L’EUROPEISMO DI ALCIDE DE GASPERI (seconda parte)

L’EUROPEISMO DI ALCIDE DE GASPERI (seconda parte)

De Gasperi intuì già prima dell’avvio del cammino europeista la necessità di affrontare il problema della limitazione delle sovranità nazionali.

Nella conferenza dei partiti cattolici a Bruxelles del novembre 1948 disse che «l’Italia era pronta ad imporsi quelle autolimitazioni di sovranità che la rendono sicura e degna collaboratrice di un’Europa unita nella libertà e nella democrazia».

Fu infatti uno dei primi ad accettare la proposta del francese Pleven di dare vita ad una comunità di difesa europea come risposta all’iniziativa americana di riarmo della Germania, nella quale però volle inserire un articolo (l’art. 38) che prevedeva una procedura destinata ad accelerare la formazione di una  comunità politica.

Un’integrazione che tuttavia sarebbe dovuta avvenire, per dirla con un termine tanto discusso in questi ultimi anni, secondo un principio di sussidiarietà, sostenendo la necessità di preservare «l’autonomia di tutto ciò che è alla base della vita spirituale, culturale e politica di ogni nazione e salvaguardando le fonti naturali della vita in comune. Nulla dovrebbe essere dichiarato comune al di fuori di ciò che è indispensabile alle comuni finalità».

Gli anni trascorsi da deputato al parlamento di Vienna, vissuti in una dimensione multinazionale e multietnica, furono molto formativi per lo statista trentino e gli fecero guardare in maniera più favorevole, rispetto al resto dei cattolici italiani, alla prospettiva europea.

La sua origine e la sua formazione spiegano il rifiuto di ogni nazionalismo, l’attenzione ai problemi delle minoranze etniche e l’apertura ai grandi problemi internazionali.

La storiografia ha spesso guardato al periodo in cui fu al parlamento di Vienna per cercare prove dell’irredentismo o, all’opposto, dell’essere filo-austriaco di Alcide De Gasperi.

Per la verità il suo essere all’interno di uno stato nazionale, come l’Italia, o di uno stato multinazionale, come l’Austria-Ungheria, era per lui secondario.

Importante era invece combattere il processo di germanizzazione forzata condotta nel suo Trentino dal Tiroler Volksbund, che intendeva estirpare le radici latine e cattoliche da quelle zone.

Seppe sempre mantenere un delicato equilibrio fra l’appartenenza nazionale e la lealtà verso le istituzioni vigenti. Con l’avvicinarsi dello scoppio della Guerra mondiale, nel periodo della neutralità italiana, si recò a Roma per tre volte incontrando il pontefice Benedetto XV e il ministro degli esteri Sidney Sonnino, discutendo del mantenimento della neutralità italiana (come anche Il Trentino chiedeva), fiducioso che in cambio di questa la sua terra potesse essere ceduta all’Italia. Tuttavia quando ormai le sorti della guerra erano segnate, il deputato trentino non esitò a chiedere in parlamento il riconoscimento del principio di nazionalità. (fine seconda parte)