Dopo l’Abruzzo, che il 10 febbraio scorso è stata la prima delle sei Regioni chiamate al voto nel 2019 e ha eletto il presidente di centrodestra Marco Marsilio di FdI, domenica 24 febbraio è stata la volta della Sardegna, dove il centrodestra corre Christian Solinas.
In Sardegna, dove invece si è votato ieri il 24 febbraio, la storia sembrerebbe, all’apparenza, già scritta.
Il governatore uscente, Francesco Pigliaru (Pd), non si è ricandidato e il centrosinistra si è affidato al sindaco di Cagliari, Massimo Zedda (ex Sel-SI, poi sindaco ‘arancione’), ma la sua – pur essendo stato un buon sindaco e molto conosciuto e apprezzato in regione – è un’impresa in salita.
L’M5S, storicamente forte, in regione, è da mesi in calo nei sondaggi, e propone Francesco Desogus, ma dopo una serie di battibecchi e polemiche che hanno portato al ritiro della sua prima scelta, il sindaco di Assemini, Puddu. Il centrodestra punta sul senatore e segretario del Psd’Az (Partito sardo d’azione), che si è gemellato con la Lega, Christian Solinas, scelto direttamente da Salvini, il quale punta molto sui risultati elettorali della Sardegna, come anche sta facendo Berlusconi.
Entrambi sono venuti nell’isola per un tour de force elettorale: il primo, Salvini, è stato per ben due giorni in Sardegna toccando, in pratica, tutte le principali città sarde, ovunque osannato e acclamato da folle plaudenti e a cui è arrivato a dire – senza paura di sconfinare nel ridicolo – “donne sarde, se vincerà l’islam e le invasioni dei migranti vi toccherà mettere il burqua!”. ‘Burqua’ che le donne sarde – soprattutto in Barbagia, in centri come Orune e Orgosolo – portano, orgogliosamente, da secoli: colore nero, fazzoletto e vestito in tinta, aria severa, le donne sarde vestono così da millenni, almeno le più anziane, non sono mai state né islamiche né integraliste, solo orgogliosamente sarde, e continuano a ‘comandare’, cioè a esercitare una forma storica, in Sardegna, di puro matriarcato…
Berlusconi anche è venuto e restato due giorni, tra giovedì e venerdì scorso, per sostenere, oltre al candidato presidente, Solinas, la candidata del centrodestra alle elezioni supplettive di Cagliari–Quartu Sant’Elena, Daniela Noli, che è di FI, ma che anche Lega e FdI appoggiavano continuamente.
Clamoroso, in questo caso, però, il risultato finale. Infatti, è stato eletto, alla fine, il candidato del centrosinistra, Frailis, contro ogni previsione. Infatti, al posto del deputato uscente, Adriano Mura, il quale si è dimesso dal Parlamento per le troppe assenze (è un velista e ama girare il mondo, non andare in Parlamento…) e che si è dimesso lo scorso agosto del 2018, è stato eletto proprio Frailis, giornalista e volto molto conosciuto, nell’isola, perché lavorava nell’emittente sarda ‘Videolina’. Frailis ha ottenuto il 40,46% delle preferenze mentre solo secondo è arrivato il pentastellato Luca Caschili, con il28,92%, e solo è terza è arrivata la candidata del centrodestra (Lega, Fi, FdI, Pdd’Az), Daniele Noli, con il27,80%, e quarto, e ultimo, Enrico Balletto, il candidato di Casa Pound (2,81%).
Da segnalare infine che è stata altissima l’astensione, con la partecipazione al voto ferma al 15,5%
A vincere le elezioni sarde sarà il candidato che prenderà più voti, ovviamente, ma anche se la sua coalizione dovesse raccoglierne meno di quelle del suo diretto avversario. Secondo la complessa legge statutaria elettorale, approvata nel 2013, infatti, al candidato arrivato primo va, per intero, il premio di maggioranza. Può perciò accadere che, a causa del voto disgiunto, presente e di solito molto usato, un leader raccolga più preferenze delle liste a lui collegate. E così, anche se ha ottenuto meno voti degli avversari, a queste andrà comunque la maggior parte dei seggi grazie al premio di lista assegnato al candidato presidente di quell’insieme di liste.
E proprio così sono andare le cose già nel 2014 quando le liste di centrodestra totalizzarono il 43,89% e quelle di centrosinistra, tutte insieme, il 42,45%. I rispettivi candidati, invece, ottennero un risultato opposto: il presidente uscente, Ugo Cappellacci (FI), concluse la corsa elettorale con il 39,65%,Francesco Pigliaru (Pd) con il 42,45%. Finì che al centrosinistra vennero assegnati 36 seggisui 60 disponibili e, dunque, fu Pigliaru a diventare governatore. Le soglie di sbarramento sono un altro elemento da tener presente, all’interno della legge elettorale sarda: per accedere al ‘parlamento dei sardi’ le coalizioni devono superare il 10 % dei voti e le liste singole il 5% dei voti.
La ricorda bene, questa soglia, l’esperienza della scrittrice Michela Murgia che, nonostante le quasi 76 mila preferenze raccolte sempre alle elezioni del 2014, in cui si presentò come candidata presidente per una coalizione indipendentista, rimase fuori dal Consiglio regionale. La sua candidatura ottenne il10,30% delle preferenze, ma le tre formazioni collegate al suo nome preso solo il 6,77% dei consensi. Discorso analogo per Mauro Pili, ex governatore della Sardegna per il centrodestra ed ex parlamentare di FI: lui superò il 5%, ma la sua coalizione no e non ottenne seggi.
Cinque anni dopo Pili ci riprova con la coalizione “Sardi liberi”, risultato dell’accordo fra la sua formazione, Unidos, e “ProgRes” (che nel 2014 sostenne Michela Murgia) e con un gruppo di fuoriusciti del Psd’az, oggi alleato della Lega che non ha accettato la svolta ‘a destra’ dei sardisti.
Un quadro politico, come si vede, molto frammentato e ricco di partitini e mini-coalizioni localistiche,praticamente tutte ‘sardiste’ che non aiutano alla semplificazione e che potrebbero incidere sul risultato finale. Come non aiuta, appunto, una legge elettorale così complicata e cervellotica che può riservare, proprio a cauda del gioco del rapporto tra candidato-governatore e coalizioni che lo sostengono, ‘sorprese’ dell’ultima ora, sempre che ci sia o meno un vero fotofinish.
Tra mese si svolgeranno le elezioni regionali in Basilicata, previste per il 24 marzo dopo che il Tar ha accolto il ricorso del Movimento 5 Stelle contro la data del 26 maggio in accorpamento alle elezioni europee. Anche qui il centrodestra è considerato ampiamente favorito: il suo candidato, il generale Vito Bardi, è di altissimo profilo ed è considerato una vera opportunità di riscatto per una regione martoriata dalla gestione di centrosinistra.
Le Regioni che vanno al rinnovo
In Piemonte la data per la tornata elettorale regionale non è stata ancora decisa, ma non è escluso che possa tenersi il 26 maggio. Previste anche le amministrative nei Comuni, mentre restando in tema di regionali, le altre due Regioni chiamate al voto nel 2019 saranno, in autunno, Calabria ed Emilia Romagna.
L’Abruzzo dà l’avviso di sfratto alle giunte di centrosinistra
Nel 2019 dunque sono complessivamente sei le Regioni (tutte governate da giunte uscenti di centrosinistra) che usciranno rinnovate nei propri organi elettivi: dopo l’Abruzzo riconquistata dal centro destra e dalla compagine della Dc, vedremo cosa succederà al voto la Sardegna, poi verrà il turno di Basilicata, Piemonte, Calabria, Emilia Romagna. E gli osservatori si aspettano che il risultato ottenuto da Marsilio si replichi anche nelle altre Regioni. Buon voto e Buona Dc.
di Antonio Gentile