948, dove si assistette a uno scontro tra la Democrazia Cristiana e il Fronte Democratico Popolare per la costituzione del governo del primo parlamento repubblicano e in cui le forze in campo fronteggiavano due visioni opposte del mondo: da un lato De Gasperi, gli Stati Uniti, la Chiesa e il capitalismo, dall’altro Togliatti e Nenni con l’URSS e il comunismo.
Sono passati molti anni , ma la pubblicità e gli spot propagandistici ai nostri giorni si sono perfezionati, ma l’essenza e lo spirito rimane sempre lo stesso.
di Antonio Gentile