La disputa decennale sul nome della Macedonia è vicina alla fine. Il parlamento di Skopje ha approvato, con 80 voti a favore su 120, l’avvio al processo di modifica costituzionale che cambierà il nome del Paese balcanico in Repubblica di Macedonia del Nord, risolvendo 27 anni di guerra diplomatica con la Grecia e rimuovendo un ostacolo decisivoall’ingresso nell’Unione europea e nella Nato. Atene, infatti, ha sempre posto il veto all’adesione, rivendicando il nome di Macedonia per la regione di Salonicco, nel nord della penisola ellenica, che in gran parte corrispondeva al territorio del regno di Alessandro Magno. I macedoni – è la tesi greca – erano ellenici, mentre il ceppo etnico più diffuso nella Repubblica di Macedonia è quello slavo. Il Paese ex-jugoslavo viene accusato anche di essersi appropriato di un simbolo della cultura greca, il sole di Verginaa 16 raggi che campeggia sulla sua bandiera.
Il 30 settembre scorso, il cambio di nome è stato oggetto di un referendum consultivo, parte dall’accordo tra il premier macedone Zoran Zaev e quello greco Alexis Tsipras, che a giugno avevano raggiunto un’intesa dopo anni di negoziati. Nonostante oltre il 94% dei votanti si sia espresso a favore della modifica, l’affluenza si è fermata al 37%, lontana dal quorum del 50% + 1 richiesto per la validità. Il governo di Zaev ha deciso comunque di dare il via alla procedura parlamentare di ratifica dell’accordo: per approvare la modifica costituzionale erano necessari i voti favorevoli dei due terzi dell’aula, esattamente quelli ottenuti. Per raggiungerli è stato necessario il contributo di otto deputati nazionalisti di destra del Vmro-Dpmne, il partito che più di tutti si era opposto al cambio di nome. I suoi parlamentari si sono allineati in piedi alla destra dell’aula, in segno di protesta, e hanno definito il voto “una concessione umiliante alla Grecia”.
La Macedonia è candidato all’adesione all’Ue fin dal 2004. All’Onu e nelle organizzazioni internazionali di cui fa parte, ci si riferisce ad essa con l’acronimo FYROM, Former yugoslavian Republic of Macedonia (ex Repubblica jugoslava di Macedonia), sigla con la quale è riconosciuto ufficialmente da alcuni Stati. “È un giorno storico per il nostro Paese”, ha detto il primo ministro, “la Macedonia potrà far parte della famiglia europea e i nostri sogni per il futuro potranno realizzarsi”. La procedura di modifica costituzionale si concluderà probabilmente entro marzo 2019: in quel mese sono infatti previste nuove elezioni, dalle quali potrebbe uscire una maggioranza contraria all’accordo. Soddisfazione è stata espressa anche da Tsipras: “Congratulazioni al mio amico Zaev – ha scritto su Twitter – Questo voto è un grande passo verso il nostro comune successo. Un passo importante per un pacifico e prosperoso futuro dei nostri popoli”.
Venerdì 19 ottobre il parlamento della Macedonia ha approvato la mozione volta ad avviare il processo di riforma della Costituzione per cambiare il nome del paese. Dopo una giornata molto intensa, in tarda serata due-terzi dei deputati presenti in aula hanno votato a favore della mozione del governo. Il primo ministro Zoran Zaev ottiene così una clamorosa e per molti versi inaspettata vittoria: dopo il fallimento del referendum del 30 settembre, il voto dell’aula dà un nuovo slancio all’approvazione dello storico accordo raggiunto tra Grecia e Macedonia lo scorso giugno.
I rischi della vigilia
La giornata di venerdì si era aperta all’insegna della tensione. Per approvare la mozione ed aprire così la procedura di modifica della Costituzione necessaria per cambiare il nome del paese in “Repubblica della Macedonia del Nord”, come previsto dall’accordo di Prespa siglato dal premier macedone Zaev e dal suo omologo greco Alexis Tsipras lo scorso 17 giugno, serviva difatti un voto favorevole dei due-terzi dei deputati. Per raggiungere la soglia decisiva degli 80 voti, dunque, non bastava il supporto della sola maggioranza, composta dai parlamentari dell’Unione Socialdemocratica (SDSM) e dei partiti della comunità albanese. La ferma contrarietà a sostenere l’accordo da parte del maggior partito d’opposizione, i conservatori della VMRO-DPMNE, non sembrava lasciare spazio a molte speranze. Nonostante ciò, nei giorni precedenti la votazione Zaev aveva mostrato ottimismo, nella convinzione che alcuni deputati dell’opposizione si sarebbero smarcati dalla linea di partito.
Il voto e le reazioni
Le speranze del primo ministro si sono materializzate al momento del voto, avvenuto in tarda sera. Esattamente 80 deputati hanno difatti votato a favore della mozione, a fronte dei 39 contrari. Zaev, in conferenza stampa, ha parlato di giornata storica, incassando poi il plauso della comunità internazionale: il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, il Commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento Johannes Hahn, e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini si sono complimentati con il governo di Skopje, convinti che questo passaggio possa essere decisivo nel processo di integrazione europea e atlantica del paese.
Aria ben diversa, invece, si respira dalle parti dell’opposizione. Il leader della VMRO Hristijan Mickoski ha attaccato duramente gli otto parlamentari del proprio partito che hanno votato con il governo, accusandoli di aver tradito la volontà degli elettori macedoni, che nel referendum del 30 settembre avevano largamente boicottato la consultazione. Di conseguenza, Mickoski ha annunciato la loro espulsione dalla VMRO. Il leader dei conservatori ha inoltre accusato Zaev di aver comprato il loro consenso tramite promesse e ricatti. Non a caso, si sono subito diffuse diverse voci intorno alle motivazioni alla base della decisione degli otto deputati di smarcarsi dalla linea del partito: nonostante i protagonisti abbiano pubblicamente giustificato la scelta con la volontà di sbloccare il processo di adesione del loro paese all’Unione europea e alla Nato, il fatto che quattro di loro siano indagati (tre per l’assalto al parlamento del 27 aprile 2017, e uno per le inchieste relative alla corruzione intorno al progetto urbanistico “Skopje 2014”) ha alimentato i sospetti che il governo abbia offerto loro un’amnistia.
I prossimi passi
Nonostante le recriminazioni dell’opposizione, il voto del parlamento macedone ha riaperto le porte all’approvazione dell’accordo con la Grecia, che si temeva compromesso dopo il fallimento del referendum. I prossimi passaggi prevedono, entro 15 giorni, la presentazione degli emendamenti costituzionali in aula, che potranno essere approvati a maggioranza semplice, a cui seguirà un’ultima votazione finale, questa volta a maggioranza dei due-terzi: Zaev dovrà perciò lavorare per mantenere il sostegno da parte dei deputati dissidenti.
L’accordo sarà definitivamente approvato, però, solo se ratificato anche dal parlamento greco: proprio lì, adesso, si annidano i maggiori rischi. Tsipras, che si è complimentato con Zaev per il successo ottenuto, non può contare difatti sul supporto all’accordo con Skopje da parte del suo intero governo, che anzi sulla questione sta pericolosamente vacillando, come dimostrano le recenti dimissioni del ministro degli Esteri Nikos Kotzias e le dichiarazioni del ministro della Difesa Panos Kammenos, secondo il quale il suo partito, i Greci Indipendenti (ANEL), è pronto ad uscire dalla coalizione di governo piuttosto che votare l’accordo.
La strada per la conclusione della diatriba del nome tra Grecia e Macedonia è dunque ancora lunga, ma dal parlamento macedone è arrivata una spinta che può essere decisiva.
dal web di Antonio Gentile