A cura di Ins. Natascia Pizzutti (Manzano/provincia di Udine)
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Segretaria regionale < Mov. Femminile e per le Pari Opportunità D.C. > Friuli Venezia Giulia
Segretaria provinciale Dip. < Cultura – Scuola – Pubblica Istruzione > della Democrazia Cristiana della provincia di Udine
Componente della Direzione nazionale della Democrazia Cristiana
Editorialista de < IL POPOLO > della Democrazia Cristiana
e di Avv. Alfredo De Filippo (Sarno/provincia di Salerno)
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Segretario nazionale del Dipartimento < Legalità e Giustizia > della D.C. italiana
Componente della Direzione nazionale della Democrazia Cristiana
Editorialista de < IL POPOLO > della Democrazia Cristiana
< “L’AMOR CHE MOVE IL SOLE E L’ALTRE STELLE”, MA NON L’UOMO ! > * TERZA PARTE
Concludiamo questa prima serie di articoli giornalistici su Dante Alighieri e la sua opera, approfondendo l’argomento < LINGUA E POETICA > nell’opera letteraria del “Sommo Poeta”.
Elementi cardine del suo pensiero sono: il concetto di “ auctoritas” ossia di autorità (attribuita soprattutto a Virgilio e ad Aristotele); il metodo dialettico della filosofia scolastica; l’interpretazione allegorica dei testi, che consente la” polisemia“ della narrazione.
In particolare nella concezione dantesca, viene rinnovata anche la figura della donna-angelo che viene allontanata dalla semplice bellezza esteriore ed a cui viene riconosciuta anche la virtù della nobiltà interiore, che la fa assomigliare a Dio al punto da darle la capacità di innalzare spiritualmente coloro che l’amano.
Il centro del pensiero linguistico di Dante consiste nella valorizzazione del volgare, innalzato sul piano teorico nel “Convivio”e nel “De vulgari eloquentia”.
Per Dante il valore di una lingua dipende dalla possibilità di esprimere il maggior numero di aspetti e di livelli della realtà.
Il termine lingua volgare (da “vulgus”: popolo, plebe, massa) si riferisce alle lingue parlate nel medioevo da tutti, dotti e ignoranti, religiosi e laici, in tutte le situazioni della vita quotidiana.
La “Vita nuova” è la prima opera organica di Dante in cui racconta e ricostruisce il suo amore per Beatrice e di come questo suo amore per l’amata l’abbia trasformato ed elevato a livello spirituale.
Dante la vede per la prima volta a nove anni e poi di nuovo a diciotto, quando lei gli regala il suo saluto, gesto per cui Dante ha in sogno una visione di AMORE.
“Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta, ch’ogne lingua lingua devean tremando muta, e li occhi no l’ardiscon di guardare”.
“La mia Signora quando saluta qualcuno si rivela a tal punto nobile e a tal punto dignitosa che ogni lingua diviene muta per tremare e gli occhi non osano guardarla.”
Dante descrive gli effetti portentosi del saluto di Beatrice; oltre al gesto del salutare, la parola richiama il vocabolo latino da cui deriva: “salus” cioè salvezza.
All’immagine concreta di una donna che, passando per la strada, saluta i conoscenti, si sovrappone quella mistica della donna-angelo che, passando, produce effetti meravigliosi e salvifici su coloro ai quali si rivolge.
Non è dunque la descrizione della donna amata, ma la raffigurazione dei fenomeni da lei causati nel loro concreto svolgersi in atto.
Nel sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” e nell’opera intera di Dante, dalla Vita nuova alla Commedia, Beatrice rappresenta costantemente “una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare”, vale a dire è un personaggio della distanza, un tramite divino che, con la sua comparsa, porta il poeta a elevarsi fino alla visione di Dio nel Paradiso.
Beatrice, nell’atto di salutare, trasmette ai presenti l’augurio e la promessa della salvezza eterna.
Con il salutare si evoca il comunicato della donna e le sue virtù a chi lo riceve con la giusta disposizione dell’animo.(Paolo Chiesa Università di Milano).
Una forzatura, a qualcosa che sembra diventato un gesto fuorviante dal quotidiano.
Anzichè salutare, per l’uomo di oggi “il saluto”, potrebbe a mio avviso corrispondere, a volte, ad omaggiare dando attenzione, importanza e dedicandoci completamente a chi, con il nostro sguardo, il nostro interfacciarsi dovremmo elevare come persona speciale ed omettiamo tutto questo dando per scontato che basti iniziare a parlare senza salutare.
Perchè queste omissioni, perchè pensare che questa sia la regola e non l’eccezione?
L’uomo, come si pone di fronte alla bellezza della donna, riesce veramente a emozionarsi, a fermarsi un attimo, a declinarsi dalla realtà, dal caos, dalla tecnologia, a provare meraviglia, ammirazione, stupore, sbigottimento, ovvero “l’amor cortese”?
Nel periodo di “decadimento”, durante l’esilio, Dante si rifugia nell’esaltazione della filosofia, in particolare nella stesura dell’opera “Il Convivio”, una enciclopedia incompiuta del sapere medievale, rielaborata in chiave personale e di parte.
Dal titolo dell’opera, Dante intende apparecchiare un banchetto (cioè appunto un convivio),metaforico, in cui al posto delle vivande siano serviti agli ospiti gli argomenti del sapere.
Il Poeta dichiara di essere ai piedi della mensa dei veri sapienti, della quale raccoglie le briciole.
In questo modo ha provato il piacere della filosofia, cioè degli studi e del sapere.
Anche Platone nel Simposio, parla dell’invito che il maestro Socrate ha ricevuto per una cena con amici. Uno dei convitati propone di discutere il tema dell’amore.
Il discorso del Maestro è come sempre il più compiuto e veritiero e inizia mettendo in luce, come amare qualcosa significhi desiderare ciò di cui si sente la mancanza. Platone introduce nel dialogo anche Eros, che è dunque filosofo, proprio perché di natura intermedia tra la ricchezza e la povertà, tra la sapienza e l’ignoranza, tra gli dei e gli uomini.
Anche il Simposio, come si può vedere anche nel Fedro, l’amore appare il”ponte” tra il sensibile e l’intelligibile, una forza che permette di trascendere la condizione umana ed esprime nostalgia e tensione verso l’assoluto. L’amore quindi è un’esperienza che consente all’uomo di superare i propri limiti esistenziali e conoscitivi.
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