Forse i nostri genitori o i nostri nonni non hanno più l’energia di una volta, non riescono a muoversi bene, non si ricordano chi siamo, ogni tanto restano quasi senza voce mentre ci parlano o forse ci fanno uscire dai gangheri perché non vedono nulla di positivo nelle loro giornate, forse è così ed è così che deve essere, perché le persone anziane sono fatte di routine e di bisogni che non comprendiamo. C’è di più, forse a noi, che siamo più giovani di loro, sfugge la logica che spiega queste richieste e questo “leggero egoismo” che intravediamo nelle loro parole.
Tuttavia, possiamo dire che in un’epoca nella quale la società spersonalizza gli anziani e ruba loro l’intimità, le inquietudini che ci manifestano rispondono spesso al loro bisogno di riaffermare la propria identità.
Si può evaporare, diventare invisibili in questa società? È possibile essere visto solo come una massa corporea, senza alcuna attività cerebrale in atto, anche se brontola, cammina, urla? Sì, è possibile quando uno è vecchio, molto probabile se è un grande vecchio con qualche difficoltà sensoriale, certo se è un vecchio con problemi di demenza e di deterioramento cognitivo.
In un crescendo, il mondo che gira intorno a questa persona sembra non accorgersi che ci sono, e per lungo tempo, ancora risorse, comprensione, emozioni, percezioni di climi affettivi.
Leggendo spesso racconti, narrazioni, denunce di incontri sbagliati con medici e operatori sanitari, di relazioni spentesi con i familiari le persone anziane, anche con problemi cognitivi, le frasi che ripetono più sovente sono: “Parlano di me come non ci fossi” e “Mi trattano come un bambino”.
In un clima sociale che emargina chi non ce la fa, si è allargato lo scivolo dell’esclusione, in cui accanto ai disabili e ai sofferenti psichici, scendono gli anziani, appena siano un po’ disorientati.
Si parla di soggetti fragili, a rischio di emarginazione ed esclusione. Si fa riferimento alla solitudine, all’assenza di reti sociali “nutritive”, che mantengono vitali i rapporti.
Spesso però questa esclusione avviene anche all’interno della famiglia o di una struttura collettiva, nel sistema di relazioni che s’intrecciamo o meglio non s’attivano tra singoli individui, tra persone collocate su diversi ruoli, tra il professionista e l’utente, tra il familiare e l’assistito.
Se la vecchiaia è una “malattia”, se la demenza è il “mostro” del terzo millennio, tutte le negatività si accumulano, rendendo ancora più impraticabile un percorso difficile, perché le tossine sono all’interno della stessa previsione di cura.
Si può cominciare a districare alcuni nodi, tralasciando quelli più generali sui caratteri della società attuale e sul concetto di salute/malattia, che appaiono come brodo di coltura e cultura di comportamenti, pregiudizi, convinzioni che contribuiscono ad innalzare una barriera tra i vecchi e il resto del mondo..
Il cerchio si chiude progressivamente, aumentando l’isolamento del vecchio. Il vecchio sta in casa, sempre più isolato e, in alcuni casi, questo ambiente comunque familiare, si dissolve, perché il vecchio comincia a girare tra i figli (più spesso le figlie) e, due mesi da una parte, due dall’altra, perde quei riferimenti visivi ambientali, che sono per lui le stampelle per continuare a vivere. Non è una condanna per i familiari, lasciati spesso soli, anche economicamente a sostenere un onere assistenziale pesante, in case non più adatte ad accogliere nuovi residenti e nuove organizzazioni familiari, già complicate se ci sono figli, nipoti ed altri conviventi
Oggi non è affatto raro arrivare a questa età in uno stato di parziale, fragile autonomia. Fragile: una bella, ma inquietante, parola che dà l’idea di un equilibrio che esiste ma è precario. L’anziano non è una poltrona che poggia su quattro solide gambe: è uno sgabello che ne ha tre. Basta che venga meno uno degli elementi su cui poggia per spezzarlo.
I figli, la nuora, i nipoti già adulti sono quindi essenziali nell’assistenza all’anziano, ancora di più se questi ha il diabete, forse in alcuni momenti richiedono la nostra attenzione e la nostra protezione in modo paternalistico, ma questo non significa che dobbiamo comunicare con loro tramite un linguaggio infantile. Non possiamo trattarli come se non sappiano nulla, sono persone con storie di vita incredibilmente ricche. Parlargli con diminutivi in eccesso, semplificare il linguaggio, adottare una voce infantile o non prendere in considerazione le loro facoltà decisionali è un modo sbagliato di trattarli.
Anziani a Natale e Ferragosto: non tutti vivono momenti positivi in questo periodo dell’anno. Abbandonare gli anziani, perché? E se ci si deve allontanare da loro, che sono la nostra memoria, in un tempo nel quale le nostre abitazioni rifulgono di luci e colori, non sarebbe il caso di elaborare la situazione nei minimi dettagli, in modo che il loro sorriso sia garantito anche lontano da noi? Pensateci.
Durante le festività estive o natalizie, è tempo di abbandoni ormai è cosa risaputa: in questo periodo aumentano di circa il 30% rispetto al resto dell’anno. Non il calore del focolare domestico, non il rapporto con i fanciulli: per gli anziani Natale significa spesso essere ospitati nelle strutture sanitarie. Ma non lasciateli soli.
Gli Anziani, parliamo di persone che hanno bisogno di tutto e che hanno avuto un ruolo nella nostra vita: durante il percorso della nostra vita, non dimentichiamoli, in special modo quando i vostri genitori vi disturbano, ricordate che esercitano il loro diritto decisionale in una fase della loro vita nella quale dipendono dagli altri. Non spazientitevi perché camminano piano, non irritatevi se gridano, piangono o fanno tanti giri di parole per comunicarvi un semplice messaggio; oppure quando i discorsi dei vostri genitori vi fanno arrabbiare, non dimenticate che potrebbe essere l’ultima volta che ascoltate quella battaglia del loro passato. Amateli nella loro vecchiaia, date loro quello di cui hanno bisogno. Non importa quanto tempo impiegano per arrivare in un posto, hanno bisogno del vostro supporto e del vostro affetto.
Dedicato ai miei genitori, papà non c’è più mamma è ancora non noi.
di Antonio Gentile