Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. “Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava”.
Ma andiamo a vedere chi è veramente Raffaele Cutolo , nato a Ottaviano, 10 dicembre 1941 è uno dei camorristi italiani più ermetici, fondatore nonché capo della Nuova Camorra Organizzata.
Ha due fratelli, Pasquale e Rosetta Cutolo, i quali intrapresero come il fratello una carriera criminale; Rosetta condivise le sorti del fratello e fu importante per le attività della NCO. Soprannominato ‘o Professore dai suoi compagni di carcere, perché l’unico tra di loro che sapesse leggere e scrivere, ha trascorso gran parte della sua vita in carcere, proprio come Salvatore De Crescenzo, esponente della camorra nel XIX secolo.
Ha compiuto da poco 76 anni. Un’esistenza passata per la maggior parte del suo corso (più di mezzo secolo), tra aule di tribunale e penitenziari. All’anagrafe è Raffaele Cutolo, del fu Michele ‘O Monaco. Presso la banca dati della camorra è ‘O Prufessore. Così lo conoscono santisti, affiliati, picciotti di mezza tacca e gente comune. Adesso, il professore di Ottaviano è un uomo solo, un vecchio gravemente malato che si sta spegnendo al 41bis, uno che come tenne a dichiarare la moglie Immacolata Iacone nel corso di un’intervista Stylo24, sta peggio di Riina. Deve scontare 4 ergastoli ed è ancora detenuto nel super carcere di Parma..
I Fatti di allora….
“Potevo salvare Aldo Moro, fui fermato”. Così il super boss della camorra, Raffaele Cutolo, in carcere da anni, in un verbale inedito di un interrogatorio. “Aiutai – spiega Cutolo – l’assessore Cirillo (rapito e successivamente rilasciato dalle Br, ndr), potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi”. Le dichiarazioni di Cutolo, riferite da Il Mattino, risalgono al 25 ottobre del 2016.
Conferma di aver salvato la vita di Ciro Cirillo, di aver condotto una trattativa con pezzi dello Stato e con le br. E conferma pure che era in grado di salvare la vita di Aldo Moro, anzi, di essersi fatto avanti, da latitante, in quel lontano anno 1978, per salvare lo statista democristiano, ma di non aver ricevuto alcuna risposta da parte dei politici, soggetti di cui però indica i nomi. Insomma, per «Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava»: parola di Raffaele Cutolo, l’ex capo della Nco, interrogato nel supercarcere di Parma dove sta scontando quattro ergastoli.
Anni bui, di cui Raffaele Cutolo accetta di parlare il 25 ottobre del 2016, rispondendo alle domande del pm Ida Teresi e del capo della Dda di Napoli Giuseppe Borrelli, nel corso di un’indagine legata all’evoluzione criminale di un suo fedelissimo, quel Pasquale Scotti arrestato dopo 30 anni di latitanza. Ed è proprio dalle pieghe del procedimento amministrativo dinanzi al Tar (nato dalla decisione dei pm di bocciare la collaborazione di Scotti), che oggi è possibile conoscere il contenuto dell’interrogatorio di Cutolo, sul più ampio scenario della trattativa per la liberazione dell’ex assessore regionale Ciro Cirillo, dopo tre mesi di prigionia nelle mani delle br di Giovanni Senzani.
Oggi Cutolo ricorda l’indifferenza della Procura di Napoli rispetto alle trame di quel periodo; cita l’autorevolezza del magistrato Carlo Alemi, «unico deciso ad andare fino in fondo»; ma anche l’omicidio di tre carabinieri per consentire a un camorrista di recarsi dal «professore di Ottaviano» nel carcere di Ascoli Piceno. Ed è ancora Cutolo a chiudere il suo colloquio con i pm napoletani, con un riferimento sibillino: «Avevamo dei documenti da usare contro i politici per i fatti della trattativa; alcuni li aveva Enzo Casillo («che fu ucciso anche dai servizi, non solo da Alfieri», spiega), altri documenti invece li ho io ma moriranno con me».
Raffaele Cutolo – secondo la ricostruzione sul Mattino – fornisce anche due diverse versioni sui mediatori che sarebbero scesi in campo per chiedergli di salvare la vita ad Aldo Moro. Nell’interrogatorio ai pm napoletani che lo sentono in carcere a Parma nell’ottobre del 2016 scrive che “Michelino Senese (camorrista che viveva a Roma, ndr) me lo propose quando ero latitante”. Ai pm romani che lo interrogano nello stesso periodo fa invece il nome di Nicolino Selis, esponente della banda della Magliana (circostanza della quale riferì il Corriere della Sera nel 2016).
Nel 1983, la lotta intestina della camorra lascia a terra 238 cadaveri, quasi tutti sotto i trent’anni. Carabinieri e polizia organizzano il maxi blitz che porta in carcere centinaia di camorristi, e comincia a interrogarli. Nella Nuova Famiglia, invece, entrano altri clan come i Galasso, gli Alfieri e i Casalesi; copiano tutto dal loro rivale, inclusa iconografia e giuramento. Cutolo contrattacca; inventa la figura del falso pentito, cioè ergastolani che con la scusa di confessare deviano e confondono le indagini dei magistrati anche a costo di colpire persone innocenti come Enzo Tortora, un presentatore televisivo amatissimo finito nell’infamia, incarcerato e abbandonato da tutti, salvo poi scoprire che non c’entrava nulla.
Per qualche anno funziona, ma il declino è inevitabile. Cutolo viene arrestato ad Albanella, a Salerno, e nel 1989 assassinano suo figlio e il suo avvocato, Enrico Madonna. Scotti, il suo braccio destro, scappa dall’Italia e scompare nel nulla; verrà arrestato in Brasile 31 anni dopo. Cutolo viene messo in isolamento, senza poter ricevere visite da nessuno, ed è ancora lì, quello stesso Don Raffaè su cui De Andrè scrisse uno dei suoi pezzi più belli, e che ricevette una lettera di apprezzamento dal boss in persona, che gli domandava come facesse a conoscere così bene i dettagli della sua vita in carcere.
La storia continua, chissà se il super pentito Raffaele Cutolo, in un momento di pentimento di fede morale, non riveli la vera verità sul caso Moro .
di Antonio Gentile