La Cupola di Cosa nostra è tornata a riunirsi, il 29 maggio scorso. Non accadeva dal 1993. I capi delle famiglie di Palermo si sono ritrovati per eleggere il nuovo padrino, l’erede di Totò Riina morto un anno fa. E’ l’ottantenne Settimo Mineo, ufficialmente gioielliere con negozio in corso Tukory, il più anziano fra i boss della mafia siciliana, il giudice Falcone l’aveva arrestato nel 1984 e lui spavaldo aveva detto all’interrogatorio: “Non so di che parla, cado dalle nuvole”. Una vita per la mafia. Ma il mandato di Settimo Mineo è già scaduto: all’alba, la procura di Palermo diretta da Francesco Lo Voi ha fatto scattare un maxi blitz dei carabinieri nei confronti di 46 fra boss e gregari. E tra i fermati c’è anche il capo dei capi che avrebbe dovuto inaugurare la nuova era mafiosa. Con lui, tre componenti della Cupola, i rappresentanti del mandamento di Porta Nuova, Gregorio Di Giovanni; di Misilmeri-Belmonte, Filippo Salvatore Bisconti; di Villabate, Francesco Colletti. Come Mineo, tutti scarcerati di recente dopo aver scontato condanne per mafia.
L’intercettazione
È stato Colletti a svelare l’ultimo mistero dei boss, e non sospettava certo di essere intercettato. Al suo autista, Filippo Cusimano, ha raccontato della riunione della commissione provinciale a cui aveva partecipato alcune ore prima, il 29 maggio. “Si è fatta comunque una bella cosa – diceva orgoglioso – per me è una bella cosa questa… molto seria… molto… con bella gente… bella. Grande. Gente di paese… gente vecchi… gente di ovunque”. E poi aggiungeva dettagli sui partecipanti, dettagli che hanno incastrato Mineo e gli altri.
Resta il mistero sul luogo della riunione. Ma per il resto il boss di Villabate è stato fin troppo loquace con il suo autista. Ha raccontato che alcuni boss non avevano il rango adeguato per partecipare alla riunione solenne: per questa ragione, sarebbero rimasti fuori Salvatore Pispicia di Porta Nuova, Francesco Caponnetto di Villabate, Giovanni Sirchia di Passo di Rigano e Francesco Picone della Noce. E’ davvero una lunga (inconsapevole) confessione quella del boss che parlava fin troppo all’autista. Gli ha pure spiegato l’ultima regola dell’organizzazione: i contatti fra i mandamenti possono essere tenuti solo dai reggenti. “E’ una regola, proprio la prima.. Nessuno è autorizzato a poter parlare dentro la casa degli altri”. Regola solenne della commissione. “Perché là dentro – diceva Colletti – quando si decide una cosa, io non posso dire di no… Siamo tutte persone perbene, tutti saggi… non ce ne deve essere timore quando si deve fare qualcosa cosa, giusto è?”. Era anche un modo per ribadire la centralità della Cupola, contro la tirannia di Totò Riina. “Ci siamo alzati e ci siamo baciati tutti”, è il finale del racconto di Colletti.
L’indagine
Passato e presente continuano a intrecciarsi nella Palermo della mafia. Dopo i colpi durissimi subiti negli ultimi anni, Cosa nostra stava provando a riorganizzarsi, questa volta in maniera più stabile, ricostituendo la commissione provinciale, l’organismo di rappresentanza delle famiglie che non si era più riunito perché solo il capo dei capi in carica, Totò Riina, avrebbe potuto convocarlo. Morto il padrino di Corleone, sono partite subito le procedure per la nuova Cupola. Oggi, in discussione, ci sono soprattutto due grandi affari per la mafia palermitana: il traffico di droga e le scommesse on line. Business da milioni di euro.
Le ultime mosse dei padrini non sono sfuggite all’antimafia. La campagna elettorale per il nuovo governo mafioso è stata seguita passo passo dai carabinieri del nucleo Investigativo del comando provinciale diretto dal colonnello Antonio Di Stasio. A coordinare questa maxi indagine, un pool di magistrati composto dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Maurizio Agnello, Francesca Mazzocco, Amelia Luise, Dario Scaletta, Gaspare Spedale e Bruno Brucoli.
L’ultima inchiesta parla di un Cosa nostra che resta insidiosa, soprattutto per le infiltrazioni nell’economia legale e le relazioni. Le intercettazioni hanno sorpreso insospettabili imprenditori che addirittura cercavano i boss, per la soluzione di alcuni loro problemi. Mafia-agenzia di servizi, i più svariati: dal recupero crediti alla mediazione di controversie.
l nuovo capo
“Lo zio Settimo è devoto”, dicevano di lui i mafiosi. Devoto a Cosa nostra, davvero una vita per l’organizzazione, anche se rischiò di essere ucciso nel 1982, nell’agguato in cui morì il fratello Giuseppe, un altro fratello – Antonino – era stato assassinato sei mesi prima, davanti alla gioielleria di famiglia: all’epoca, c’era grande agitazipne nella famiglia di Pagliarelli, fra i Mineo e i Motisi, ma il giovane Settimo seppe distinguersi per equilibrio e diplomazia, si guadagnò sul campo la stima di Totò Riina e dei suoi fedelissimi. Anche quando fu arrestato, chiamato in causa dalle dichiarazioni del primo pentito di mafia, Leonardo Vitale, all’inizio degli anni Settanta; poi, Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno aggiunsero altre rivelazioni e Mineo venne condannato al primo maxi a 7 anni, ridotti in appello a 5 anni e 4 mesi. Il boss di Pagliarelli è stato riarrestato, dalla squadra mobile, nel 2006 e ha scontato un’altra condanna, a 11 anni. Ma non ha mai avuto un cedimento in carcere.
ornato in libertà, si è ritrovato in una situazione di fibrillazione tra le famiglie di Palermo, alle prese con gli arresti dei nuovi capi e le scarcerazioni di vecchi mafiosi desiderosi di rimettersi in azione. E ben presto, Mineo ha assunto il ruolo di gran mediatore, di garante per tutte le famiglie. I carabinieri lo hanno seguito mentre tesseva la sua rete di alleanze per ottenere il più ampio consenso.
Il vecchio boss non utilizzava telefonini, e camminava molto a piedi, era lui che andava a trovare i mafiosi delle altre famiglie, un modo per evitare rischiosi summit. Ma il nuovo capo dei capi non è passato inosservato. Aveva anche ottenuto il passaporto, per andare negli Stati Uniti, ma il visto gli è stato negato.
Si ringrazia i colleghi della redazione di R.it Palermo. di Antonio Gentile