Il moderno Stato italiano è nato eliminando lo Stato pontificio, una realtà di 1.500 anni circa, erede a sua volta di mille anni circa di impero e di repubblica romana. In quel modo l’Italia ha smesso di essere un contorno più o meno variopinto di Roma, ed è anzi diventata il territorio che dominava l’antica capitale.
La moderna Santa sede è nata da questo. Il Vaticano si è liberato dall’àncora territoriale europea e italiana e ha preso una dimensione via via sempre più globale, fino a Papa Francesco, il quale sta profondamente ridefinendo cosa sia la Chiesa.
L’Italia ha il vantaggio straordinario di ospitare la Santa sede. Il problema è come avvantaggiarsene senza interferire nella Chiesa. D’altro canto, c’è un problema analogo per la Chiesa: come avvantaggiarsi dell’Italia senza prevaricare sul paese, che tornerebbe a essere incastrato da un neo-Stato pontificio che farebbe perdere dimensione globale alla Chiesa stessa.
In tutto questo c’è un terzo elemento. Gli anni della Dc, dal 1949 al 1992 circa, sono stati quelli di maggiore sviluppo economico, intellettuale e scientifico dell’Italia dall’unità.
La caduta della Dc è avvenuta perché il partito non ha ricontratto con gli Usa (suo “datore di lavoro” dal 1948) il patto di alleanza e anzi ha pensato di accelerare in direzione dell’euro passando alle spalle di Washington, contraria alla moneta unica.
Gli scandali di “Mani pulite” agli inizi degli anni 90 hanno scatenato sensi di colpa che hanno polverizzato la Dc. Forse se la Dc fosse stata più arrogante e più solida sarebbe ancora qui, senza alcuni dei suoi leader, come in Germania la Cdu ha perduto Helmut Kohl ma ha guadagnato Angela Merkel.
Oggi l’Italia, senza la bussola del Vaticano, e con gli Usa troppo distratti da altre vicende, non sa dove sta nel mondo. Quindi, senza sapere cosa le sta intorno, non sa cosa fare al suo interno.
Il successo dei confusionari di M5s e Lega è prova che il vecchio non c’è più ma il nuovo non c’è ancora, vista la povertà intellettuale non solo dei due partiti ma di molti dei nuovi che sono stati scelti.
C’è la fuga dei cervelli: ormai forse circa due giovani laureati, che sanno le lingue, curiosi del mondo, sono all’estero in cerca di destini migliori. C’è l’impoverimento della classe media, nata sotto la Dc, che ora si sente minacciata e surclassata dagli immigrati, poveri e perciò disposti a lavorare come quella classe media italiana faceva 40-50 anni fa. C’è un nuovo mondo che si sta rovesciando sull’Italia come un carico di mattoni, un mondo che l’Italia ha ignorato per gli ultimi 30 anni.
Che fare allora? La Chiesa è un serbatoio di saggezza, visione del mondo, di metodo a cui l’Italia dovrebbe attingere. I suoi valori sono importantissimi: vocazione al servizio; capacità di ascoltare; abilità nell’adattarsi al nuovo; forza di guardare lo sconosciuto e mantenere una propria identità; attenzione ai nuovi bisogni sociali – povertà, emarginazione, integrazione, nuovi traffici di schiavi.
Questo forse si dovrebbe tradurre nello sforzo di trovare un diverso sentire comune nazionale ed europeo di fronte alle sfide che il paese ha davanti.
L’Italia, senza 2500 anni di impero romano/cattolico, è sola e spaccata. La follia della recente gestione della visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia non è un incidente, è segno di una difficoltà profonda.
L’Italia deve pensarsi per la prima volta nella sua storia senza “Roma”. Di conseguenza l’Italia cos’è e cosa può essere? L’Italia è la sua geografia. È un ponte naturale nel mezzo del Mediterraneo che collega l’Europa con l’Africa e l’Asia.
Quindi in concreto occorrono ponti culturali ma anche fisici e semplificazione burocratica e mentale. I ponti permettono il controllo dei flussi di chi passa, i muri sempre sono stati scavalcati o abbattuti, e da lì sono partite le vere invasioni.
Oggi tale ponte è virtuale, teorico. Deve diventare reale con ferrovie veloci fino alla punta della Sicilia, con il ponte sullo stretto di Messina. I problemi del ponte in teoria sono ingegneristici e di esposizione alla corruzione, in realtà sono di volontà politica. Il dibattito negli anni 50 e 60 contro l’Autostrada del sole è uguale a quello di oggi contro il ponte. I tedeschi pensano a ferrovie veloci da Oslo fino alla Svizzera: per questo ci deve essere una ferrovia veloce da Oslo fino a Città del Capo.
Tra Capo Feto, in Sicilia, e capo Bon, in Tunisia, ci sono appena 145 km; ce ne sono 231 km tra Terracina, sulla penisola, e Olbia, in Sardegna.
Oltre al ponte sullo stretto bisogna pensare a traghetti veloci con Tunisi. Qui, del resto, con la conquista di Cartagine e del suo impero, la Repubblica romana prese il dominio della civiltà occidentale, e da qui venne Sant’Agostino che lanciò la Chiesa oltre la fine dell’impero romano. Da qui, con un traghetto e una ferrovia dal Nord al Sud dell’Europa e l’Africa, forse può nascere la nuova Italia.
«Da Roma alla Terza Roma» è il titolo del 27° seminario internazionale di Studi storici, organizzato per il 2760° anniversario della fondazione dell’Urbe, svoltosi anni fa in Campidoglio a Roma. Al centro dell’attenzione, lo studio dei principali momenti della storia nei quali è stato superato, attraverso l’idea di Roma, il particolarismo etnico e statale dei popoli europei: come ha scritto il giurista tedesco ottocentesco Rudolf von Jehring «la missione di Roma sta nel superamento del principio di nazionalità attraverso l’idea dell’universalità».
Noi vediamo criticate posizioni della Chiesa e anche personali del Papa, senza che si tenga conto di un dato che io ritengo essenziale ed elementare: cioè che il papa, quando parla – mi riferisco in modo specifico ad aspetti riguardanti la morale sia individuale sia collettiva – ha due funzioni che devono esser distinte.
Una funzione riguarda il papa come capo della Chiesa cattolica che si rivolge ai cattolici, cioè a una società la quale, come tutte le società ordinate, deve essere retta da alcune regole. Quindi in questo caso il papa può indicare al gregge di cui è il pastore una linea di rigore che va al di là di quello che, invece, il potere civile può indicare nell’ambito ristretto delle sue capacità di regolamento. In Germania vediamo che certe posizioni molto dure non tengono conto di questa divisione, anche in materia di nascite o di non nascite. Ampliando il discorso, potrei riferirmi a una iniziativa, della quale non mi pare ci sia bisogno, per la creazione di una Carta dei diritti dell’uomo dell’Unione europea.
C’è poi un’altra attività della Santa Sede che deve essere valutata: quella che chiamiamo politico-diplomatica. Essa non è mai scindibile da quelli che sono i fini per i quali la Chiesa esiste. Tale attività, naturalmente, può essere apprezzata, condivisa o criticata a seconda dei punti di vista. E qualche volta il tempo corregge o accentua questi punti di vista. Negli ultimi anni abbiamo assistito a iniziative di grande importanza : l’instaurazione dei rapporti diplomatici della Santa Sede con la Libia, con Israele, con l’Autorità Palestinese, rapporti ribaditi negli ultimi giorni con il documento che è stato sottoscritto in occasione della visita di Arafat, evento che non credo sia da ritenersi completamente indipendente dal viaggio del Papa in Israele (c’è una tessitura senza dubbio estremamente fine e costruttiva).
In questo momento si cerca di analizzare il rapporto con gli Stati Uniti, la cui situazione è assai complessa dal momento che vi sono dei problemi su cui la posizione è più o meno analoga a quella di altri Paesi, problemi invece nei confronti dei quali, sia per la coesistenza di grandi collettività (cattolici, protestanti, ebrei) sia per la convivenza delle etnie diverse che compongono la popolazione, la posizione è molto complessa. In questi casi lo Stato qualche volta gradisce gli interventi della Chiesa, o delle Chiese, altre volte non li gradisce.
Del resto, dalla fine del secolo scorso in poi, attraverso anche il magistero sociale, la Chiesa ha dato un contributo notevole per l’elevazione del concetto di uomo e per l’elevazione proprio di alcuni punti fermi, che ad alcuni possono spiacere, come il senso della famiglia, del dovere, della carità, della solidarietà, il superamento delle esasperazioni classiste… Io credo che sono tutti punti fermi di un terreno misto tra quello che riguarda la preoccupazione a livello più alto della Chiesa e la preoccupazione che riguarda lo Stato come tale.
De Gasperi non è solo un esempio, ma è un modello che merita di essere studiato come elemento centrale di una storia collettiva esemplare. L’esperienza degasperiana della Ricostruzione italiana è una cosa diversa e ben più complessa della formula del Centrismo con cui gli storici definiscono gli anni dal 1948 al 1954. Essa è un’esperienza popolare che va oltre le vicende politiche nazionali: è una forma alta di partecipazione e insieme una dimostrazione di ciò che si può realizzare quando la si assume davvero come una missione di servizio. Si può discutere se la Ricostruzione sia stata il compimento del Risorgimento -, ma non si può negare che ha costituito il passaggio storico in cui le donne e gli uomini italiani, popolo e Chiesa, hanno dimostrato una straordinaria capacità di resilienza, una autentica conversione alla forma democratica, a dimostrazione che la democrazia richiede sempre anche virtù eroiche perché non è mai un regime di comodo.
“La risposta non va cercata solo in un singolo individuo ma nella forza delle idee. Alle quali si deve aggiungere la particolare capacità che un politico per essere qualificato come statista deve possedere: dire la verità alla propria gente; avere una visione coerente e competente della realtà; avere il senso supremo della responsabilità, al di là della propria convenienza di parte e della propria prospettiva personale; non vivere per se stesso, ma per una prospettiva comune».
Un popolo non è soltanto un gregge, da guidare e da tosare: il popolo è il soggetto più nobile della democrazia e va servito con intelligenza e impegno, perché ha bisogno di riconoscersi in una guida. Da solo sbanda e i populismi sono un crimine di lesa maestà di pochi capi spregiudicati nei confronti di un popolo che freme e che chiede di essere portato a comprendere meglio la complessità dei passaggi della storia. Il significato della guida in politica non è tramontato dietro la cortina fumogena di leadership mediatiche o dietro le oligarchie segrete dei soliti poteri. La politica ha bisogno di capi, così come la Chiesa ha bisogno di vescovi che, come ha detto Papa Francesco siano «una fontana pubblica, a cui tutti possono dissetarsi». Tra le luci della ribalta e il buio delle mafie e delle camorre non c’è solo il deserto: la nostra terra di mezzo è un’alta vita civile, che è la nostra patria di uomini liberi e che, come tale, attende il nostro contributo appassionato e solidale, ora c’è bisogno di coraggio e di molta fede.
dal web di Antonio Gentile
Un grande articolo da parte di in grande uomo…! Ma… La Chiesa cosa fa?
Roberto Sensoni