Non possiamo e non dobbiamo dimenticare un simile atto terroristico di intolleranza assoluta di cattiveria e vigliaccheria, nell’attentato furono uccise 85 persone ed oltre 200 rimasero ferite.
Quella mattina, alle 10:25, nella sala d’aspetto di 2ª classe della stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, venne fatto esplodere e causò il crollo dell’ala ovest dell’edificio. La bomba era composta da 23 kg di esplosivo, una miscela di 5 kg di tritolo e T4 detta “Compound B”, potenziata da 18 kg di gelatinato (nitroglicerina a uso civile).
L’esplosivo, di fabbricazione militare, era posto nella valigia, sistemata a circa 50 centimetri d’altezza su di un tavolino portabagagli sotto il muro portante dell’ala ovest, allo scopo di aumentarne l’effetto; l’onda d’urto, insieme ai detriti provocati dallo scoppio, investì anche il treno Ancona-Chiasso, che al momento si trovava in sosta sul primo binario, distruggendo circa 30 metri di pensilina, ed il parcheggio dei taxi antistante l’edificio.
Manifestazione di protesta in Piazza Maggiore a Bologna, durante la celebrazione dei funerali delle vittime.
La città reagì con orgoglio e prontezza: molti cittadini, insieme ai viaggiatori presenti, prestarono i primi soccorsi alle vittime e contribuirono ad estrarre le persone sepolte dalle macerie e, immediatamente dopo l’esplosione, la corsia di destra dei viali di circonvallazione del centro storico di Bologna, su cui si trova la stazione, fu riservata alle ambulanze e ai mezzi di soccorso. Dato il grande numero di feriti, non essendo tali mezzi sufficienti al loro trasporto verso gli ospedali cittadini, i vigili impiegarono anche autobus, in particolare quello della linea 37, auto private e taxi.
Al fine di prestare le cure alle vittime dell’attentato, i medici e il personale ospedaliero fecero ritorno dalle ferie, così come i reparti, chiusi per le festività estive, furono riaperti per consentire il ricovero di tutti i pazienti. L’autobus 37 divenne, insieme all’orologio fermo alle 10:25 (anche se fu rimesso in funzione, e fermato successivamente), uno dei simboli della strage . Di una delle vittime (la ventiquattrenne Maria Fresu) non venne ritrovato il corpo. Soltanto il 29 dicembre 1980, fu accertato che alcuni resti ritrovati sotto il treno diretto a Basilea appartenevano a lei. Evidentemente ella si era trovata così vicino alla bomba che il suo corpo fu completamente disintegrato dall’esplosione.
Nei giorni successivi, la centrale Piazza Maggiore ospitò imponenti manifestazioni di sdegno e di protesta da parte della popolazione e non furono risparmiate accese critiche e proteste rivolte ai rappresentanti del governo, intervenuti il giorno 6 ai funerali delle vittime celebrati nella Basilica di San Petronio. Gli unici applausi furono riservati al presidente Sandro Pertini, giunto con un elicottero a Bologna alle 17:30 del giorno della strage, che in lacrime affermò di fronte ai giornalisti: «Non ho parole, siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia».
E’ una vicenda giudiziaria complicata, lenta e discussa, quella per l’individuazione delle responsabilità dell’orrenda strage di Bologna. Una vicenda che ha conosciuto tentativi di depistaggio e che, viceversa, nella ricerca della verità ha trovato stimoli nell’ “Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980”, costituitasi ad un anno dall’accaduto, il 1° giugno 1981. Vari i gradi di giudizio che si sono succeduti: si comincia nel 1987, poi l’appello nel 1990 che ribalta il verdetto di primo grado assolvendo tutti gli indagati, finché solo il 23 novembre 1995 si giunge ad una sentenza definitiva della Corte di Cassazione.
Alla fine vengono condannati all’ergastolo, quali esecutori dell’attentato, i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (che si sono sempre dichiarati innocenti, pur avendo apertamente rivendicato vari altri omicidi di quegli anni). Vengono invece condannati a 10 anni, per il depistaggio delle indagini, l’ex capo della loggia massonica “P2” Licio Gelli, l’ex agente del SISMI Francesco
Pazienza e i due alti ufficiali Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, rispettivamente generale e colonnello del servizio segreto militare (SISMI).
Nel 2007 viene poi condannato a 30 anni per l’esecuzione della strage anche Luigi Ciavardini (minorenne all’epoca dei fatti). Altri due imputati, invece – Massimiliano Fachini (anch’esso legato agli ambienti dell’estrema destra ed esperto di timer ed inneschi) e Sergio Picciafuoco (criminale comune, presente quel giorno alla stazione di Bologna, per sua stessa ammissione) vengono condannati in primo grado ma poi assolti in via definitiva, rispettivamente nel 1994 e nel 1996. Restano ancora ignoti i mandanti della strage, il cui movente si ipotizza possa esser stato afferente alla ‘strategia della tensione’: destabilizzare, cioè, il Paese tramite una serie di attentati per creare le condizioni adatte all’instaurazione di un regime autoritario.
In sede civile, infine, nel 2014 Fioravanti e Mambro sono stati condannati in primo grado a risarcire allo Stato 2 miliardi, 134 milioni e 273 mila euro.
di Antonio Gentile